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A Camaiore i volontari vincenziani per essere pellegrini di speranza

Si svolgerà sabato 15 Febbraio nella Meeting Room dell’Hotel ‘Versilia Lido UNA Esperienze’ di Camaiore (LU), l’Assemblea regionale Toscana della Società di San Vincenzo De Paoli, dal titolo ‘Volontari Vincenziani: pellegrini di speranza?’ Il Giubileo 2025, con il suo motto ‘Pellegrini di speranza’, invita ogni uomo a sperimentare la speranza con autenticità. A mettersi in cammino mantenendo fisso lo sguardo sulla virtù teologale.

Soci e membri dei Consigli Centrali della Toscana si incontreranno per dialogare sulla forza della speranza che deve sempre accompagnare e sostenere i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli, insieme all’amore per il servizio.

“Sull’esempio di San Vincenzo De’ Paoli, un pellegrino di speranza alla costante ricerca della volontà del Padre, il volontario è chiamato a mostrare la sua generosa dedizione ai più disprezzati con lo sguardo penetrante della fede, la forza invincibile dell’amore e l’orizzonte incoraggiante aperto dalla speranza”, esorta p. Francesco Gonella, assistente spirituale nazionale della Società di San Vincenzo De Paoli.

La sfida è quella di stimolare ogni volontario a non arrendersi. A essere dei rivoluzionari, rivoluzionari del bene. A mantenere vivo il carisma racchiuso nella frase latina ‘Serviens in spe – Al servizio, nella speranza’, riportata accanto al logo della Società San Vincenzo De Paoli:  “La speranza racchiude quel senso di responsabilità che guida i volontari nel cammino di cura e aiuto verso le persone svantaggiate” dichiara la presidente della Federazione Nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Paola Da Ros.

L’evento è stato fortemente voluto da Giancarlo Salamone al termine del suo mandato di Coordinatore Regionale della Toscana. Salamone è tuttora Responsabile Nazionale del Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo: “Incontrarsi è un’opportunità per crescere, scambiarsi idee e buone pratiche. Così come a inizio mandato, ho voluto incontrare i confratelli e le consorelle della Toscana.   

L’assemblea regionale sarà un evento per riflettere insieme sul volontariato, una preziosa risorsa al servizio del bene comune nel segno della gratuità”, dichiara e conclude Giancarlo Salamone: “Ogni volontario, con scelte di coraggio, lavora per la costruzione di un mondo migliore e risponde a continue sfide senza mai tralasciare la speranza”.

Interverranno Paola Da Ros, presidente della Federazione nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Padre Francesco Gonella, Assistente Spirituale Nazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, Monsignore Leonardo Della Nina, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Lucca, Anna Graziani, Assessore con Delega al Sociale del Comune di Camaiore. La giornata si concluderà con la celebrazione della messa.

La Società di San Vincenzo De Paoli, fondata a Parigi nel 1833 dal beato Antonio Federico Ozanam insieme ad un gruppo di giovani studenti, con più di undicimila e cinquecento volontari in Italia, distribuiti in 914 realtà locali, è accanto a chi vive in condizioni di disagio. Questo gli consente di seguire ogni anno 30mila famiglie. Con amicizia e vicinanza, in un cammino di crescita, i volontari combattono quotidianamente l’esclusione sociale.

Papa Francesco ricorda alla Congregazione di san Vincenzo de’ Paoli il ‘fuoco’ della missione

“Mentre la Congregazione della Missione si prepara a commemorare il quarto centenario della sua fondazione, porgo affettuosi auguri a Lei, ai sacerdoti e ai fratelli della Congregazione e a tutti i membri della grande Famiglia vincenziana. Prego affinché questo significativo anniversario sia un’occasione di grande gioia e di rinnovata fedeltà alla concezione del discepolato missionario, fondato sull’imitazione dell’amore preferenziale di Cristo per i poveri”: così inizia il messaggio scritto da papa Francesco a p. Tomaz Mavric, superiore generale della Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli in occasione dei 400 anni di fondazione.

