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Luigi Anataloni: Giuseppe Allamano era un missionario con gioia

“Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho tratto il tema dalla parabola evangelica del banchetto nuziale. Dopo che gli invitati hanno rifiutato l’invito, il re, protagonista del racconto, dice ai suoi servi: ‘Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze’. Riflettendo su questa parola-chiave, nel contesto della parabola e della vita di Gesù, possiamo mettere in luce alcuni aspetti importanti dell’evangelizzazione. Essi si rivelano particolarmente attuali per tutti noi, discepoli-missionari di Cristo, in questa fase finale del percorso sinodale che, in conformità al motto ‘Comunione, partecipazione, missione’, dovrà rilanciare la Chiesa verso il suo impegno prioritario, cioè l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”.
Partendo dall’incipit del messaggio di papa Francesco per la 98^ Giornata mondiale Missionaria , in programma domenica 20 ottobre, dal titolo ‘Andate ed invitate al banchetto tutti’, abbiamo chiesto al missionario della Consolata, Luigi Anataloni, direttore responsabile della rivista ‘Missioni Consolata’ , di raccontarci il motivo per cui il papa ha scelto questo tema evangelico del banchetto nuziale per la giornata missionaria:
“Penso che con questo messaggio il papa voglia dare un respiro ottimistico alla missione oggi. Oggettivamente noi stiamo vivendo una situazione di violenza e di morte come quella che ha colpito i servi del primo invio, bastonati, umiliati e uccisi. La realtà attorno a noi è dura: abbandono della fede, chiese vuote, denatalità, scelte di morte della società, guerre diffuse e tragiche, cambiamento climatico, povertà, chiusure di cuore e confini, disinformazione e fake news, depressione e suicidi giovanili… chi più ne ha più ne metta.
Rinnovare l’invito ad ‘andare e invitare tutti al banchetto’ è molto bello e profondo. È un atto di fiducia nell’umanità, è un dire che Dio non molla mai gli uomini, e sempre loro vicino e crede in loro. E’ ricordare a tutti che noi siamo fatti per il ‘banchetto’, che è festa, gioia, condivisione, bellezza, fraternità, accoglienza di tutti e ciascuno. E’ un messaggio di grande coraggio e di speranza, senza fuggire dalle tante e profonde problematiche che attanagliano il mondo”.
Con quale caratteristica si può rivolgere l’invito?
“Tre le dimensioni coinvolte: il compito di andare e invitare è proprio di ogni cristiano dal battesimo; l’invito è per tutti, con preferenza verso i poveri e gli scarti di ogni società; l’obbiettivo è un banchetto, non una mensa dei poveri o la sala di un ristorante dove ognuno ha il suo spazio privato. Banchetto è festa, incontro, interazione, è sentirsi tutti parte viva, è essere felici che anche gli altri, tutti, ci siano.
Allora invitare a questo banchetto richiede capacità di andare oltre gli stereotipi, il sentire che non si può essere felici da soli, che questo mondo è un giardino che ci è stato donato perché lo godiamo insieme, dove anche i ‘cagnolini’ hanno diritto di condividere la festa. Questo richiede fantasia, coraggio, creatività nel proporre vie nuove e parlare il linguaggio di chi si vuole invitare. Missione è davvero il contrario del ‘si è sempre fatto così’”.
Missione ed Eucarestia: quale rapporto esiste?
“La missione porta all’Eucarestia; l’Eucarestia nutre e stimola la missione. Una comunità che davvero celebra l’Eucarestia e la vive come momento di ascolto della Parola di Dio per correggersi e ricaricarsi per le sfide del quotidiano, come incontro con il Signore che è lì in mezzo, come festa di famiglia e di comunità dove tutti si sentono a casa, accolti e amati. Chi vive davvero l’Eucarestia così, non può restare chiuso in se stesso come se fosse una setta, un club privato.
