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Persona, cura, dedizione e solidarietà: i quattro pilastri dell’ecosistema Gemelli

‘Persona, cura, dedizione e solidarietà sono i pilastri sui quali si fonda l’ecosistema Gemelli’, cui danno vita il Policlinico insieme alla Facoltà di Medicina e chirurgia: ‘un sistema integrato di condivisione ideale e competenza scientifica’: nel suo discorso inaugurale nella sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il rettore Elena Beccalli ha proposto l’orizzonte ideale che fa del Gemelli ‘un punto di riferimento per la sanità nazionale’.
Nel suo discorso il rettore ha tratteggiato il ‘quadro difficile e articolato’ della sanità italiana: “La sanità è una questione nevralgica per il paese… Eppure, una sanità accessibile è una forma di “diritto di cittadinanza” riconosciuto dalla nostra Carta Costituzionale nell’articolo 32, che recita: ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’. Un principio che trova attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale istituito nel 1978 proprio da una nostra laureata”,
Ed ha sottolineato l’importanza del Servizio sanitario: “Tina Anselmi, prima donna a ricoprire l’incarico di Ministro della Salute della Repubblica italiana. Un Servizio finemente definito dallo stesso Presidente Matterella «presidio insostituibile di unità del paese» e pertanto ‘un patrimonio prezioso da difendere ed adeguare’. Un diritto che dobbiamo salvaguardare con ancora maggiore tenacia di fronte alle forti disuguaglianze, alle laceranti polarizzazioni e alle crescenti povertà che sempre più riscontriamo nei nostri territori”.
Però ha sottolineato che il Servizio sanitario è ad un bivio: “Senza i giusti interventi, non certo semplici da individuare data la complessità delle questioni sanitarie, il rischio che ne consegue è un aumento delle già profonde divaricazioni presenti nella nostra società. Come sottolinea l’articolo che ricordavo, una riforma sistemica rappresenta l’unica via per garantire un’assistenza equa ed efficiente, preservando la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale”.
Ed ecco i quattro pilastri a cui l’Università Cattolica non può rinunciare: “Dunque, se dovessi riassumere l’orizzonte ideale verso il quale auspico debba rivolgersi la nostra azione, sarei propensa a utilizzare quattro termini: persona, cura, dedizione, solidarietà. Nelle attività del Policlinico presupposto imprescindibile è l’avere un’attenzione alla persona nella sua interezza, che può essere assicurata solo da una genuina vocazione alla cura di medici e operatori sanitari.
Tutto ciò deve avvenire, giorno dopo giorno, con quella dedizione che muove coloro che sono al servizio delle istituzioni nell’ottica di contribuire al bene comune. E, allo stesso tempo, con spirito di solidarietà, uno dei cardini della Dottrina sociale della Chiesa, cui il personale docente e sanitario è chiamato a ispirare il lavoro quotidiano per l’edificazione propria e di tutta la società”.
Da qui lo sviluppo di un piano per l’Africa: “Declinata in questo modo, la solidarietà diviene il presupposto principale per l’ideazione e l’attuazione del Piano Africa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di una struttura d’azione, in coerenza con l’indirizzo di apertura proprio di una Università che vuole essere la migliore per il mondo, con l’intento di porre il continente africano al cuore delle progettualità sanitarie, assistenziali, educative, di ricerca e di terza missione. In uno spirito di reciprocità con l’Africa, l’Ateneo intende diventare polo educativo dalla triplice finalità: formare medici in Africa, offrire ai giovani africani di seconda generazione opportunità di studio, integrare le esperienze di volontariato dei nostri studenti nei percorsi accademici”.
Il preside della Facoltà di Medicina e chirurgia, prof. Antonio Gasbarrini, ha sottolineato che “un aspetto cruciale del nostro operato risiede nella collaborazione costante con le istituzioni sanitarie, in particolare con la Regione Lazio, nostro principale committente in ambito sanitario pubblico, e con il ministero della Salute, che stabilisce le regole e crea le opportunità per garantire una sanità pubblica nazionale equa e accessibile…
Oltre al nostro ruolo nelle patologie elettive, infatti, stiamo sviluppando con entrambe le istituzioni, regionale e nazionale, politiche al servizio della cruciale rete dell’emergenza/urgenza, quella rete che rappresenta la colonna portante delle politiche sanitarie», «fondamentale per salvare vite, ridurre le complicanze e garantire la presa in carico integrata del paziente, dal primo intervento alla riabilitazione”.
