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Enzo Romeo: sinodalità e vita camminano insieme

“La sinodalità è come la bicicletta. Solo se si pedala si resta in equilibrio e si fa strada. Se invece si resta fermi, si cade per terra”: è la metafora che Enzo Romeo, vaticanista del Tg2, adotta come filo conduttore del suo libro, ‘Camminare insieme, sinodalità e vita’, in cui cerca di spiegare che cos’è, dal suo punto di vista di giornalista credente, questa modalità di essere Chiesa. Nell’introduzione Enzo Romeo sottolinea che il camminare insieme ‘non è un esercizio facile’: “Soprattutto se ci è richiesto di condividere la strada con coloro che sentiamo estranei, o magari col me stesso che non accetto… Fare sinodo non è stare in un cerchio chiuso, ma esporsi al cambiamento della vita, uscire, andare incontro, accettando che le cose si modifichino per fare spazio all’altro. Sperando alla fine di riscoprire Dio, il grande desaparecido del nostro tempo”.
Ma ciò che più interessa ad Enzo Romeo è mettere in evidenza che la vita di fede, il cammino verso il Regno che la sinodalità richiama, si compie nella vita quotidiana, scegliendo una citazione, tratta dagli scritti di Madeleine Delbrél: “Questa donna, innamorata del Vangelo, assistente sociale che scelse di vivere in un sobborgo operaio di Parigi, affermava che la nostra vita, se ci affidiamo alla forza divina ‘la vedremo splendere mentre camminiamo per la strada, mentre accudiamo al nostro lavoro, sbucciamo i legumi, attendiamo una telefonata, spazziamo i pavimenti; la vedremo splendere tra due frasi del nostro prossimo, tra due lettere da scrivere, quando ci svegliamo e quando ci addormentiamo’… L’importante è non restare fermi”.
Allora, perché è necessario camminare insieme?
“Perché nessun uomo è un’isola, come diceva John Donne. Ognuno di noi è in relazione con gli altri, che piaccia o no. Tanto più nell’era della globalizzazione e delle interconnessioni. Il cristianesimo e la Chiesa danno, inoltre, un valore morale a questa dinamica: la presenza di Dio passa attraverso i miei fratelli e le mie sorelle, quindi non si può che procedere insieme sul cammino della Salvezza”.
Quale rapporto esiste tra vita e sinodalità?
“Se sinodalità significa camminare insieme, la declinazione di questo verbo (camminare) è innanzi tutto esistenziale. Va bene la riflessione teorica, gli ‘instrumenta laboris’, il confronto sinodale e via dicendo. Ma poi tutto va sperimentato. Il credente deve provare nel concreto ciò che significa sinodalità, per gustarne la bellezza oltre che la complessità”.
In quale modo fare sinodo nella vita quotidiana?
“Per cominciare bisogna, secondo me, cominciare dal proprio io interiore. Spesso facciamo fatica a camminare con noi stessi perché non ci accettiamo o perché non abbiamo messo bene a fuoco chi siamo, cosa vogliamo, quale è il nostro ruolo e quale senso dare alla nostra vita. Poi il cerchio si allarga: la famiglia, la comunità dei credenti (parrocchia, gruppi, associazioni…). Anche in questo ambito siamo chiamati a uno sforzo di accettazione, perché è facile camminare insieme a chi ci sta simpatico o a chi stimiamo, ma la sinodalità non la si realizza con i circoli chiusi o con le lobbies.
Ciò che ci viene chiesto è di camminare con tutti, con coloro che la Provvidenza ci pone a fianco e che magari sono le persone che non ci stanno a genio, quelle con le quali abbiamo avuto uno screzio, che sentiamo lontane o perfino nemiche. Se facciamo questi passi, allora potremo arrivare al pieno senso universale e quindi “cattolico” della sinodalità”.
Quale sfida attende i cattolici?
“Quella di ridare cittadinanza a Dio, che provocatoriamente nel libro chiamo ‘il grande desaparecido del nostro tempo’. Ovviamente Dio, che è l’Eterno, non sparisce mai e mai si stanca di aspettarci, come dice papa Francesco. Siamo noi che abbiamo provato a eliminarlo come facevano le dittature latinoamericane coi dissidenti, caricandoli su un aereo e lanciandoli nell’oceano. Ma Dio non può morire. Più siamo schiacciati dalla materialità delle cose, in questa società edonistica del mordi e fuggi e dell’usa e getta, più cresce dentro di noi la nostalgia dell’Assoluto, invisibile ma potente. La sfida è dunque questa: il ritorno della rilevanza divina nella vita delle donne e degli uomini di oggi”.
Quindi anche Dio è sinodale?
“Sì, possiamo dire così. Siamo monoteisti, ma il nostro è un Dio trinitario, non solitario. Dio ha un Figlio, Gesù, che si fa uomo e che comunica ininterrottamente col Padre per mezzo di una terza persona, lo Spirito Santo, capace di soffiare dove vuole. Per me non c’è esempio più grande di sinodalità”.
Quali antenne sono necessarie per comprendere il mondo?
“Nell’era del progresso scientifico e dell’intelligenza artificiale siamo portati a ritenere che tutto dipenda dai mezzi tecnici a nostra disposizione. Ma non è così. Se emettiamo note stonate non basteranno i più moderni strumenti a rimediare alla nostra cacofonia. Se invece abbiamo una buona novella da annunciare, allora basteranno le antenne del cuore per metterci in perfetta sintonia con gli altri. Come scrivo, se apriamo lo sguardo al cielo diverremo noi stessi delle antenne paraboliche e il nostro segnale sarà captato su qualunque frequenza d’onda”.
XXXIII Domenica Tempo Ordinario: in marcia verso il Regno dei cieli!