Nel messaggio il papa ha ripercorso la storia della nascita delle opere di carità di quello che oggi chiamiamo la ‘San Vincenzo’: “Gli inizi della vostra Congregazione sono radicati nella profonda esperienza personale di san Vincenzo de’ Paoli, in quel ‘fuoco d’amore’ che ardeva nel cuore del Figlio di Dio incarnato e che lo portò a identificarsi con i poveri e gli emarginati.

Angosciato per la mancanza di cure pastorali nelle campagne francesi, all’inizio del 1617 decise di organizzare le missioni volte a fornire un’istruzione catechistica di base e incoraggiare un ritorno ai sacramenti. Un sogno che avrebbe portato a compimento, circa otto anni dopo, con la fondazione della Congregazione della Missione il 17 aprile 1625”.

E’ stato un inizio con forte impulso missionario: “Nei primi sette anni di vita, i sacerdoti e i fratelli della Congregazione svolsero 140 missioni. Tra il 1632 e il 1660, i missionari della Casa madre di Parigi organizzarono altre 550 missioni. A partire dal 1635, con la nascita di comunità fuori Parigi, furono avviate centinaia di altre missioni. Questa notevole espansione testimonia la fecondità religiosa e missionaria dello zelo sacerdotale di San Vincenzo e la sua sete di convertire i cuori e le menti a Cristo”.

Inoltre il papa ha sottolineato anche l’importante ruolo delle donne nelle opere di carità nella società: “Nella sua opera di sensibilizzazione verso i poveri, Vincenzo si rese subito conto che le opere di carità dovevano essere ben organizzate. Le donne furono le prime a raccogliere questa sfida. Nel 1617, nella parrocchia di Châtillon, fondò la prima delle ‘Confraternite della Carità’, che continuano oggi come Associazione Internazionale di Carità o Volontariato Vincenziano.

Nel 1633, insieme a Santa Luisa de Marillac, fondò una forma rivoluzionaria di comunità femminile, le ‘Figlie della Carità’. Fino a quel momento, le religiose vivevano nei monasteri; le Figlie della Carità furono invece inviate nelle strade di Parigi per servire gli ammalati e i poveri. Questa innovazione darà i suoi frutti in una vera e propria proliferazione di Congregazioni religiose femminili dedite alle opere apostoliche nei secoli successivi”.

E si dedicò anche alla formazione del clero, per cui il papa ha invitato a non dimenticare questa eredità spirituale: “In questo anniversario, è opportuno riflettere sull’eredità spirituale, sullo zelo apostolico e sulla cura pastorale che san Vincenzo de’ Paoli ha trasmesso alla Chiesa universale. L’elenco di coloro che hanno assimilato la spiritualità vincenziana e l’hanno vissuta eroicamente nel corso degli anni è lungo e abbraccia tutti i continenti…

Ancora oggi, sulle orme di san Vincenzo, la sua famiglia continua ad avviare opere di carità, ad intraprendere nuove missioni e ad aiutare nella formazione del clero e del laicato. Più di 100 rami di sacerdoti, fratelli, sorelle, laici e uomini costituiscono oggi la famiglia vincenziana. La Società di San Vincenzo de’ Paoli, fondata nel 1833 dal Beato Frédéric Ozanam, è diventata una straordinaria forza di bene al servizio dei poveri, con centinaia di migliaia di membri in tutto il mondo”.

Quindi la ‘crescita’ missionaria è la ‘forza’ della congregazione: “La Congregazione della Missione sta vivendo attualmente nuovi segni di crescita. Le Province più giovani, soprattutto in Asia e in Africa, dove le vocazioni alla Congregazione sono fiorenti, hanno risposto alla chiamata di iniziare missioni in altri Paesi. La Congregazione continua anche a intraprendere nuove opere creative tra i bisognosi”.

Una missione attenta ai poveri: “Penso all’ ‘Alleanza Famiglia Vincenziana con le persone senza fissa dimora’, un’iniziativa internazionale per fornire alloggi a prezzi accessibili alle persone senzatetto, ispirata all’esempio di Vincenzo de’ Paoli, che iniziò il suo lavoro nei loro confronti nel 1643, costruendo tredici case a Parigi per i poveri. Questa iniziativa intende svilupparsi nei Paesi dove sono presenti i vincenziani con la costruzione di altre case superando così l’obiettivo iniziale di accogliere 10.000 persone”.