All’inaugurazione dell’anno accademico è intervenuto anche il direttore di ‘Medici con l’Africa Cuamm’, organizzazione che da 75 anni è impegnata in Africa, don Dante Carraro: “Nel nostro nome è racchiuso lo stile che guida il nostro intervento: non ‘per’ ma ‘con’ l’Africa. Camminiamo a fianco delle popolazioni locali, all’interno del sistema sanitario cercando di esserne lievito, intervenendo in partnership con le autorità locali e partendo dai bisogni reali. Non caliamo interventi dall’alto, ma costruiamo insieme delle risposte che possano essere sostenibili e possano garantire futuro.
Ci stanno a cuore, soprattutto, le mamme e i bambini, fragili tra i fragili, specie nel momento del parto e nei primi mesi di vita. Infine, crediamo che una leva fondamentale di cambiamento sia l’investimento in formazione, dei giovani italiani e anche africani, per questo collaboriamo con 39 università italiane e con tanti partner di ricerca nel mondo, così da poter dare solidità al nostro intervento, perché siamo convinti che una medicina per i poveri, non debba essere una medicina povera”.
(Foto: Università Cattolica)
Giornata dei Malati di Lebbra: chi è malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia

Ogni anno, l’ultima domenica di gennaio, si celebra la Giornata Mondiale dei malati di Lebbra ed, a qualche giorno di distanza, la Giornata Internazionale delle malattie tropicali neglette. Sono occasioni per ricordare l’attualità di queste gravi patologie e per ribadire che il diritto alla salute è reale e concreto solo se ogni persona malata riceve le giuste attenzioni e cure. I malati di lebbra sono ancora oggi l’emblema dell’esclusione sociale, di un isolamento che spesso li condanna alla povertà e alla disabilità. Sono milioni gli uomini e le donne invisibili, che non hanno accesso alla sanità di base e non godono di alcun sostegno.
La Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra GML di quest’anno, sotto l’Altro Patronato del Presidente della Repubblica, giunta alla 72^ edizione, rappresenta per AIFO un momento fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto alla salute di miliardi di persone, sulla lebbra e le altre malattie tropicali neglette. Il tema scelto per il 2025 è l’abbraccio come concetto che unisce: ‘Chi è malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia’, pone l’accento sulla centralità della persona e non della malattia e sottolinea l’importanza dell’inclusione, della cura e del sostegno per chi è malato, a partire dalle persone colpite dalla lebbra e per tutti coloro che vivono ai margini della società.
Molti credono che la lebbra e le malattie tropicali neglette siano ormai debellate o sopravvivano solo in pochi e sperduti luoghi. Queste patologie colpiscono ogni anno 1.700.000.000 persone nel mondo, tra cui molti bambini (il 50% delle persone malate ha meno di 14 anni), causando disabilità ed emarginazione. Inoltre, il tema delle malattie tropicali neglette si intreccia con altre grandi questioni del presente, come le migrazioni, i cambiamenti climatici, la globalizzazione, l’intensificarsi dei flussi turistici.
Alla coordinatrice della comunicazione e della raccolta fondi di AIFO, Federica Dona, chiediamo di spiegarci il motivo per cui un malato guarisce solo con un abbraccio: “Con lo slogan ‘Un malato guarisce solo se qualcuno lo abbraccia’ si intende sottolineare che la guarigione non riguarda solo il trattamento medico, ma anche l’impegno collettivo e la solidarietà verso le persone colpite da malattie dimenticate, come la lebbra. Questo abbraccio simbolico rappresenta la volontà di farsi carico delle necessità di chi troppo spesso è emarginato, sensibilizzando la società e garantendo un sostegno che va oltre la cura fisica. Solo così è possibile restituire dignità, speranza e inclusione ai malati”.