La Liturgia oggi ci annuncia una grande novità che riguarda ciascuno di noi; appare duro pensare a queste cose ma è certo che questo mondo presto finirà: è necessario allora pensare, riflettere ed agire di conseguenza perchè è Parola di Dio. Non vuole essere un messaggio allarmistico ma un invito a riflettere per essere preparati. La prossima domenica è la festa di Cristo re e si conclude l’anno liturgico; la Chiesa liturgicamente ci ricorda che anche questo mondo finirà: non si tratta di una ipotesi ma lo ha affermato categoricamente Gesù, ed è parola di Dio!
Lo constatiamo anche noi: basta pensare oggi alla fame nel mondo, alle guerre batteriologiche, all’arsenale atomico e ci si accorge che lo stesso uomo ha già creato i presupposti per la distruzione di quanto Dio ha creato. L’uomo ha realizzato con le sue invenzioni i presupposti per autodistruggersi. La fine di questo mondo non è affatto una ipotesi assurda; come si lamentava Tibullo, poeta latino: l’uomo ha inventato le armi per difenderci dagli animali feroci e noi li usiamo per ucciderci a vicenda. Oggi la Liturgia ci ripete le stesse espressioni apocalittiche: ‘II sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte’. Spontanea nasce la domanda: quando avverrà? quando finirà questo mondo?
‘Il quando’ lo conosce solo il Padre, dice Gesù; il ‘quando’ è solo curiosità e non fa parte della sua missione salvifica: Gesù si è incarnato per salvare l’uomo ed indicare la strada vera per il Regno dei cieli; la seconda venuta di Gesù non deve farci paura, essa è una promessa e non una minaccia. Il brano del Vangelo si ricollega al discorso della caduta di Gerusalemme, che Gesù previde ed annunciò agli Apostoli; questo evento si è consumato nell’anno 70 d. C. ad opera delle legioni romane.
Gesù era appena entrato a Gerusalemme, il popolo lo aveva accolto esclamando: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore’; Gesù invece piange sulla città e ai suoi Apostoli, contenti per l’accoglienza riservata al Signore, preconizzò: di questa città e del tempio non resterà una pietra sull’altra, tutto sarà distrutto. Alla domanda dei suoi. ‘Signore, quando questo avverrà?’, Gesù confermerà dicendo non passerà una generazione. La storia ci conferma che nell’anno 70 d. C. l’esercito romano distrusse Gerusalemme, bruciò il tempio ed ancora oggi esiste solo ‘il muro del pianto’.
Allora come finirà il mondo? quando finirà? Il ‘quando’ lo sa solo il Padre, dice Gesù; non perchè Gesù non lo sappia ma perchè ‘il quando’ non fa parte della sua missione salvifica. Gesù si è incarnato per salvare l’uomo ed indicare la strada vera per il Regno dei Cieli. E’ certo però che la crisi che travaglia oggi il creato, il senso di divisione e la fame nel mondo sono segni drammatici; l’uomo non riesce a prendere coscienza che solo la pace, il senso di responsabilità, la condivisione, la solidarietà sono mezzi adatti a risolvere i gravi problemi dell’umanità. L‘uomo corre solo verso l’autodistruzione.
Il creato oggi presenta crepe terribili e tutte quelle realtà che sino ad ieri sembravano eterne (sole, luna, stelle, armonia cosmica ) sono destinate a finire. La realtà che ci circonda ci parla di segni premonitori anche se davanti a Dio mille anni sono come un giorno e un giorno come mille anni. Scopo della parola di Dio non serve a creare paure o spaventare perchè tutto ci parla sempre della potenza di Dio e della sua misericordia. Che il mondo finirà è cosa certa ed è parola di Dio; il ‘quando’ è solo nella prescienza infinita di Dio ed è tristemente confortata dalla cattiveria umana che ha costruito le armi per l’autodistruzione.
Il Vangelo oggi ci invita a stare all’erta, essere preparati; la nostra fede infatti non si fonda sulla precisione di una data ma sulla Parola di Dio. Perchè la lettura di questo brano evangelico è stato fatto proprio in questa domenica? La ragione è semplice: siamo alla fine dell’anno liturgico; domenica prossima è la festa di Cristo Re: la Chiesa ci ricorda che come finisce l’anno, così finirà anche la nostra vita terrena; viviamo tutti in attesa del regno di Dio: tempi nuovi e terra nuova.
Il Signore certamente verrà e questo mondo sarà sconvolto; chi crede e sarà vigilante non lo teme ma lo spera. Ci aiuti la Madonna ogni giorno a liberarci dalla schiavitù del peccato e a vivere l’amore verso Dio e il prossimo; solo così saremo ben preparati in quel giorno.
Papa Francesco commemora cardinali e vescovi defunti

Questa mattina papa Francesco ha celebrato nella basilica di san Pietro la messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell’anno, sottolineando il valore delle parole di uno dei due ‘ladroni’ crocifissi insieme a Gesù (‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno’): “Queste sono le ultime parole rivolte al Signore da uno dei due crocifissi con Lui. Non è un discepolo a pronunciarle, uno di coloro che hanno seguito Gesù per le strade della Galilea e hanno condiviso con Lui il pane nell’Ultima Cena. Invece l’uomo, che si rivolge al Signore, è invece un malfattore. Uno che lo incontra solo alla fine della vita; uno del quale non sappiamo neppure il nome”.
Tali parole sono importanti perché sottolineano il valore della memoria: “Gli ultimi respiri di quest’estraneo, però, nel Vangelo diventano un dialogo pieno di verità. Mentre Gesù è ‘annoverato tra gli empi’, come aveva profetizzato Isaia, si leva una voce inattesa che dice: noi ‘riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male’. E’ proprio così. E questo condannato ci rappresenta tutti, possiamo dirgli il nostro nome, possiamo dargli il nostro nome. Soprattutto, possiamo fare nostra la sua supplica: ‘Gesù, ricordati di me’. Tienimi vivo nella tua memoria”.