Chi davvero ‘dimora’ nel Signore sente il bisogno di correre a dirlo anche a tutti gli altri: ‘Abbiamo visto il Signore’, il bisogno di gridare: ‘venite alla festa’. Chi lo riconosce nello ‘spezzare il pane’ non può tenere la notizia per sé e corre anche nella notte per condividere la bella notizia. Il banchetto dell’Eucarestia diventa bello e vero nella misura in cui sempre più gente partecipa”.
Nella giornata missionaria sarà canonizzato il beato Giuseppe Allamano: perché tale canonizzazione è un dono per la missione della Chiesa?
“Per il motivo che questa canonizzazione diventa un segno di speranza e di incoraggiamento in questi nostri tempi difficili. Allamano ha maturato il suo impegno sacerdotale e missionario nella Torino di fine 1800 dominata dalla massoneria e dall’anticlericalismo. E’ stato una persona che pur ben cosciente della sua fragilità fisica e non è stato lì a piangersi addosso, ma senza clamore, con l’impegno quotidiano, con tanta fede e con occhi vigili sulla realtà della sua città, ha operato una vera rivoluzione.
Ha fatto di un santuario che era ridotto a un rudere il centro propulsore del rinnovamento spirituale di tutta la città, coinvolgendo ricchi e poveri, uomini e donne senza distinzione. Ha poi messo il fuoco nei giovani preti che lui ha seguito nei primi anni dopo l’ordinazione, facendoli diventare autentici pastori e apostoli nella chiesa locale senza rassegnarsi a riempire dei buchi per sopravvivere (in un tempo i cui i preti erano tanti)”.
Per quale motivo fondò gli Istituti Missionari della Consolata?
“Una delle ragioni può essere quella di aiutare altri a realizzare quel sogno missionario che era nato nel suo cuore dall’incontro da ragazzo, nell’oratorio di don Bosco, con il card. Massaia, allora ‘mitico’ apostolo dell’Etiopia, sogno che la sua salute gli aveva impedito di concretizzare. Ma forse è una interpretazione da favola. La realtà è che il contatto con il card. Massaia gli aveva aperto il cuore oltre i confini dell’Italia, probabilmente aiutato in questo anche da don Bosco, che ha sempre avuto una visione universale del servizio a cui erano chiamati i Salesiani. Questa visione universale ha trovato alimento nella sua vita di fede e nel suo rapporto con la Consolata, che era diventata ‘migrante’ con i tantissimi migranti piemontesi in Argentina, Brasile e altri paesi dell’America Latina. Un’altra ragione gli è venuto dal vivere con i preti giovani, appena ordinati, spesso desiderosi di farsi missionari, ma che trovavano un muro di diniego nei loro vescovi, troppo preoccupati di non impoverire la loro ‘forza lavoro’. Per Allamano la missione non è un sovrappiù, che per di più drena energie e mezzi dalla Chiesa locale, ma è la dimensione naturale della vocazione della Chiesa; quindi, è naturale che un sacerdote o un cristiano o una cristiana desiderino partire, e partano, per la missione. La fondazione dei Missionari, e delle Missionarie poi, è stata la sua riposta a questa convinzione profonda che ha fatto incontrare il grido dei poveri con la dimensione apostolica della vocazione di ogni cristiano e di tutta la Chiesa”.
La sua storia racconta l’allegria che metteva in ogni sua azione: allora in cosa consisteva la sua pedagogia della gioia?
“La domanda mi spiazza un po’ perché non ho mai pensato Allamano da questo punto di vista. Ma grazie per essa. Allamano non era un tipo chiassoso e non amava esibirsi, ma non era certo una persona triste, anzi sapeva comunicare nella semplicità una serenità profonda. Questa sua serenità gli veniva dal suo rapporto speciale con la Consolata e quindi prima con il Signore. Lui dice che non ha mai perso il sonno per i problemi che doveva affrontare, come quando è diventato rettore giovanissimo del seminario teologico e poi ha ricevuto l’incarico di gestire un santuario che era fatiscente e da ricostruire spiritualmente e materialmente. Pur essendo ufficialmente debole di salute, ha avuto una vita piena: si è occupato dei poveri, degli operai, delle servette strappate alla campagna e spesso schiavizzate in città, della stampa cattolica e di tanto altro. Ha insegnato nell’università cattolica del tempo, ha seguito ordini di suore poi fondato i due istituti, con tutto quello che questo gli ha richiesto materialmente e spiritualmente. Ma non ha mai perso la pace interiore e la gioia. La fonte della gioia, della serenità per lui aveva due radici: fidarsi del Signore e della Consolata e fare ‘bene il bene, senza fare rumore’. La gioia per lui nasce dal fatto di saper stare al proprio posto ed essere quello che sei chiamato ad essere, servo del Signore, della Consolata e della Chiesa, non padrone. E fare il tuo dovere, semplicemente senza ansie o preoccupazioni di visibilità e riconoscimenti”.