Nella malattia quanto è importante l’inclusione?
“L’inclusione sociale è fondamentale nel trattamento della lebbra. L’emarginazione e la discriminazione aggravano le sofferenze dei malati, mentre l’accoglienza ed il supporto della comunità favoriscono la guarigione fisica e mentale. Un semplice gesto come un abbraccio può avere un impatto psicologico positivo, aiutando a combattere l’isolamento e promuovendo il benessere complessivo dell’individuo”.
Perché stare bene è un diritto?
“Il diritto alla salute è un principio fondamentale riconosciuto a livello internazionale. Non si limita alla semplice assenza di malattia, ma comprende una serie di fattori determinanti per il benessere individuale e collettivo. Secondo AIFO, il diritto alla salute include non solo l’accesso ai servizi sanitari, ma anche ad altri elementi essenziali come un’istruzione, una lavoro, una rete sociale di appartenenza. Garantire questi diritti significa promuovere l’inclusione sociale, l’uguaglianza e la dignità per ogni individuo, assicurando che nessuno venga lasciato ai margini della società e quindi della salute nel suo senso più pieno ed olistico”.
Per quale motivo oggi la lebbra ancora esiste?
“Nonostante la diminuzione dei casi dagli anni in cui s è scoperta la cura ad oggi, la lebbra continua a essere presente in oltre 120 paesi, soprattutto in Africa, Asia e America Latina a causa di condizioni socioeconomiche precarie: la povertà estrema limita l’accesso a servizi sanitari adeguati e favorisce la diffusione della malattia. Mancanza di igiene e alimentazione insufficiente: questi fattori indeboliscono il sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità all’infezione.
Sistemi sanitari deboli: in molte regioni, le infrastrutture sanitarie sono insufficienti per garantire diagnosi precoci e trattamenti tempestivi. Stigma e discriminazione: il pregiudizio associato alla lebbra porta spesso all’emarginazione dei malati, impedendo loro di cercare e ricevere cure appropriate.
Per eliminare definitivamente la lebbra, è fondamentale affrontare questi problemi attraverso interventi integrati che migliorino le condizioni di vita, rafforzino i sistemi sanitari e promuovano l’inclusione sociale. Questa la strategia che AIFO persegue per arrivare a zero disabilità, zero trasmissione, zero discriminazione”.
‘a carità è la proiezione del volto di Cristo sul viso del povero, del sofferente, del perseguitato’: diceva in un discorso del 1955. In quale modo è possibile rendere concreta la ‘Civiltà dell’Amore’, quest’appello di Raoul Follereau?
“La ‘Civiltà dell’Amore’ auspicata da Raoul Follereau è possibile solo se scegliamo di vedere nell’amore e nella solidarietà la chiave per trasformare il mondo. È un richiamo a superare l’indifferenza e a mettere in pratica un amore che diventa azione, che cura le ferite, abbatte le barriere e costruisce un futuro più umano per tutti. E’ quindi necessario che ciascun individuo faccia la propria parte per promuovere la solidarietà, l’inclusione e il rispetto dei diritti umani, combattendo le disuguaglianze e garantendo a tutti l’accesso alle cure e a una vita dignitosa”.
Brevemente, chi è Aifo?
“La nostra storia ha inizio nel 1961, a Bologna, quando un gruppo di missionari comboniani e di volontari decide di fondare un’associazione espressamente ispirata ai valori di amore e giustizia diffusi da Raoul Follereau. A muoverli è il desiderio di lavorare al fianco degli ultimi della terra, gli esclusi, i più fragili, per favorire la loro partecipazione alla vita sociale, per riscattare la loro dignità e per difendere i loro diritti. Il primo impegno concreto che AIFO assume, in linea con l’azione di Follereau, è il contrasto alla lebbra. Il malato di lebbra, infatti, era (e molto spesso è ancora) il simbolo stesso dell’emarginazione: privato di cure, di lavoro, di relazioni. Con il tempo, l’impegno contro la lebbra è diventato l’impegno contro tutte le lebbre, cioè le ferite più profonde della società: emarginazione, ingiustizia, povertà, egoismo”.