E’ stato un invito a ricordare: “Meditiamo su questo atto: ricordati, ricordare. Ricordare significa ‘portare ancora al cuore’ (ri-cordare), rimettere nel cuore. Quell’uomo, crocifisso con Gesù, trasforma un estremo dolore in una preghiera: ‘Portami nel tuo cuore, Gesù’. E non lo chiede con voce straziante, quella di uno sconfitto, bensì con tono pieno di speranza. E questo è tutto ciò che desidera il delinquente che muore come discepolo dell’ultima ora: cerca un cuore ospitale”.
Ricordare significa che Dio ascolta l’uomo: “E questo è tutto ciò che conta per lui, ora che è nudo davanti alla morte. E il Signore ascolta la preghiera del peccatore, fino alla fine, come sempre. Trafitto dal dolore, il cuore di Cristo si apre per salvare il mondo (un cuore aperto, non chiuso): accoglie, morente, la voce di chi muore. Gesù muore con noi, perché muore per noi. Muore con noi, perché muore per noi”.
Dio risponde alla domanda che pone la persona (‘In verità io ti dico, oggi con me sarai nel paradiso’): “Il ricordo di Gesù è efficace, la memoria di Gesù è efficace, perché è ricco di misericordia, per questo è efficace. Mentre la vita dell’uomo viene meno, l’amore di Dio sprigiona libertà dalla morte. Allora il condannato è redento; l’estraneo diventa compagno; un breve incontro sulla croce durerà per sempre nella pace. Questo ci fa riflettere un po’. Come incontro Gesù? O meglio ancora, come mi lascio incontrare da Gesù? Mi lascio incontrare o mi chiudo nel mio egoismo, nel mio dolore, nella mia sufficienza?”
Dio ricorda perché ha misericordia: “La memoria del Signore custodisce infatti l’intera storia. La memoria è custodia. Egli ne è il giudice compassionevole e ricco di misericordia. Il Signore è vicino a noi come giudice; è vicino, compassionevole e misericordioso. Sono i tre atteggiamenti del Signore. Io sono vicino alla gente? Ho il cuore compassionevole? Sono misericordioso?”
Per questo il papa ah ricordato i cardinali ed i vescovi defunti nell’ultimo anno: “Membra elette del popolo di Dio, sono stati battezzati nella morte di Cristo, per risorgere con Lui. Sono stati pastori e modelli del gregge del Signore: possano ora sedere alla sua mensa, dopo aver spezzato in terra il Pane della vita. Hanno amato la Chiesa, ognuno nel suo modo, ma tutti hanno amato la Chiesa: preghiamo perché possano godere in eterno la compagnia dei santi. E noi attendiamo, con ferma speranza, di gioire con loro nel Paradiso”.
Mentre prima della celebrazione eucaristica il papa aveva ricevuto i partecipanti al terzo incontro di ‘Chiese ospedali da campo’, promossi dall’associazione ‘Mensajeros de la Paz’ di p. Ángel García Rodríguez, ricordando tre cose fondamentali affinché una Chiesa sia ospedale da campo: “Prendersi cura dei più vulnerabili è prendersi cura del Signore stesso.
‘Ciò che hanno fatto per uno di questi, l’hanno fatto per me’. Ogni volta che abbiamo l’opportunità di avvicinarci a loro, di offrire loro il nostro aiuto, è l’occasione che abbiamo per toccare la carne di Cristo, perché portare il Vangelo non è una cosa astratta, un’ideologia, che si riduce a indottrinamento. No, la cosa non va lì, ma portare il Vangelo si concretizza lì, nell’impegno cristiano verso i più bisognosi; Esiste una vera evangelizzazione”.
(Foto: Santa Sede)
Presentati gli appuntamenti giubilari

“L’attesa per l’apertura della Porta Santa, il prossimo 24 dicembre, diventa ormai febbrile. E’ una scadenza che darà inizio a un Anno Santo che porterà a Roma milioni di pellegrini. La città si è preparata per offrire un volto ancora più bello di quanto Roma già lo sia e poco alla volta si vedranno scomparire i cantieri che in questi mesi hanno messo a dura prova la pazienza di tutti”: così ha esordito mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, presentando gli eventi culturali, concerti e mostre, in programma a Roma prima dell’apertura ufficiale del Giubileo, il prossimo 24 dicembre, e del Padiglione della Santa Sede a Expo Osaka del prossimo anno.
Ed ha scadenzato gli appuntamenti per l’apertura della Porta Santa: “Alle ore 19.00 del 24 dicembre, papa Francesco presiederà la Santa Eucaristia in Piazza San Pietro e a seguire procederà con il rito per l’apertura della Porta Santa. Oltrepasserà per primo la soglia della Porta e inviterà a seguire il suo esempio a quanti giungeranno nel corso dell’Anno, per esprimere la gioia dell’incontro con ‘Cristo Gesù, nostra speranza’. L’annuncio dell’apertura della celebrazione sarà dato da un breve Concerto di campane a opera della Pontificia Fonderia di Campane Marinelli. Le campane sono il suono più caro al popolo e in questo caso diventano l’espressione dell’annuncio gioioso di un evento atteso da tempo e finalmente giunto”.
Mentre nella festa di santo Stefano, quindi il giorno dopo il Natale, papa Francesco si recherà a Rebibbia per aprirvi la Porta santa: “Papa Francesco per primo intende farsi “Pellegrino di speranza” e, in questo modo, come ha scritto nella Bolla, il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, sarà nel carcere romano di Rebibbia per aprire anche in quel luogo, simbolo di tutte le carceri sparse per il mondo, la Porta Santa, segno tangibile dell’annuncio di speranza… A partire da questo orizzonte, nelle scorse settimane, abbiamo firmato un’Intesa con il Ministro di Giustizia della Repubblica italiana, l’On. Carlo Nordio, e il Commissario Governativo, l’On. Roberto Gualtieri, per rendere effettive, durante l’Anno Giubilare, forme di reinserimento per diversi detenuti attraverso il loro impiego in attività di impegno sociale”.