Per quale motivo invitava missionari e missionarie a santificarsi?
“Il suo detto più famoso è ‘prima santi e poi missionari’. E’ semplicemente la logica del mettere l’essere prima del fare. Essere santi vuol dire essere profondamente radicati nel Signore. Senza di questo la missione rischia di diventare un mestiere come tanti, che si può fare anche senza lasciarsi coinvolgere più di tanto. La missione non è una professione da fare a ore, ma trova la sua radice fondante nell’essere ‘in-con-per’ Cristo, nell’imitarlo, nel diventare trasparenza di Lui. Allora essere santi è la base della missione, diventando tutto a tutti, amando come Gesù ha amato, andando con lui verso i più poveri, i più lontani, i più emarginati. Missione è amore, vissuto anzitutto nella propria vita e che diventa quindi un amore donato e condiviso da persone che, alimentate da questo Amore, diventano a loro volte fontane di acqua viva. E con più doni, con più ricevi”.
(Tratto da Aci Stampa)
Mons. Raspanti: san Francesco segno di Cristo

Nel giorno del Transito di san Francesco, ha avuto ufficialmente inizio ‘La Sicilia ad Assisi’, le iniziative legate ai festeggiamenti in onore del Santo assisate che hanno invitato in Umbria oltre 5.000 pellegrini dalla Sicilia, ai quali si aggiungono molti che hanno raggiunto Assisi in autonomia o, comunque, senza una organizzazione legata alle diocesi.
Ad Assisi, già dalla mattinata del 3 ottobre, il Custode della Porziuncola, fr. Massimo Travascio, ha accolto gli ospiti nel Refettorietto del Convento di Santa Maria degli Angeli, che ha rivolto un messaggio di benvenuto a tutti i convenuti nella sala e alle autorità presenti; la concelebrazione eucaristica è stata officiata da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, rievocando le parole di Thomas Merton:
“Siamo in questa basilica, pellegrini di quell’immagine di Cristo povera e umile che è Francesco, perché vogliamo seguirne le orme, che con sicurezza ci rendono veri discepoli del divino Maestro. Venuti dalla Sicilia, siamo una porzione di Italiani che cerca in questo Frate del Medioevo un sicuro orientamento per il proprio cammino lungo una strada che appare piena di insidie.
L’olio che portiamo in dono raffigura noi stessi perché esprime il nostro desiderio di rimanere vicini a lui nelle sue spoglie mortali, qui custodite, per attingere alla sua ispirazione spirituale, conservata dai Frati, e non smarrire la giusta direzione”.
Riprendendo la lettera di san Paolo ai Galati mons. Raspanti ha affermato che san Francesco ha ricevuto il ‘segno’ di Cristo: “Questo segno fu concesso anche a Francesco ottocento anni fa, nel settembre 1224, quando ‘nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno’, secondo la descrizione di Dante nella Commedia.
Così fu noto a tutti quanto egli fosse intimamente unito al Signore, il quale lo rendeva partecipe della propria dona zione amorosa per l’umanità e sigillava la missione di Francesco di ricostruire la sua Sposa, la Chiesa”.
Per questo san Francesco è patrono d’Italia: “I Padri della Repubblica, di tradizioni culturali e fedi diverse, i governanti e il popolo italiano hanno ben colto il nocciolo di questo messaggio, accogliendo Francesco quale patrono d’Italia dichiarato tale da papa Pio XII. Noi italiani tutti desideriamo così attingere alla sorgente della pace e della concordia per berne direttamente e diffonderla.