Siglato protocollo d’Intesa tra la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e l’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ per l’assistenza e la formazione sanitaria in Egitto

In Casa Santa Marta è stato sottoscritto un protocollo d’intesa per favorire le attività di formazione specialistica in favore di medici e sanitari egiziani e per creare collaborazione scientifica, tra la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e l’Associazione “Bambino Gesù del Cairo”, nell’ambito del “Progetto Salus” che l’Associazione sta promuovendo in Egitto e nei Paesi in cui presta la sua opera di soccorso e di aiuti umanitari ed anche per ulteriori altre forme di collaborazione nell’attività di ricerca e assistenza a favore di pazienti egiziani.
La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli è un ente senza scopo di lucro, costituito dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori e persegue, in conformità ai principi della dottrina cattolica, finalità di tutela della persona umana nell’ambito della ricerca scientifica e dell’innovazione in campo biomedico e sanitario, sia clinico, sia transazionale e nell’ambito dell’assistenza sanitaria e della formazione. La Fondazione ha la titolarità e la gestione del Policlinico Universitario Agostino Gemelli, ospedale di alta specializzazione e di rilievo nazionale.
L’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’ è un ente di beneficenza senza scopo di lucro, il cui presidente è mons. Yoannis Lahzi Gaid, già Segretario di Sua Santità Papa Francesco, che opera in Italia e all’estero , per convertire il principio della fratellanza in azioni di solidarietà e si ispira ai contenuti del Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, voluto da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb , sottoscritto da entrambi il 4 febbraio 2019, nella città di Abu Dhabi.
L’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, il cui slogan è ‘Unire tutti per servire tutti’, rivolta sia ai cristiani, sia ai non cristiani, è nata nel 2019 ed è composta da un gruppo di persone, ecclesiastiche e laiche, che vogliono aiutare chi si trova nel bisogno ed, in particolar modo, i bambini abbandonati dalle proprie famiglie e i bambini orfani, nati senza il diritto di poter ricevere una carezza, un abbraccio, una vera opportunità di crescita, di frequentare scuole, di ricevere cure mediche e soprattutto di sentirsi amati.
La firma del protocollo è avvenuta al seguito della benedizione da parte del Santo Padre di due cliniche mobili del progetto Salus destinate ai bambini ammalati e ai loro familiari in Egitto con la partecipazione di una delegazione egiziana, dal Presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dal Presidente della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dal Presidente della Società italiana RI Group, del Presidente della Fondazione Hospitals Without Borders, dal Presidente della Fondazione Fratellanza Umana in Egitto, dai rappresentanti della Società Teladoc e della Società Butterfly e da alcuni membri e benefattori che hanno contribuito a questa iniziativa.
L’impegno della Chiesa cattolica italiana per il mondo

Di fronte alle sofferenze che continuano ad affliggere la popolazione della Repubblica Democratica del Congo, la Chiesa italiana cerca i far sentire la sua vicinanza alle comunità locali, come racconta, attraverso schede e testimonianze, il terzo Dossier curato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Infatti dal 1991, grazie ai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, la CEI ha sostenuto 1.236 interventi per € 136.000.000: si tratta di progetti in risposta a emergenze e di sviluppo socioeconomico in vari settori: sanità, agricoltura, educazione, formazione.
Particolare attenzione è stata data a interventi con taglio promozionale, pedagogico, di animazione, rivolti alle comunità e con approcci comunitari basati su tutela dei diritti, advocacy, lavoro in rete, nella prospettiva di offrire opportunità anche alle categorie più vulnerabili e discriminate, come donne, anziani e bambini, e di trasmettere conoscenze e strumenti che rendano lo sviluppo autonomo e sostenibile.