Inoltre ha presentato altre iniziative culturali previste in queste settimane prima dell’apertura della Porta Santa: “L’avvicinarsi dell’apertura dell’Anno Giubilare ci spinge a presentare nuove iniziative che consentiranno di immettersi con maggior efficacia nel cammino dell’Anno Santo. Il primo evento sarà il concerto nella sede dell’Auditorium di via della Conciliazione, la prossima domenica 3 novembre, alle ore 18. Per l’occasione l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia eseguirà la Quinta Sinfonia del compositore russo Dimitri Shostakovich (1906-1975), diretta dal Maestro Jader Bignamini, attualmente direttore musicale della Detroit Symphony Orchestra. La Sinfonia, realizzata nel 1937, forse è poco conosciuta al grande pubblico, ma colpisce per la sua intensa drammaticità e apre a un orizzonte di speranza. Presenterà in modo più esteso questo evento il dottor Davide Mambriani.
Il 22 dicembre p.v., alle ore 18.00, presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, si potrà assistere al secondo evento musicale. A esibirsi sarà il Coro della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ che, sotto la guida del direttore, don Marcos Pavan, eseguirà diverse composizioni polifoniche di Palestrina (1525-1594; di cui il prossimo anno si celebreranno i 500 anni della nascita), Perosi e Bartolucci. Questo momento consentirà di vivere i giorni che precedono l’immediata apertura del Giubileo alla luce di una genuina contemplazione del mistero della fede”.
E dopo la musica anche l’arte: “Mi fa particolarmente piacere annunciare che oltre a questi due momenti musicali ci saranno altri tre eventi espositivi: il prossimo 27 novembre sarà aperta al pubblico, fino al 27 gennaio 2025, la mostra con la ‘White Crucifixion’ di Marc Chagall. Siamo riusciti a ottenere dal The Art Institute di Chicago l’opera così suggestiva e unica, che per la prima volta giunge in Italia, a Roma, e sarà ospitata nel nuovo Museo del Corso – Polo museale, nella sede di Palazzo Cipolla, con ingresso gratuito e libero, tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00. Sono particolarmente grato al Direttore James Rondeau per la sua piena disponibilità alla mia richiesta fatta nel giugno scorso e sono certo che troverà un grande riscontro di pubblico…
Il secondo evento vede l’esposizione di alcune rare icone di proprietà dei Musei Vaticani che saranno esposte nella magnifica sagrestia del Borromini nella Chiesa di sant’Agnese a Piazza Navona, dal 16 dicembre al 16 febbraio 2025. Perché un’esposizione di icone? Perché l’icona rappresenta non solo un dipinto. Essa diventa un’autentica scrittura dove leggere la storia della salvezza.
Il simbolismo dell’icona riflette la vita della Chiesa; una storia di tradizioni che di generazione in generazione ha saputo trasmettere non solo la fede, ma insieme ad essa la tecnica, i colori, le sembianze… e quanto serviva per rendere l’icona oggetto di preghiera, di culto e di venerazione. L’icona per questo diventa uno strumento di evangelizzazione universale, evocatrice di una santità che rimanda sempre al mistero centrale della fede. Era necessario che il Giubileo accogliesse anche questa esperienza che è il frutto di due anni di lavoro tra gli esperti.
Il terzo evento sarà la ormai tradizionale Mostra dei 100 Presepi in Vaticano. Nel suggestivo Colonnato del Bernini, sall’8 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025, troverà spazio l’VIII edizione dell’Esposizione internazionale che ogni anno si arricchisce di nuovi Presepi e sempre più numerosa partecipazione. Come si sa, ogni anno un Paese diverso, a seconda del momento storico, diventa partner di questa Mostra. Quest’anno, Anno del Giubileo, sarà Roma ad essere direttamente coinvolta perché per più di dodici mesi sarà al centro dell’attenzione del mondo”.
Infine ha sottolineato la partecipazione della Santa Sede all’Expò di Osaka, in Giappone nel prossimo anno: “Il tema del Padiglione della Santa Sede sarà: ‘La Bellezza porta Speranza’. rappresenta un messaggio universale che si intende condividere con tutti i visitatori. La bellezza è una forza che trasforma, è capace di toccare il cuore delle persone, di risvegliare il desiderio per un mondo migliore.
Abbiamo utilizzato intenzionalmente il verbo ‘porta’ che possiede in questo caso un duplice significato: da un lato, indica un movimento dinamico, perché trasmette l’accesso alla speranza; dall’altro, intende richiamare la Porta Santa del Giubileo, la ‘porta’ che si apre per accogliere chiunque cerchi la pace e la riconciliazione. Sappiamo che abbiamo giocato con un termine difficilmente traducibile in altre lingue; in ogni caso, almeno in italiano veicola il messaggio che si è voluto esprimere”.
Ed ad Osaka sarà esposta anche l’unica opera del Caravaggio presente nei Musei Vaticani: “E’ stato direttamente Papa Francesco a desiderare che l’opera rappresentativa dell’Expo fosse l’unica opera del Caravaggio conservata nei Musei Vaticani: La Deposizione del Caravaggio. Paradossalmente si intende veicolare un messaggio di speranza. Davanti al dramma della morte, sappiamo che esiste la fede nella risurrezione, vita vera e reale che viene donata ai credenti in Cristo”.