Siamo consapevoli di non essere qui dinanzi a valori, per quanto alti e preziosi, come la concordia e la fraternità, ma siamo dinanzi alle spoglie di un uomo con un vissuto che lo rende eccellente testimone e profeta che indica la sicura via della pace”.
E’ stato un invito al rinnovamento interiore: “Forse potremmo rischiare di dire che non riusciamo nell’odierna convivenza sociale ad accogliere il migrante, a frenare la violenza, a curare i deboli e i poveri, a respingere il malaffare proprio perché non riusciamo a raggiungere la sorgente dei valori, cioè il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e la mitezza.
Se il risanamento non accade nel profondo delle radici, non vedremo mai i frutti dell’albero. Cristo crocifisso e Francesco, piccolo e stigmatizzato, hanno raggiunto il fondo risanando e inaugurando la nuova creazione”.
Mentre nei Primi Vespri del Transito di san Francesco mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vicepresidente della Conferenza Episcopale Siciliana, aveva sottolineato la ‘spoliazione’ del Santo: “Nelle prime due spoliazioni Francesco sveste il suo corpo delle vesti, rimanendo nudo, ma nell’ultima (con il sopraggiungere di ‘sorella morte’) si spoglia anche di ‘fratello corpo’ nudo… Per essere restituiti alla terra e all’abbraccio paterno e fraterno originario. La morte segna la totale consegna del suo corpo a Dio e ai fratelli”.
Tale Transito è un ammonimento a vivere ‘bene’ la morte, che conduce alla Vita: “La memoria del transito di Francesco, ci ridesta al nostro essere creature mortali, figli e fratelli/sorelle: creature, non Creatore, mortali non eterni; figli amati, non schiavi; fratelli/sorelle, non nemici catapultati nel mondo campo di battaglia. Fratelli e sorelle dell’unico Padre che ci affida la Terra come ‘Casa comune’ fraterna fragrante d’amore e di pace, come ‘Giardino fecondo’ con al centro l’albero sempreverde della Vita… Fatti di terra, per ritornare in nuda terra, per essere plasmati dalle mani di Dio cittadini della nuova Creazione, della Casa comune trasfigurata. Anche noi, come Francesco, con Francesco”.
Quindi tale Transito è un momento particolare per la conversione di molti: “Su quanti oggi hanno dimenticato di essere creature mortali e seminano nella Casa comune guerre, divisione, odio, parole aggressive, distruzione e morte violenta, soprattutto dei piccoli e degli inermi, la memoria del luminoso Transito di Francesco, Fratello universale, verace testimone di Cristo e di un cammino di piena e autentica umanità, sia audace segno profetico di conversione di mentalità e di cambiamento di rotta per il bene dell’umanità, per il bene della Casa-Terra”.
In occasione della festa del Transito è stato consegnato il riconoscimento di ‘Frate Jacopa, Rosa d’argento 2024’ a suor Alfonsina Fileti: questo premio non è solo un segno di stima per il servizio svolto da suor Alfonsina a favore delle famiglie in difficoltà, dei minori a rischio e delle donne vittime di violenza domestica, ma è anche un richiamo al ruolo importante che la Chiesa e le comunità locali svolgono nel sostenere i più vulnerabili.
(Foto: Conferenza Episcopale Siciliana)
Chiara di Assisi così come la racconta Susanna Nicchiarelli

Domenica 21 aprile a Roma si è conclusa la rassegna cinematografica in preparazione al Giubileo 2025 ‘Volti e contro-volti della Speranza’, curata dalla Prima sezione del Dicastero per l’Evangelizzazione, offrendo un ricco programma di proiezioni inaugurato e concluso da due capolavori del cinema italiano: ‘La porta del cielo’, di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini (1945), in una versione restaurata presentata dal curatore, mons. Dario E. Viganò, e ‘Cristo proibito’ (1951) di Curzio Malaparte con l’intervento del giornalista Enrico Magrelli.
Mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione ‘MAC – Memorie Audiovisive del Cattolicesimo’ ha spiegato il motivo della rassegna cinematografica: “Filo rosso del ciclo di opere è la speranza, dare forma e sostanza alla possibilità di riscatto, del bene, che traspare oltre le nuvole oscure dell’esistenza. E’ il recupero del senso del tempo affrancato dalla frenesia, di forza del femminile nelle esperienze spirituali. Un percorso che cerca di rinnovare l’urgenza di uno sguardo profondo”.
Nella rassegna è stato inserito anche il film, che racconta la storia di Chiara, che si svolge ad Assisi nel 1211: Chiara ha 18 anni, ed una notte scappa dalla casa paterna per raggiungere il suo amico Francesco. Da quel momento la sua vita cambia per sempre. Non si piegherà alla violenza dei famigliari, e si opporrà persino al papa: lotterà con tutto il suo carisma per sé e per le donne che si uniranno a lei, per vedere realizzato il suo sogno di libertà: nel monastero.
Con questa inquadratura inizia il film ‘Chiara’ della regista Susanna Nicchiarelli, che ci ha raccontato questa storia ‘entusiasmante’: “La storia di Chiara e Francesco è entusiasmante. Riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della ‘radicalità’ delle loro vite (la povertà; la scelta di condurre un’esistenza sempre dalla parte degli ultimi, ai margini di una società ingiusta; il sogno di una vita di comunità senza gerarchie e meccanismi di potere) significa riflettere sull’impatto che il francescanesimo ha avuto sul pensiero laico, interrogandosi con rispetto sul mistero della trascendenza. La vita di Chiara, meno conosciuta di quella di Francesco, ci restituisce l’energia del rinnovamento, l’entusiasmo contagioso della gioventù, ma anche la drammaticità che qualunque rivoluzione degna di questo nome porta con sé”.
In cosa consiste la ‘forza’ di questa storia?
“La forza della storia di Chiara sta per me nella sua radicalità: una radicalità che è sempre attuale, e che ci interroga in qualsiasi epoca. E’ la storia di una diciottenne che, per quanto in un contesto davvero distante dal nostro, abbandona la casa paterna, la ricchezza, la sicurezza, per combattere per un sogno di libertà: la mia speranza è che il film trasmetta a tutti l’energia di questa battaglia, che racconti con forza quel sogno di rinnovamento, quella rivoluzione voluta e desiderata con l’entusiasmo contagioso della gioventù”.
Come è nato l’incontro con questa Santa?
“L’incontro con Chiara è arrivato per caso ma è andato a toccare delle corde importanti della mia vita e del mio pensiero di donna e di regista, in un momento così particolare della nostra storia. Il 7 marzo 2020, alla vigilia del primo lockdown, avevo portato i miei bambini ad Assisi per far vedere loro gli affreschi di Giotto, in quanto io sono di origine umbra, e la casa della mia nonna paterna non è distante da Perugia.
Come tutti, sono sempre stata affascinata dalla figura di san Francesco; di santa Chiara invece sapevo poco. Perciò in quella occasione, nella libreria della basilica, ho comprato due libri su Chiara d’Assisi: libri che poi ho letto nei giorni successivi del marzo 2020 a Roma, nell’atmosfera assurda e spaventosa che si era creata, durante la quale il Medioevo, con le sue paure, non sembrava poi così lontano.
Il primo libro era una biografia molto tradizionale, nella quale Chiara era raccontata come votata fin da bambina alla clausura e alla preghiera. Il secondo invece mi ha appassionato: era un testo di Chiara Frugoni, la grande medievalista italiana che allo studio di Chiara e Francesco ha dedicato tutta la vita e che sarebbe diventata un’insostituibile consulente per la sceneggiatura del film”.
In fondo per quale motivo un film su Chiara di Assisi?