Pur essendo un Paese immenso, il più esteso del continente africano dopo l’Algeria, con un’enorme ricchezza naturale nel sottosuolo, ha un’economia fragile ed è costantemente afflitto da violenze, povertà e sconvolgimenti, come racconta il dossier: “Negli ultimi vent’anni l’appetito, mai saziato, di accaparramento di risorse naturali da parte dei tanti soggetti in competizione è stato alla radice dei ripetuti conflitti civili che hanno provocato oltre 6 milioni di vittime, milioni di feriti, mutilati e orfani oltre che un impressionante numero di sfollati e profughi verso i Paesi circostanti”.
Tuttavia, quella della Repubblica Democratica del Congo “è sempre stata una Chiesa profetica: questa dimensione dona speranza alla popolazione. Una popolazione che ha tutti i motivi per essere davvero sconfortata, ma che, con l’aiuto della Chiesa, riesce a mantenere accesa la flebile fiamma della speranza per un futuro migliore. Questa voce profetica è osteggiata dal potere politico, ma noi Pastori non abbiamo paura di svolgere il nostro compito a servizio della popolazione”, sottolinea il card. Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam).
Inoltre per la Cei offrire assistenza sanitaria e migliorare le condizioni di vita delle persone più fragili sono alcune delle sfide che la Chiesa ha raccolto con decisione e dedizione, facendosi prossima a tutti, in ogni angolo del mondo, come dimostrano i numerosi progetti realizzati in diversi Paesi con i fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.
Infatti nell’ultima riunione di luglio, il Comitato per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha approvato 81 nuovi progetti, decidendo lo stanziamento di € 15.262.116, che permetterà di concretizzare 38 iniziative in Africa (€ 8.106.569), 19 in America Latina (€ 2.689.321), 22 in Asia (€ 4.268.302), 1 in Europa (€ 148.580) e 1 in Medio Oriente (€ 49.344). Tra queste, molte riguardano l’ambito sanitario e della cura, come quella promosso in Costa d’Avorio dalle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, che aiuteranno (grazie a materiali, attrezzature e trattamenti farmacologici personalizzati) 50 bambini con patologie gravi, congenite e croniche.
Ad Oweri, in Nigeria, i Servi della Carità dell’Opera Don Guanella amplieranno l’attuale Centro di salute mentale che potrà così garantire riabilitazione, consulenza e cure a 60 ragazzi, dai 6 ai 25 anni, affetti da varie patologie, dalla sindrome di Down e da disturbi dello spettro autistico. Il nuovo edificio erogherà anche trattamenti ambulatoriali ad altri 20 giovani.
In India, le Soeurs des Missions Etrangeres, che gestiscono un Centro a Rawthankuppam nella Diocesi di Pondicherry and Cuddalore, offriranno assistenza sanitaria, alloggio e pasti ai malati di lebbra oltre che formazione professionale agli abitanti di 129 villaggi rurali. In Kazakhstan, la diocesi di Karaganda costruirà la ‘Casa della misericordia’, un luogo dove verrà promosso lo sviluppo integrale di adolescenti e giovani disabili attraverso fisioterapia specifica e percorsi professionali formativi volti all’inserimento sociale e lavorativo. Per assicurare l’approvvigionamento energetico all’ospedale ‘Holy Family’ che fornisce assistenza medica a circa 60.000 persone l’anno, l’arcidiocesi di Karachi, in Pakistan, installerà un impianto fotovoltaico.
Save the Children: in Sudan ed a Gaza i bambini muoiono

“Quasi 230.000 bambini, donne incinte e neomamme rischiano di morire di fame nei prossimi mesi in Sudan, a meno che non vengano stanziati fondi urgenti e la comunità internazionale non si mobiliti per rispondere alla drammatica crisi che colpisce il Sudan”: è l’allarme lanciato da Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Più di 2.900.000 bambini in Sudan sono gravemente malnutriti e altri 729.000 sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta grave, la forma più pericolosa e mortale di fame estrema, secondo i nuovi dati, diffusi dal Cluster per la Nutrizione in Sudan, una partnership che include varie organizzazioni, tra cui Save the Children, le Nazioni Unite e il Ministero Federale della Salute. Di questi bambini, più di 109.000 rischiano di avere complicazioni mediche come disidratazione, ipotermia e ipoglicemia, che richiedono cure intensive e specializzate in ospedale.