Mentre il dott. Davide Mambriani, curatore della rassegna culturale ‘Giubileo è cultura’, per i concerti e le mostre, ha illustrato con dovizia di particolari i concerti e le mostre del giubileo, soffermandosi particolarmente sull’opera artistica di Chagall: “Conservata all’Art Institute of Chicago negli States, la pittura del 1938 intitolata ‘Crocifissione Bianca’ rappresenta un punto di svolta fondamentale per Chagall: è infatti la prima di un’importante serie di composizioni che presentano l’immagine di Cristo come martire e richiamano drammaticamente l’attenzione sulla persecuzione e sulla sofferenza del popolo ebraico negli anni ’30”.
Il dipinto è l’emblema della sofferenza degli ebrei e di Gesù: “Vengono rappresentati conflitti violenti, come l’incendio delle sinagoghe. Al centro dell’immagine, Gesù è raffigurato, crocifisso e simbolicamente rappresentato come ebreo, ornato con uno scialle da preghiera. La Crocifissione Bianca rivela importanti influenze dell’arte italiana del XIV secolo e costituisce un elemento dal valore coloristico importantissimo. Questo dipinto ha legami tematici con la pittura religiosa del Rinascimento, in particolare con le opere di Michelangelo, ma porta anche riferimenti all’elezione della Croce di Rembrandt.
Nella ‘Crocifissione Bianca’, Gesù crocifisso è circondato da tre patriarchi biblici e una matriarca, vestiti con abiti tradizionali ebraici. Ai lati della croce, Chagall ha illustrato la devastazione dei pogrom: a sinistra, un villaggio è saccheggiato e bruciato, costringendo i rifugiati a fuggire in barca, mentre le tre figure barbute sotto di loro, una delle quali stringe la Torah, scappano a piedi. A destra, una sinagoga e l’arca della Torah sono in fiamme, mentre in basso una madre conforta il suo bambino”.
Ed ha concluso sottolineando che l’opera dell’artista russo è una delle più alte espressioni della pittura del secolo scorso: “Insieme a Guernica di Pablo Picasso, la Crocifissione bianca è una delle più eloquenti condanne della guerra e dell’odio del XX secolo ed il suo messaggio è ancora drammaticamente attuale. Il profondo significato spirituale dell’opera permette al visitatore di immergersi in un momento di straordinaria meditazione che renderanno la fruizione dell’opera un momento non solo di eccezionale valore artistico ma ancor più di introspezione e riflessione sul mistero della croce che è arbor vitae e portatore di speranza di redenzione, resurrezione dopo le atrocità e vittoria sulla morte”.
(Foto: Vatican Media)
XXX Domenica Tempo Ordinario: Coraggio, alzati! Gesù ti chiama

Gerico, dopo Gerusalemme, era la città più importante della Palestina: ‘Paese divino dove nascono le cose più belle e più rare’, così la descrive lo storico Giuseppe Flavio. Seduto a mendicare lungo la strada che va verso Gerusalemme, mentre Gesù passava con i suoi discepoli e una grande folla, si era fermato Bartimeo: un uomo triste, che aveva perduto la vista e con essa ogni fiducia e speranza.
Avuto sentore che stava passando nella stessa via Gesù di Nazareth, Bartimeo, il povero cieco, raccoglie tutte le sue forze per gridare: ‘Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me’. E’ il grido di aiuto che nasce dalla angoscia naturale di chi non vede perchè cieco, mentre la gente attorno è serena, non tollera sentire le sue grida e lo invita a stare zitto. Il cieco non si rassegna e nel suo cuore nutre la speranza di incontrarsi personalmente con Gesù, di cui aveva sicuramente sentito parlare. non si abbandona alla disperazione, ma una luce nel suo cuore lo invita a sperare.
Non conosce Gesù ma il suo udito, reffinato dalla sofferenza, gli fa cogliere il momento propizio; Gesù stava passando, era vicino, e Bartimeo grida: ‘Abbi pietà di me’! Gesù si ferma, guarda attorno e lo chiama. Bartimeo, resosi conto del momento propizio, rinsalda la sua speranza e, gettato via il mantello, si presenta davanti a Gesù. ‘Cosa vuoi che io faccia per te?’, chiede Gesù e il cieco risponde subito: ‘Rabbunì, che io veda di nuovo!’
Gesù di rimando: ‘Vai, la tua fede ti ha salvato’. Bartimeo ci insegna a non disperare mai, ma ad aver fede vera. Guai nella vita a fermarsi dietro una sterile litania di lamentazioni; guai a perdere la speranza di un incontro con Dio.
Ma, come Bartimeo, è necessario gettare il mantello, l’uomo vecchio; avere il coraggio di balzare in piedi nella piena consapevolezza che niente è impossibile a Dio e Gesù è misericordioso ed amabile. Ringraziamo sempre Dio per la vista che ci ha donato non solo del corpo ma anche quella dell’anima e, come il cieco di Gerico, riacquistata la vista, ‘prese a seguirlo’, così chi ha fede vera deve seguire Cristo Gesù, deve aiutare gli altri fratelli a vedere: essere un apostolo di Gesù testimoniando la propria fede con le parole e le opere.
Noi oggi ringraziamo Dio per la vista dell’anima, per la nostra fede in Cristo Gesù; ma è necessario l’impegno di aiutare i fratelli a vedere, scoprire e seguire Gesù. Quanti ciechi forse incontriamo ogni giorno nella via: sono ciechi che con il loro grido inconscio gridano contro lo stesso Cristo; hanno perduto ogni speranza, hanno solo bisogno di testimonianza viva.
Il cristiano vero non può e non deve soffocare tale grido e, come Gesù si è fermato nella via di Gerico, così io, tu, amico che leggi o ascolti, dobbiamo testimoniare l’amore misericordioso di Dio con la parola e la testimonianza della vita. Dobbiamo imparare, in questo anno del sinodo popolare, a riscoprire la dimensione sacerdotale di popolo del Signore. Il Vangelo oggi ci interpella sulla nostra dimensione personale ma anche sociale, ecclesiale, politica ed economica.