Ed il carisma di san Vincenzo de’ Paoli è un arricchimento per la Chiesa: “Quattro secoli dopo la fondazione della Congregazione della Missione, non c’è dubbio che il carisma di San Vincenzo de’ Paoli continui ad arricchire la Chiesa attraverso i vari apostolati e le buone opere dell’intera Famiglia vincenziana.

Spero che le celebrazioni del quarto centenario mettano in evidenza l’importanza della concezione di San Vincenzo del servizio a Cristo nei poveri per il rinnovamento della Chiesa del nostro tempo, nella sequela missionaria e nell’aiuto ai bisognosi e agli abbandonati nelle molte periferie del nostro mondo e ai margini di una cultura superficiale e ‘usa e getta’.

Sono convinto che l’esempio di San Vincenzo possa ispirare in modo particolare i giovani, che con il loro entusiasmo, la loro generosità e la loro preoccupazione per la costruzione di un mondo migliore, sono chiamati a essere testimoni audaci e coraggiosi del Vangelo tra i loro coetanei e ovunque si trovino”.

(Foto: Congregazione San Vincenzo de’ Paoli)

I vescovi della Puglia non legittimano la guerra

“Questa sera siamo qui, insieme, come Popolo di Dio, non semplicemente per pregare invocando il dono della pace, ma per celebrarla. In un mondo segnato dalla piaga delle guerre, noi celebriamo la pace, la pace con la ‘P’ maiuscola, quella vera, la sola in grado di trasformare nel profondo il cuore dell’uomo: Cristo Gesù! E’ Lui il vero nome della pace… Non è possibile legittimare la guerra neanche dinanzi a ingiustizie criminali. La guerra è sempre un tornare indietro e un aprire alla barbarie”: lo ha affermato mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pugliese (Cep), nell’omelia pronunciata nella celebrazione eucaristica nella basilica di San Nicola a Bari, durante l’assemblea ordinaria dei vescovi pugliesi, svoltasi fino al 15 gennaio presso l’Oasi francescana ‘De Lilla’ di Bari.

Nell’omelia l’arcivescovo di Bari ha invitato ad essere ‘servitori luminosi’ come il santo barese: “Da sempre il Signore ci ha pensati e plasmati come servitori luminosi della Sua Parola che arreca pace e salvezza, perché tale salvezza possa raggiungere tutti, ma proprio tutti, come afferma il profeta Isaia… San Nicola, con i suoi gesti, con la sua vita, ci richiama insistentemente al nostro essere servitori luminosi del Regno di Dio, un Regno che si va realizzando nella storia, nonostante a volte sembri che le tenebre dell’odio e della vendetta prevalgano, dissimulando la verità luminosa della pace e della salvezza”.

La Bibbia invita ad essere custode del ‘gregge’: “Custodire implica un amore unico e totalizzante nei confronti del Signore, nostra Pace, che ci chiede: ‘mi ami tu, più di tutto il resto?’. Solo un amore grande per il Signore può aprirci a un’alterità da custodire e non da manipolare in maniera dispotica e indegna, passando dalla logica mortifera di Caino a quella feconda di vita a cui Cristo ci orienta; dalla logica prepotente e omicida, alla pace di popoli fratelli che si riscoprono insieme eredi di un’unica Promessa di futuro, la quale si realizza nelle reciproche libertà”.

Un ‘appello’ alla pace ed alla custodia che è sfida evangelica: “Ecco la sfida evangelica: mettersi in gioco, sapendo rigenerare le relazioni, i valori del vivere, alimentando la cultura dell’incontro, perché da indifferenti e ostili si possa divenire ospitali. L’immagine dei pascoli, in cui il Signore desidera pascere il suo popolo, e che attraversa tutta la liturgia della Parola, accende la nostra fantasia, rievocando orizzonti ampi, profumi intensi che aprono a respiri profondi. ‘Inspirare’ la pace, accoglierla in noi, facendole spazio nei pensieri, nei sentimenti, nei gesti, nei linguaggi: questo ci aiuta a viverne la profezia”.