Secondo il Cluster, circa 222.000 bambini gravemente malnutriti e più di 7.000 neomamme rischiano di morire nei prossimi mesi se non si farà fronte alle loro esigenze nutrizionali e sanitarie. Si tratta di una proiezione basata sugli attuali livelli di finanziamento del programma di alimentazione d’emergenza in Sudan, che al momento copre solo il 5,5% del fabbisogno totale del Paese. L’anno scorso, invece, il programma di alimentazione d’emergenza era finanziato al 23%, una percentuale di gran lunga inferiore rispetto alle necessità, ma comunque superiore a quella attuale.
La distruzione della catena di approvvigionamento di alimenti terapeutici pronti per l’uso, fondamentali per il trattamento dei bambini gravemente malnutriti, ha ostacolato duramente la risposta degli aiuti alla crisi. In particolare, l’unico produttore di alimenti necessari per la riabilitazione di bambini e donne affetti da malnutrizione acuta grave non è più operativo dopo essere stato distrutto lo scorso anno durante i combattimenti, come ha dichiarato Arif Noor, direttore di Save the Children in Sudan:
“In Sudan la situazione nutrizionale, in particolare la possibilità per i bambini e per gli altri gruppi vulnerabili di accedere al cibo di cui hanno bisogno per crescere e sopravvivere, è una delle peggiori al mondo. Se non si è piantato l’anno scorso, non c’è cibo oggi. Non piantare oggi significa non avere cibo domani. Il ciclo della fame si aggrava sempre di più e all’orizzonte non se ne vede la fine, esiste solo miseria. A dicembre, il territorio di Al-Jazirah, un tempo granaio del Paese, è stato teatro di intensi combattimenti che hanno portato a una nuova ondata di sfollati, con oltre mezzo milione di persone costrette a fuggire dalle proprie case in cerca di sicurezza. Questo ha portato a un’interruzione senza precedenti dei sistemi alimentari”.
Intanto a Gaza i bambini che muoiono di fame e di malattie non possono aspettare il tempo necessario per costruire un porto temporaneo al largo della Striscia, o avere solo la speranza che gli aiuti lanciati dagli aerei li raggiungano: “Pur accogliendo con favore gli sforzi volti a fornire maggiori aiuti a Gaza, compreso quello italiano volto a partecipare ai corridoi marittimi, questi metodi alternativi di consegna degli aiuti rischiano di essere costosi, inefficienti e distraggono dalla soluzione principale per salvare la vita dei bambini e delle famiglie a Gaza: un cessate il fuoco immediato e definitivo, l’accesso sicuro e senza restrizioni per gli aiuti umanitari, attraverso tutti i valichi di frontiera e all’interno della Striscia”.
Finora il Ministero della Sanità di Gaza ha registrato la morte di 18 bambini e due adulti per malnutrizione e disidratazione. Secondo Save the Children con le strutture sanitarie a malapena funzionanti e una minoranza di famiglie in grado di accedere ai servizi, questi numeri sono solo la punta dell’iceberg. A febbraio l’Organizzazione ha riferito che alcune famiglie sono state costrette a cercare gli avanzi di cibo lasciati dai ratti o a mangiare foglie nel tentativo disperato di sopravvivere e la situazione si aggrava ad ogni ora che passa, come ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati: “I bambini di Gaza non possono ancora aspettare il cibo. Stanno già morendo per malnutrizione e salvare le loro vite è una questione di ore o giorni, non di settimane.
La negazione dell’assistenza umanitaria è una grave violazione contro i bambini ed è contraria al diritto internazionale umanitario. Da mesi chiediamo un accesso sicuro e libero in tutta Gaza. Esiste già un sistema collaudato per coordinare efficacemente gli aiuti, ma i camion di cibo e medicinali che potrebbero salvare vite umane aspettano ai valichi, mentre i bambini muoiono di fame a pochi chilometri di distanza. I lanci aerei di beni, senza alcun coordinamento sul campo per chi li raggiunge, e i corridoi marittimi, come quello annunciato ieri, non sono soluzioni per mantenere in vita i bambini.