Non sono energie sprecate, né risorse buttate al vento quando ci scopriamo ‘Chiesa viva, popolo di Dio nella dimensione sacerdotale’. Guai a me se non predico, se non evangelizzo, se non annuncio con la parola e la testimonianza di vita l’amore di Dio per l’uomo. Il vero cristiano è chiamato ad essere vero apostolo, come ha chiaramente evidenziato Gesù agli Apostoli dicendo: ‘Come il Padre ha mandato me, io mando voi’.
Sulla via di Gerico, sulle nostre vie, ieri come oggi, quanti ciechi gridano implorando aiuto: sono uomini e donne, giovani ed adulti che hanno perduto la vista, la vista dell’anima, e da qui la disperazione che si coglie dai loro occhi e il ricorso spesso alla droga, all’alcool, al giuoco, alla perversione e talvolta anche al suicidio. Non si può rimanere sordi o fingere di non vedere.
Il sacerdozio comune legato al Battesimo di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale anche se cose distinte non sono separabili per cui sant’Agostino poteva dire: ‘per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano’. E’ necessario oggi più che mai aprire il cuor, l’udito, la vista verso il fratello, che incontriamo sulla via di Gerico, ed implora con gli occhi pieni di tristezza. Se tu sei in alto devi fare luce e non puoi fare i tuoi comodi; la gente ti guarda, ti osserva, ti scruta; se qualcuno è stato generoso con te, tu non puoi essere avaro con gli altri.
Come vuoi che la gente non si lamenta se tu invece di fare luce sei un buio pesto?. Se una lucerna non fa luce, non serve a nulla e si butta; se un fiore è solo appassito, lo si calpesta e si butta nella pattumiera, se una bandiera è solo un cencio, si butta via. Suvvia, siamo oggi tutti mendicanti di gioia, di pace , di amore; allora vogliamoci bene: questo è incontrare Cristo Gesù sulla via di Gerico. La Madonna, la Vergine orante e madre nostra cara, ci insegni a rivolgerci a Dio con piena fiducia, sicuri che Egli ascolta con infinito amore la nostra preghiera.
Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.
Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.
L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.
Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.
Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.
In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.
Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…
Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.
Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.
Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.
(Foto: Vatican News)
XXIX Domenica Tempo Ordinario. La meta del cristiano: essere grande nel Regno dei Cieli

Il brano del Vangelo ha due momenti: l’episodio dei due fratelli Giacomo e Giovanni; Gesù offre la dimensione vera del regno di Dio. Scrive Papa Francesco: siamo dinnanzi a due logiche diverse: gli Apostoli vivono secondo la logica mondana e vorrebbero solo emergere, si preoccupano chi dovrà occupare il primo posto o i posti più significativi; Cristo Gesù viceversa addita la logica divina che invita ad immergersi nella passione e morte dalla quale nasce la Nuova Alleanza per salvare l’uomo di tutti i tempi.
Gesù evidenzia ai suoi discepoli che nel Regno di Dio regnare, comandare, occupare i primi posti significa ‘servire’. I Discepoli vedono duro il linguaggio del Maestro; si ribellano al pensiero della passione morte annunziata da Gesù e finiscono nella proposta avanzata dai due fratelli (Giacomo e Giovanni) di potere sedere accanto a Gesù l’uno a destra, l’altro a sinistra.: è la sete del primeggiare, la sete dell’interesse e dell’arrivismo proprio dell’uomo; è la logica mondana.
Vero è che Gesù amava definirsi ‘figlio dell’uomo’ ma questa parola nel linguaggio di Cristo acquista un significato diverso: secondo la logica terrena e la tradizione l’uomo è arrivista, autoritario, condottiero formidabile capace di debellare i nemici. Nella logica divina Gesù si definisce ‘Figlio dell’uomo’, perchè ama l’uomo, serve l’uomo, è pronto a dare la vita per salvare l’uomo.
Gesù, vero Signore e Maestro, scegli di stare con i suoi discepoli per insegnare ad anteporre la logica del servire alla logica del potere e del dominio; a porre al primo posto l’amore, il dare, offrire la propria vita piuttosto che mirare al propri tornaconto, all’utilità privata. Il Figlio dell’uomo è venuto per servire l’uomo e dare la sua vita in riscatto per tutti.
La Liturgia di questa domenica è quella che ci riporta proprio alla Liturgia pasquale; Gesù ne parla con chiaro simbolismo e chiede ai due discepoli; potete bere il calice che io bevo? ricevere il battesimo con il quale io sono battezzato? ed invita così i suoi a cambiare mentalità, accettare l’umiliazione e la sofferenza, la purificazione del cuore, rinascere ad una vita nuova e diversa.
Con il termine ‘Battesimo’ (dal greco = immersione) Gesù lascia intravedere le acque della sofferenza; Egli infatti sconfigge il mondo quando sale sulla Croce e crocifisso, morto e risorto, sconfigge la morte e dà vita alla sua Chiesa: il regno di Dio tra gli uomini. Lo stesso centurione romano ne dà conferma quando, vedendo morire Gesù al calvario, battendosi il petto, esclama: ‘Costui era veramente il Figlio di Dio’.
Gesù non intende criticare il potere politico dove ognuno cerca di primeggiare sull’altro, ma vuole evidenziare che il modello politico non può essere preso a modello dai suoi discepoli dove regnare è amare, amare è servire. Lo spirito del Vangelo, il servire esige ‘compassione’ sincera e partecipazione ai bisogni dell’uomo; in una parola: amore che = ti voglio bene; voglio il tuo bene e non cerco la mia utilità.
Questo è Cristo Gesù, il Figlio di Dio su cui siamo chiamati a modellare la nostra identità di cristiani, il nostro ruolo nella Chiesa e nella società civile. La storia è maestra della vita! In venti secoli di cristianesimo quanti re, imperatori, uomini politici del presente e del passato si sono lievitati a questa scuola?; si sono immedesimati non con le parole ma con i fatti a seguire il messaggio di Cristo?