Tutto ciò si può ottenere attraverso la preghiera: “C’è una sottile operazione di discredito sul tema della pace che, come Chiesa, non possiamo sottacere e, dinanzi alla quale dobbiamo abbracciare con forza la risorsa della preghiera. La preghiera è patrimonio di tutti e, in particolare, la preghiera d’intercessione, vissuta da Gesù sulla croce, ha il sapore della misericordia e l’obiettivo della riconciliazione”.

La pace si ‘ottiene’ solo se uno è capace di viverla: “Non ci può essere pace nel mondo se prima non ci lasciamo abitare da lei, se non ci lasciamo rappacificare intimamente dalla voce del Signore che richiama ciascuno, con il suo amore impossibile, a realizzare tutto il bene possibile”.

Per questo ha chiamato gli operatori di pace ‘audaci’: “I veri audaci non sono quelli che in nome di una causa, giusta per quanto sia, uccidono i fratelli. Veri audaci sono piuttosto coloro che coltivano la pace come frutto della giustizia, secondo l’espressione del profeta Isaia. La non-violenza è l’unica scelta cristiana in linea con il Vangelo di Gesù Cristo”.

Quindi l’altro passo, che non può essere disgiunto dalla pace è la preghiera: “Il perdono di Cristo ci aiuta a trovare il pascolo comune dove possiamo condividere il cibo della pace con chiunque, con il povero e con il ricco, con l’amico e con il nemico, con il fratello e con lo straniero. Un pascolo comune dove approdare insieme, sapendoci fidare di quella parola perentoria e soave: Seguimi”.

Così ha fatto san Nicola di Mira: “Il Santo vescovo di Mira, nostro grande intercessore, ha seguito il Signore nella sua vita così da diventare egli stesso segno efficace del suo Amore, pastore vittorioso non nel potere o nel successo, ma in quella peculiare capacità di edificare il Regno di Dio in mezzo agli uomini. Da qui, da questo altare, da questa comunione vissuta, desideriamo implorare l’aiuto del Signore mediante l’intercessione di Nicola”.

XXIX Domenica Tempo Ordinario. La meta del cristiano: essere grande nel Regno dei Cieli 

Il brano del Vangelo ha due momenti: l’episodio dei due fratelli Giacomo e Giovanni; Gesù offre la dimensione vera del regno di Dio. Scrive Papa Francesco: siamo dinnanzi a due logiche diverse: gli Apostoli vivono secondo la logica mondana e vorrebbero solo emergere, si preoccupano chi dovrà occupare il primo posto o i posti più significativi; Cristo Gesù viceversa addita la logica divina che invita ad immergersi nella passione e morte dalla quale nasce la Nuova Alleanza per salvare l’uomo di tutti i tempi. 

Gesù evidenzia ai suoi discepoli che nel Regno di Dio regnare, comandare, occupare i primi posti significa ‘servire’. I Discepoli vedono duro il linguaggio del Maestro; si ribellano al pensiero della passione morte annunziata da Gesù e finiscono nella proposta avanzata dai due fratelli (Giacomo e Giovanni) di potere sedere accanto a Gesù l’uno a destra, l’altro a sinistra.: è la sete del primeggiare, la sete dell’interesse e dell’arrivismo proprio dell’uomo; è la logica mondana.

Vero è che Gesù amava definirsi ‘figlio dell’uomo’ ma questa parola nel linguaggio di Cristo acquista un significato diverso: secondo la logica terrena e la tradizione l’uomo è arrivista, autoritario, condottiero formidabile capace di debellare i nemici. Nella logica divina Gesù si definisce ‘Figlio dell’uomo’, perchè ama l’uomo, serve l’uomo, è pronto a dare la vita per salvare l’uomo. 