Né sono sostitutivi di un’assistenza umanitaria senza ostacoli attraverso le rotte terrestri stabilite. Il governo di Israele e i membri della comunità internazionale devono facilitare l’ingresso immediato di beni di prima necessità e commerciali, attraverso tutti i valichi di frontiera disponibili e in tutta la Striscia di Gaza. Per i bambini di Gaza ogni minuto è importante. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco definitivo ora e, nel frattempo, è necessario garantire l’accesso umanitario immediato e senza ostacoli attraverso tutte le vie disponibili”.
Save the Children chiede un cessate il fuoco immediato e definitivo per salvare e proteggere la vita dei minori a Gaza, un’effettiva attuazione delle misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia e ha invitato il governo israeliano a consentire il flusso illimitato di aiuti e la ripresa dell’ingresso di beni commerciali a Gaza per evitare che i bambini muoiano di fame e di malattie.
L’Organizzazione chiede inoltre a tutti i governi donatori e al resto della comunità internazionale di riprendere e aumentare il più rapidamente possibile i finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA), da cui dipende la risposta degli aiuti a Gaza.
In Italia non ci si cura

Tra il 2010 e il 2019, in Italia la quota di PIL destinata alla spesa sanitaria pubblica corrente è stata in media del 6,6%, in linea con Spagna (6,5%) e Portogallo (6,7%), superiore alla Grecia (5,1%), ma sensibilmente inferiore a Regno Unito (11,4%), Germania (9,4%) e Francia (8,9%). Negli stessi anni, per effetto delle politiche di consolidamento fiscale implementate dopo la crisi dei debiti sovrani seguita alla recessione del 2009, nelle economie europee con maggiori problemi di finanza pubblica si è ridotta anche la spesa sanitaria pro capite, indicatore correlato anche alla tipologia e qualità dei servizi offerti e alla composizione per età della popolazione.
Il presidente Mattarella inaugura la ‘Casa dell’Amicizia’ della Comunità di Sant’Egidio

“C’è un senso di riconoscenza e di profondo apprezzamento per quello che fate: offrire e assicurare a chi ne ha bisogno, e non saprebbe altrimenti come provvedere, da una visita oculistica o ortopedica all’avvio alla scuola, dagli abiti al riconoscimento di opportunità che non si conoscono, dalla richiesta di cittadinanza all’avvio al lavoro.
Fondazione Moressa: 2.400.000 lavoratori immigrati producono € 154.000.000.000 di PIL (9%)

La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5.000.000 ad inizio anno, pari all’8,6% del totale e l’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. Gli indicatori demografici spiegano bene la diversa tendenza: tra gli stranieri vi sono 11,0 nati ogni mille abitanti e 2,0 morti; tra gli italiani, 6,3 nati e 13,0 morti per mille abitanti.
Vanessa Palucchi: il Terzo Settore è necessario per il welfare italiano

“L’attuale sistema di welfare risulta essere frammentato e non in grado di garantire la presa in carico tempestiva, globale e continuativa di chi si trova in condizioni di fragilità, marginalità o è a rischio esclusione sociale. E’ un sistema che non riesce a promuovere quella coesione sociale imprescindibile per superare le diseguaglianze e contrastare le crescenti forme di povertà, oltre che per affrontare le emergenze sanitarie, economiche e sociali. E che deve, quindi, essere progressivamente sostituito da un modello inclusivo basato sul riconoscimento dei diritti”:
La Cei stanzia € 6.000.000 per 44 nuovi progetti

Nella riunione del 17 marzo, il Comitato per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha approvato 44 nuovi progetti, per i quali saranno stanziati € 6.041.987così suddivisi: € 2.768.741 per 15 progetti in Africa, € 1.660.304 per 12 progetti in America Latina; € 1.528.609 per 15 progetti in Asia; € 84.333 per 2 progetti in Medio Oriente.