Quanti nella Chiesa Papi, Vescovi, Sacerdoti e Laici impegnati si sono adoperati a modellare il proprio comportamento al messaggio cristiano?. Il Vangelo ci invita oggi a riflettere, a meditare sul messaggio di Cristo Gesù: ‘Fra voi però non è così, chi vuole essere grande tra voi, si farà vostro servitore; chi vorrà essere il primo tra voi sarà il servo di tutti’.
L’ambizione di Giacomo e Giovanni, che cercano i primi posti, sollecita Gesù ad insegnare ai suoi discepoli quale è la vera grandezza: non dominare sugli altri ma servire i fratelli con amore e rivolgersi al Signore con umiltà e accostarci a Dio con piena fiducia come il bambino con i genitori e attendere con serenità di figli il compimento della sua volontà.
Vi ho dato l’esempio, dice Gesù, come ho fatto io, fate anche voi. Amare allora come ha amato Gesù; amare non per quello che gli uomini possono darti ma per quello che sono; l’amore, se è vero amore, è disinteressato.
XXVI Domenica Tempo Ordinario: Dio ama tutti! Vivere è amare, diffondere il bene!

Gesù invita a stimare il bene da qualunque parte esso provenga. Il vangelo è contro ogni meschinità di spirito, apre il cuore al generoso soccorso, la mente al rispetto degli altri. Gli Apostoli, ancora ingenui, dicono a Gesù: abbiamo visto un tale non dei nostri che scacciava i demoni nel nome tuo e glielo abbiamo proibito; gli Apostoli forse si aspettavano una lode da Gesù ma questi deplora la loro iniziativa dicendo: ‘non c’è nessuno che faccia un miracolo nel nome mio e subito parla male di me’ ed afferma: ‘chi non è contro di noi è per noi’.
L’uomo spesso è esclusivista e manicheo; Dio invece è il padre di tutti e anche noi in ogni uomo siamo chiamati a riconoscere il volto stesso di Gesù senza richiedere certificato di Battesimo; la tentazione porta spesso a dividere e suddividere gli altri in caste chiuse; la Chiesa in nome di Dio nulla rigetta di quello che trova di valido, di bello, di vero negli altri. Dio vuole tutti salvi e in ognuno c’è sempre un anelito alla verità, alla ricerca di Dio.
Lo Spirito santo soffia sempre dove e quando vuole: non esistono privilegiati ed esclusi, anzi Gesù si presenta come il buon Pastore che cerca la pecorella smarrita. Nella storia della Chiesa i Padri (filosofi e teologi) rivalutarono anche la filosofia antica e quanto proveniva dal paganesimo, sicuri che la verità è unica e quanti cercano la verità e si sforzano di perseguirla sono solo da ammirare. La mente umana è sempre limitata e circoscritta, non riesce a cogliere la verità nella sua interezza perchè la Verità è Dio; da qui la necessità della rivelazione operata da Gesù perchè solo la verità ci rende liberi.
Il seme della parola di Dio si deve diffondere e quanti sono nella verità non devono essere gelosi quando lo Spirito Santo coinvolge anche gli altri: nè gelosi nè dare scandalo. Il cristiano deve essere l’uomo del dialogo, sempre pronto ad ascoltare gli altri e riconoscere il bene che c’è in ciascuno. Non esistono buoni e cattivi, Dio ha creato l’uomo con la sua capacità di conoscere e amare. Compito del discepolo di Gesù è apprezzare l’uomo, creato ad immagine di Dio, e i talenti e i carismi che lo stesso Dio ha conferito ad ognuno di essi.
Non estinguere mai l’azione dello Spirito santo che opera negli altri fratelli; collaborare anzi con l’esempio, la predicazione, l’annuncio della verità di Dio. Da qui la parole di Gesù: guai a chi darà scandalo a quanti non sono consolidati nella verità di Dio. Il termine ‘scandalo’ nel linguaggio biblico ha due significati fondamentali: inciampo e ostacolo: lo scandalo porta sempre fuori strada e conduce solo al peccato e alla geenna eterna (inferno); scandalo è anche ostacolo o muro che impedisce di andare avanti, di crescere nella fede e nell’amore e, come conseguenza, chiude la porta del Regno dei cieli.
Da qui le parole drastiche di Gesù riguardo a chi dà scandalo: ‘E’ meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare’. Guai, dirà Gesù, al mondo per gli scandali. Se ti è cara un’amicizia che mette in pericolo la tua fede, troncala! Il cristianesimo non è una religione per i pavidi, per i deboli, per i poveri di spirito ma è la religione dei forti: vincere un avversario è una cosa che alletta; vincere se stesso è da eroe: sei chiamato ad essere un vero eroe per il Regno dei cieli.
Finché rimani un indeciso, non sarai mai un vero cristiano, vero discepolo di Cristo Gesù che è salito a Gerusalemme ed è morto in croce per salvare l’uomo. Vivere nella luce di Cristo, realizzare il messaggio di amore offerto da Cristo Gesù non significa rinunciare a vivere ma liberarsi dalle ombre; non è rinnegare la propria intelligenza, la volontà, l’azione, l’abilità ma accumulare ed accrescere le vere ricchezze che ci accompagnano nell’eternità.
L’umiltà del servizio rimane la via valida indicata da Cristo Gesù per essere nel mondo lievito buono che fa fermentare l’umanità e la fraternità. Forse è il momento di porci una domanda: che cosa concretamente Gesù vuole che io tagli nella mia vita perchè contrasta con il Vangelo? La Santissima Vergine Immacolata, madre nostra cara, ci aiuti ad essere sempre accoglienti verso gli altri e vigilanti su noi stessi.