Gesù, vero Signore e Maestro, scegli di stare con i suoi discepoli  per insegnare ad anteporre la logica del servire alla logica del potere e del dominio; a porre al primo posto l’amore, il dare, offrire la propria vita piuttosto che mirare al propri tornaconto, all’utilità privata. Il Figlio dell’uomo è venuto per servire l’uomo e dare la sua vita in riscatto per tutti.

La Liturgia di questa domenica è quella che ci riporta proprio alla Liturgia pasquale; Gesù ne parla con chiaro simbolismo e chiede ai due discepoli; potete bere il calice che io bevo? ricevere il battesimo con il quale io sono battezzato? ed invita così i suoi a cambiare mentalità, accettare l’umiliazione e la sofferenza,  la purificazione del cuore,  rinascere ad una vita nuova e diversa.

Con il termine ‘Battesimo’ (dal greco = immersione) Gesù lascia intravedere le acque della sofferenza; Egli infatti sconfigge il mondo quando sale sulla Croce e crocifisso, morto e risorto, sconfigge la morte e dà vita alla sua Chiesa: il regno di Dio tra gli uomini. Lo stesso centurione romano ne dà conferma quando, vedendo morire Gesù al calvario, battendosi il petto, esclama: ‘Costui era veramente il Figlio di Dio’. 

Gesù non intende criticare il potere politico dove ognuno cerca di primeggiare sull’altro, ma vuole evidenziare che il modello politico non può essere preso a modello dai suoi discepoli  dove regnare è amare, amare è servire. Lo spirito del Vangelo, il servire esige ‘compassione’ sincera e partecipazione ai bisogni dell’uomo; in una parola: amore che = ti voglio bene;  voglio il tuo bene e non cerco la mia utilità.

Questo è Cristo Gesù, il Figlio di Dio su cui siamo chiamati a modellare la nostra identità di cristiani, il nostro ruolo nella Chiesa e nella società civile.  La storia è maestra della vita! In venti secoli di cristianesimo quanti  re, imperatori, uomini politici del presente e del passato si sono lievitati a questa scuola?; si sono immedesimati non con le parole ma con i fatti a seguire il messaggio di Cristo?

Quanti nella Chiesa Papi, Vescovi, Sacerdoti e Laici impegnati si sono adoperati a modellare il proprio comportamento al messaggio cristiano?. Il Vangelo ci invita oggi a riflettere, a meditare sul messaggio di Cristo Gesù: ‘Fra voi però non è così, chi vuole essere grande tra voi, si farà vostro servitore; chi vorrà essere il primo tra voi sarà il servo di tutti’.

L’ambizione di Giacomo e Giovanni, che cercano i primi posti, sollecita Gesù ad insegnare ai suoi discepoli quale è la vera grandezza: non dominare sugli altri ma servire i fratelli con amore  e rivolgersi al Signore con umiltà e accostarci a Dio  con piena fiducia come il bambino con i genitori e attendere con serenità di figli il compimento della sua volontà.

Vi ho dato l’esempio, dice Gesù, come ho fatto io, fate anche voi. Amare allora come ha amato Gesù; amare non per quello che gli uomini possono darti ma per quello che sono; l’amore, se è vero amore, è disinteressato.

Papa Francesco ai nuovi cardinali: siate diaconi

Tavoli Sinodo dei Vescovi

In vista del prossimo concistoro di dicembre papa Francesco ha scritto una lettera ai ‘nuovi’ cardinali, prendendo spunto rende spunto da un poeta argentino, Francisco Luis Bernárdez: “Un’appartenenza che esprime l’unità della Chiesa e il legame di tutte le Chiese con questa di Roma. Ti incoraggio a far sì che il tuo cardinalato incarni quelle tre attitudini con cui un poeta argentino (Francisco Luis Bernárdez) descriveva san Giovanni della Croce, ma che si addicono anche a noi: occhi alti, mani giunte, piedi nudi”.

Ed ha descritto queste tre parole: “Occhi alti, perché il tuo servizio richiederà di ampliare lo sguardo e dilatare il cuore, per poter guardare più lontano e amare più universalmente con maggiore intensità. Entrare alla scuola del Suo sguardo (Benedetto XVI) che è il costato aperto di Cristo.