“La storia di Chiara non era mai stata raccontata veramente. Era stata sempre raccontata in funzione di Francesco, ma mai la sua storia. Ho scoperto così che della vera Chiara si sa poco perché la storiografia ufficiale e religiosa non l’ha mai raccontata: Chiara era una giovane suo percorso, eventi il cui racconto è così forte nella credenza e nelle rappresentazioni popolari, e così vivo nelle testimonianze delle sorelle di Chiara documentate durante il processo di canonizzazione, che non può essere trascurato.
Perciò ho provato ad immaginare questi episodi così come gli stessi protagonisti li hanno raccontati, inserendoli nella loro quotidianità; ed ho provato anche a immaginare l’effetto che dovevano avere questi eventi miracolosi su quelli che, come Chiara e Francesco, si trovavano a fare i conti con la propria ‘santità’.
Quando inizia la sua avventura Chiara infatti non solo scopre di avere un carisma inaspettato, che la porterà a guidare un gruppo sempre più numeroso di donne: si trova anche a fare i conti con una serie di miracoli che non sempre comprende né controlla. Miracoli che non possono non creare una distanza tra lei e le sue sorelle, tra lei e la gente: sono perlopiù miracoli quotidiani, persino alimentari, che semplicemente accadono, e per rappresentarli, senza cercare spiegazioni razionali né trascendenti, ho scelto la strada della semplicità. Affrontando questo aspetto della vita di Chiara ho voluto interrogarmi su come la santità ed il culto popolare, che ne conseguiva, non poteva che spaventare o entrare in contrasto con il bisogno di semplicità e di umiltà di Chiara e di Francesco”.
Quale è il rapporto tra Chiara e Francesco?
“E’ un rapporto fondamentale: senza Francesco non ci sarebbe stata Chiara, ma in qualche modo senza Chiara non ci sarebbe stato Francesco”.
Cosa l’ha colpita di più nella storia di Chiara?
“La cosa che mi ha colpito di più è stata la sua giovinezza: quando ha iniziato con il suo carisma a farsi seguire da donne di tutte le età. La cosa che maggiormente mi ha colpito è stato il suo sogno e con quanta energia si è contrapposta al potere per realizzare il suo sogno”.
In cosa consiste la ‘modernità’ di Chiara?
“La modernità di Chiara sta nella modalità delle sue scelte e nel coraggio con cui si è contrapposta al potere maschile. La sua modernità sta nella comunità che ha costruito, che ancora oggi è molto moderna”.
In quale modo una non credente racconta la storia di una santa?
“L’ho raccontata come una storia di un essere umano. Naturalmente ho raccontato anche i miracoli e tutti quei fenomeni che non possono avere una spiegazione razionale, anche se hanno cercato di dare una spiegazione razionale alla santità ed ai miracoli. Io li ho raccontati così come vanno raccontati nelle storie di vita di Chiara. Ho raccontato la sua umanità e di come lei si stupiva di fronte a questi miracoli, perché sono convinta che in qualche modo fosse così”.
(Tratto da Aci Stampa)
Milano: mons. Delpini invita a rinnovare la vita nella Quaresima

“Avviandoci sul nostro cammino quaresimale, con questo antico e semplice Rito delle ceneri, vorremmo anche noi iscriverci tra gli amici di Dio che percorrono la vita rinnovandosi ogni giorno: coloro che sono pieni di fiducia, che attingono alla gioia, che fanno l’esame di coscienza quotidianamente, che sono allergici a giudicare gli altri secondo una qualche etichetta, quelli della speranza che fissano lo sguardo sulle cose invisibili”: con queste parole di mons. Mario Delpini domenica scorsa anche l’arcidiocesi di Milano ha iniziato il cammino quaresimale.
In effetti il rito ambrosiano non ha mai conosciuto il ‘mercoledì delle ceneri’ come inizio del tempo quaresimale, ma ha sempre fatto iniziare questo periodo liturgico dalla sesta domenica prima di Pasqua, o prima domenica di Quaresima, nella quale si legge la pagina di Vangelo che ci presenta il digiuno di Gesù nel deserto e le tre tentazioni da parte del demonio.