A Milano mons. Delpini rivolge un invito alla partecipazione della vita cristiana e sociale

Sabato 7 settembre nel duomo di Milano mons. Mario Delpini ha celebrato la messa pontificale, che ha aperto l’anno pastorale della diocesi ambrosiana in occasione della festa della Natività di Maria, patrona della cattedrale con un’omelia in cui ha richiamato alcuni temi della proposta pastorale elaborata nello scorso giugno (‘Basta. L’amore che salva e il male insopportabile’), raccontando una città da abitare:
“Sì, vorremmo una città dove sia bello abitare, una città giovane, una città accogliente, una città con tanti bambini contenti e tante famiglie serene. Ma constatiamo che la città invecchia, le famiglie sono stanche per la frenesia quotidiana e per le tensioni esasperanti che le attraversano.
Sì, ci impegniamo per vivere con coerenza e per annunciare con gioia il vangelo di Gesù, la speranza che offre; sì, ci piacerebbe costruire comunità unite, liete, ricche di futuro. Ma se ci mettiamo a calcolare i risultati, constatiamo il nostro fallimento”.
L’arcivescovo ha riportato allora le raccomandazioni di san Paolo ai cristiani dell’epoca, validi ancora oggi: “Ecco non sono necessari molti esempi per constatare il realismo di quello che Paolo scrive: nella logica della ‘legge’ gli adempimenti sono impossibili, la legge è impotente. Che cosa si può pensare della storia dell’umanità? La storia umana è una storia di fallimenti e di sconfitte del bene.
Eppure lo sguardo credente legge la storia umana come storia della salvezza. Che cosa di buono può venire da questa serie di generazioni di uomini impastati di santità e di peccato? A che serve, quale messaggio può offrire il lungo elenco di nomi di personaggi famosi e sconosciuti, ammirevoli e spregevoli? Ecco, questa storia del male scoraggiante e del bene precario e fragile è la storia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo”.
Però nell’impotenza dell’umanità si realizza l’opera di Dio: “Dunque dentro il destino di impotenza e di sconfitta c’è una rivelazione dell’opera di Dio che salva. Paolo invita condividere la sua fede: Dio ha reso possibile quello che era impossibile alla Legge e ai buoni propositi, mandando il proprio Figlio in una condizione di fragilità, come quella di tutti, perché si apra la via della salvezza, per coloro che camminano non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”.
Tale opera di Dio si compie nel Suo Figlio: “L’opera di Dio si compie in Gesù e noi professiamo che proprio in lui incontriamo la verità di Dio e la rivelazione del suo amore, proprio in Gesù, figlio di Davide, figlio di Abramo.Noi desideriamo fissare lo sguardo su Gesù per imparare tutto quello che c’è da sapere e tutto quello che si può dire di Dio. Perciò cerchiamo di correggere l’inclinazione diffusa a immaginare un Dio, senza dipendere dalla rivelazione di Gesù”.
Per questo nell’omelia mons. Delpini ha ‘denunciato’ l’abbandono della frequenza alle celebrazioni eucaristiche. “Il ricordo del concilio di Nicea, che il nostro padre Ambrogio ha predicato con tanto vigore e costanza, può essere per noi un rimprovero: si ha infatti l’impressione che il linguaggio diffuso e anche la pratica ordinaria orientano a dimenticare la mediazione di Gesù, a fare a meno di lui.
Un sintomo preoccupante è la consuetudine di abbandonare la celebrazione del segno che Gesù ha indicato perché si celebri il memoriale della sua opera di salvezza, cioè l’eucaristia. La Messa sembra ridotta a una cerimonia che può piacere o annoiare. Molti dichiarano che non hanno bisogno di partecipare alla celebrazione della Pasqua di Gesù per essere brava gente e per fare tanto bene”.
Questa mancanza può portare i cristiani al disimpegno ‘civile’: “ Forse per questo i buoni propositi sono troppo inconcludenti, forse per questo l’impegno risulta frustrante, forse per questo il cristianesimo si presenta con una sorta di tristezza per l’elenco delle cose che si dovrebbero fare, ignorando la gioia di essere in comunione con Gesù, con la pienezza della sua gioia”.
Inoltre, durante la celebrazione eucaristica si è svolto anche il Rito di ammissione di tre seminaristi della Diocesi al percorso verso il diaconato e l’ordinazione sacerdotale e di otto laici che iniziano il cammino per diventare diaconi, in quanto la vita è una vocazione al servizio:
“L’opera di Dio si compie in Gesù e Gesù entra nella storia umana come la voce amica che chiama alla sequela. La salvezza che Dio opera in Gesù non è in primo luogo un evento cosmico, ma una comunione, una relazione personale, la vocazione…
Il servizio ministeriale non è una scelta di cui ciascuno è il protagonista, con la presunzione di rendersi utile, con la convinzione di avere qualche cosa da dare al Signore e alla Chiesa. E’ piuttosto la risposta alla chiamata della Chiesa, di questa concreta comunità cristiana che sceglie, dopo attento discernimento, persone disponibili a far parte del clero diocesano per continuare la missione della Chiesa”.
Al termine della celebrazione, poi, l’arcivescovo, dopo avere ricordato alcuni appuntamenti che segnano l’inizio del nuovo anno pastorale, si è soffermato sulle ‘tante sofferenze’ che si vivono “anche nella nostra Diocesi: drammi familiari, violenza nelle case, violenza nelle strade, incidenti sui posti di lavoro, carceri che sono troppo spesso luoghi di tragedie e di difficoltà che sembrano intollerabili… Il Signore ci aiuti ad essere seminatori di pace, tessitori di relazioni che aiutino a superare queste forme di violenza. La presenza dei cristiani, l’opera della Chiesa sia un segno della benedizione di Dio”.
(Foto: arcidiocesi di Milano)