Mani giunte, perché ciò di cui la Chiesa ha più bisogno (insieme all’annuncio) è la tua preghiera per pascere bene il gregge di Cristo. La preghiera, che è l’ambito del discernimento per aiutarmi a ricercare e trovare la volontà di Dio per il nostro popolo, e seguirla.

Piedi nudi, toccando la durezza della realtà di tanti angoli del mondo frastornati dal dolore e dalla sofferenza per la guerra, la discriminazione, la persecuzione, la fame e molte forme di povertà che esigeranno da Te tanta compassione e misericordia. RingraziandoTi per la generosità, prego per Te affinché il titolo di ‘servo’ (diacono) offuschi sempre più quello di eminenza”.

Mentre ieri la relazione del card. Hollerich è stata preceduta dalla meditazione di p. Timothy Radcliffe, che “ha esplorato i processi di trasformazione della Chiesa attraverso la pagina evangelica di Gesù che incontra la donna cananea. Il silenzio di Gesù è visto come un momento di ascolto profondo. E questo silenzio rappresenta un’opportunità per la Chiesa di confrontarsi con interrogativi complessi e di accogliere le grida di chi cerca aiuto”.

P. Radcliffe ha invitato a riflettere su interrogativi fondamentali, come la relazione tra uguaglianza e differenza e il ruolo della Chiesa come comunità di battezzati con gerarchie, vocazioni e ruoli diversi. Questi interrogativi richiedono una convivenza attenta e una preghiera continua, piuttosto che risposte semplicistiche e immediate. E così la risposta di Gesù (Ti sia fatto come desideri)) è un segno di apertura e inclusione, e mostra la creatività divina nel superare le barriere e nell’accogliere l’identità, lo sguardo di chi è diverso”.

Mentre da Vatican News mons. Ignace Youssef III Younan, patriarca siro-cattolico di Antiochia, ha lanciato un appello per il Libano: “Bene ha detto il Papa che non è più accettabile la violenza che sta aumentando in Libano. Questo piccolo Paese era una perla del Medio Oriente e di tutta la regione, purtroppo ne hanno abusato in tanti…

Il Papa è molto vicino ai libanesi e richiama i belligeranti ad assicurare la pace… Penso che saranno d’accordo tutte le confessioni sul fatto che il Libano deve riprendere ad essere un Paese indipendente, aperto a tutti, con gli stessi diritti, che non ci siano interferenze da fuori. Questo penso che i libanesi già lo sanno”.

Papa Francesco: servire con gioia la missione

Papa Francesco è arrivato in Belgio, dopo l’ultimo incontro con la comunità cattolica di Lussemburgo nella Cattedrale di Notre Dame, in cui ha ripreso un tema dell’Antico Testamento: “la vedova, l’orfano e lo straniero. Avere compassione, dice il Signore, già nell’Antico Testamento, degli abbandonati. A quel tempo le vedove erano abbandonate, gli orfani pure e così gli stranieri, i migranti. I migranti rientrano all’interno della rivelazione. Grazie tante al popolo e al governo lussemburghese per quello che fanno per i migranti, grazie!”

L’incontro con la comunità cattolica lussemburghese avviene in un momento particolare: “Il nostro incontro avviene in concomitanza con un importante Giubileo mariano, con cui la Chiesa lussemburghese ricorda quattro secoli di devozione a Maria Consolatrice degli afflitti, Patrona del Paese. A tale titolo ben si intona il tema che avete scelto per questa visita: ‘Per servire’. Consolare e servire, infatti, sono due aspetti fondamentali dell’amore che Gesù ci ha donato, che ci ha affidato come missione e che ci ha indicato come unica via della gioia piena”.