Nei Secondi Vespri solenni della prima domenica della Quaresima ambrosiana, da lui presieduti in Duomo e concelebrati dai Canonici del Capitolo metropolitano, l’Arcivescovo ha delineato il profilo delle donne e degli uomini che, nei 40 giorni del tempo penitenziale, possono rendere nuovi un mondo e una Chiesa che paiono irrimediabilmente invecchiati, come ha sottolineato la seconda lettera di san Paolo ai Corinti:
“E’ come se il mondo fosse invecchiato. Sembra di abitare in una di quelle case abbandonate al degrado. Il mondo invecchiato cade a pezzi e si aggirano bande di disperati, di vandali, di delinquenti che si accaniscono a rovinarlo, come quelli che si divertono a tagliare il ramo su cui sono appoggiati. Nel mondo invecchiato i discorsi sono deprimenti”.
Ma in questo invecchiamento, cui la Chiesa non è esente, si possono riconoscere persone capaci di rinnovamento: “Qualche volta si ha l’impressione che anche la Chiesa sia invecchiata, che sia circondata dal disinteresse, che abbia perso attrattiva per la gente del nostro tempo, che sia rattristata perché la sua parola è accolta con scetticismo e, talora, con disprezzo». Eppure, «in questo spettacolo desolante, si riconoscono uomini e donne che custodiscono il principio del rinnovarsi di giorno in giorno e che, perciò, non si scoraggiano”.
Da queste persone nasce la fiducia: “Uomini e donne che leggono le statistiche, decretanti l’inevitabile declino con il linguaggio perentorio e un po’ stupido dei numeri, che ascoltano i discorsi catastrofici, che raccolgono dalla cronaca racconti di fatti assurdi e tremendi, ma che sono pieni di fiducia, perché conoscono il principio del rinnovarsi ogni giorno”.
(Foto: Arcidiocesi di Milano)
CHARIS, una missione da conoscere
Mons. Fernandez prefetto del dicastero per la Dottrina della fede: ecclesia semper reformanda

Sabato 1 luglio papa Francesco ha nominato mons. Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata in Argentina, prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede e presidente della Pontificia Commissione biblica e della Commissione teologica internazionale, succedendo dal 1 ottobre al card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, in carica dal 2017, che il Pontefice ha ringraziato a conclusione del suo mandato.
Il testamento di Benedetto XVI ed il ricordo di chi lo ha conosciuto

“Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene”: così inizia il testamento spirituale del papa emerito Benedetto XVI, deceduto nell’ultimo giorno dello scorso anno.
Salvatore Martinez: siamo invitati a seguire Gesù grazie allo Spirito Santo. Quale ‘cultura della Pentecoste’ è necessaria oggi?

‘Mi ami tu?’: questa la Parola che ha guidato la 46^ Conferenza Nazionale Animatori, a conclusione di questo speciale Anno giubilare, come ha affermato il presidente nazionale del ‘Rinnovamento nello Spirito’, Salvatore Martinez, consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: “Siamo invitati a seguire Gesù e a restare nell’effusione dello Spirito, a sentirne gli effetti benefici, a ricevere l’unzione necessaria per avanzare e fare avanzare il nostro cammino”.
Papa Francesco agli insegnanti cattolici: siate empatici nella testimonianza
Nuovi incarichi per il Centro di Azione Liturgica (CAL)

Martedì 18 ottobre, durante i lavori dell’Assemblea dei soci del Centro di Azione Liturgica (CAL), che si è tenuta presso il Pontificio Collegio Urbano in Roma, sua eccellenza mons. Claudio Maniago, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace e presidente della storica e benemerita Associazione, ha reso pubblica la nomina del vicepresidente nella persona di mons. Giovanni Di Napoli e del nuovo segretario nella persona di Don Mauro Dibenedetto. Successivamente sono stati eletti i cinque consiglieri per il quinquennio 2022-2027: don Antonio Angiolini, prof. Giuseppe Falanga, don Massimo Di Natale, don Elvio Nocera, suor Emmanuela Viviano.