Ed ha pregato la Madre di Dio in questa apertura dell’Anno mariano per essere missionari della gioia del Vangelo: “Consolare e servire, infatti, sono due aspetti fondamentali dell’amore che Gesù ci ha donato, che ci ha affidato come missione e che ci ha indicato come unica via della gioia piena. Per questo tra poco, nella preghiera di apertura dell’Anno mariano, chiederemo alla Madre di Dio di aiutarci ad essere ‘missionari, pronti a testimoniare la gioia del Vangelo’, conformando il nostro cuore al suo ‘per metterci al servizio dei nostri fratelli’. Possiamo allora fermarci a riflettere proprio su queste tre parole: servizio, missione e gioia”.

Quindi il servizio: “Poco fa è stato detto che la Chiesa lussemburghese vuol essere ‘Chiesa di Gesù Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire’. Ed è stata pure richiamata l’immagine di San Francesco che abbraccia il lebbroso e ne cura le piaghe. Io, del servizio, vorrei raccomandarvi un aspetto oggi molto urgente: quello dell’accoglienza… Vi incoraggio, dunque, a rimanere fedeli a questa eredità vostra, a questa ricchezza che voi avete, continuando a fare del vostro Paese una casa amica per chiunque bussi alla vostra porta chiedendo aiuto e ospitalità”.

Più che servizio è questione di giustizia: “E’ un dovere di giustizia prima ancora che di carità, come già diceva San Giovanni Paolo II quando ricordava le radici cristiane della cultura europea. Egli incoraggiava proprio i giovani lussemburghesi a tracciare il cammino per ‘un’Europa non solo delle merci e dei beni, ma dei valori, degli uomini e dei cuori’, in cui il Vangelo fosse condiviso ‘nella parola dell’annunzio e nei segni dell’amore’, ambedue le cose. Lo sottolineo perché è importante: un’Europa, e un mondo, in cui il Vangelo sia condiviso nella parola dell’annuncio unita ai segni dell’amore”.

Questi elementi porta ad una Chiesa in missione: “Non si ripiega su sé stessa, triste, rassegnata, risentita, no; accetta piuttosto la sfida, nella fedeltà ai valori di sempre, di riscoprire e rivalorizzare in modo nuovo le vie di evangelizzazione, passando sempre più da un semplice approccio di cura pastorale a quello di annuncio missionario – e ci vuole coraggio. E per fare questo è pronta ad evolvere: ad esempio nella condivisione di responsabilità e ministeri, camminando insieme come Comunità che annuncia e facendo della sinodalità un ‘modo duraturo di relazionarsi’ tra i suoi membri”.

Ha lodato i giovani per lo spettacolo ‘Laudato sì’: “E del valore di questa crescita ci hanno mostrato un’immagine bellissima i giovani amici che hanno interpretato, poco fa, alcune scene del musical ‘Laudato ìi’. Bravi, hanno fatto bene! Grazie per il dono che ci avete fatto! Il vostro lavoro, frutto di uno sforzo comunitario che ha coinvolto molti nell’Arcidiocesi, è per tutti noi un segno doppiamente profetico! Ci ricorda, in primo luogo, le nostre responsabilità nei confronti della ‘casa comune’, di cui siamo custodi e non despoti. Poi però ci fa anche riflettere su come tale missione, vissuta insieme, costituisce in sé un meraviglioso strumento corale per dire a tutti la bellezza del Vangelo”.

Ed infine la gioia: “La nostra fede è così: è gioiosa, ‘danzante’, perché ci dice che siamo figli di un Dio amico dell’uomo, che ci vuole felici e uniti, e che di nulla è più contento che della nostra salvezza. E su questo, per favore: alla Chiesa fanno male quei cristiani tristi, noiosi, con la faccia lunga. No, questi non sono cristiani. Per favore, abbiate la gioia del Vangelo: questo ci fa credere e crescere tanto”.

Ha concluso l’incontro ricordando una tradizione di questo Stato, la processione di primavera ‘Springprozession’: “Ricordiamo che il re Davide danzava davanti al Signore e questa è un’espressione di fedeltà. Grandi e piccoli, tutti ballano insieme verso la Cattedrale (quest’anno perfino sotto la pioggia, ho saputo), testimoniando con entusiasmo, nel ricordo del santo Pastore, quanto è bello camminare insieme e ritrovarci tutti fratelli attorno alla mensa del nostro Signore. E qui, soltanto una parolina: per favore, non perdere la capacità di perdono. Sapete che tutti dobbiamo perdonare, ma sapete perché? Perché tutti siamo stati perdonati e tutti abbiamo bisogno di perdono”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco in Lussemburgo chiede impegno per l’Europa

“A motivo della sua particolare posizione geografica, sul confine di differenti aree linguistiche e culturali, il Lussemburgo si è trovato spesso ad essere al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee; per ben due volte, nella prima metà del secolo scorso, ha dovuto subire l’invasione e la privazione della libertà e dell’indipendenza”: papa Francesco questa mattina è stato ricevuto dai reali di Lussemburgo nel viaggio apostolico, che fino a domenica 29 settembre lo condurrà anche in Belgio.

Nel discorso alle autorità del Paese, dove il pil pro capite è il più alto nel mondo, nel cuore dell’Europa il papa ha evidenziato l’impegno per ‘costruire’ l’Europa: “Ammaestrato dalla sua storia (la storia è maestra della vita), a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il vostro Paese si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose. Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia”.

Ha anche evidenziato l’essenzialità della democrazia: “A sua volta, la solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale. In effetti, non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario.

Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione. Il Lussemburgo è un Paese dalle porte aperte, una bella testimonianza di non discriminazione e non esclusione”.

Ricordando il viaggio apostolico compiuto nel 1985 da san Giovanni Paolo II ha rimarcato l’importanza della Dottrina Sociale della Chiesa: “La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo. Anch’io mi sono inserito nella scia di questo magistero approfondendo due grandi tematiche: la cura del creato e la fraternità. Lo sviluppo, infatti, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali: tutti, tutti fratelli”.

Quindi proprio in questo Paese il papa ha ribadito la necessità di aiutare i Paesi più poveri: “La ricchezza (non dimentichiamolo) è una responsabilità. Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le Nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento. Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose.

Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati. E voi siete un modello di questo”.

Inoltre ha sottolineato l’inconsistenza dell’Europa, che ancora una volta è in guerra: “Purtroppo, si deve constatare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte. Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra. Siamo smemorati in questo”.

Per il papa la guerra è causa di una dimenticanza dell’umanità: “Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le Nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali. Saranno questi valori a impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale. Il Lussemburgo è proprio al centro della capacità di fare l’amicizia ed evitare queste strade. Io direi: è una delle vostre vocazioni”.

E proprio questo Paese può mostrare l’utilità della pace: “Il Lussemburgo può mostrare a tutti i vantaggi della pace rispetto agli orrori della guerra, dell’integrazione e promozione dei migranti rispetto alla loro segregazione (e su questo vi do tante grazie: quello spirito di accoglienza dei migranti e anche dare loro un inserimento nella vostra società, questo arricchisce), i benefici della cooperazione tra le Nazioni a fronte delle nefaste conseguenze dell’indurimento delle posizioni e del perseguimento egoistico e miope o addirittura violento dei propri interessi”.

Il discorso del papa è terminato con un appello all’aumento demografico: “E mi permetto di aggiungere una cosa. Ho visto la percentuale delle nascite: per favore, più bambini, più bambini! È il futuro. Non dico più bambini e meno cagnolini (questo lo dico in Italia), ma più bambini!

Vi è infatti un impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace”.

Questo è il significato del motto di questa visita: “Per servire: con questo motto sono venuto tra voi. Esso si riferisce direttamente ed eminentemente alla missione della Chiesa, che Cristo, Signore fattosi servo, ha inviato nel mondo come il Padre aveva inviato Lui. Ma permettetemi di ricordarvi che questo, il servire, è anche per ognuno di voi l’alto titolo di nobiltà.

Il servizio è per voi anche il compito principale, lo stile da assumere ogni giorno. Il buon Dio vi conceda di farlo sempre con animo lieto e generoso. E coloro che non hanno fede lavorino per i fratelli, lavorino per la patria, lavorino per la società. Questa è una strada per tutti, sempre per il bene comune!”

(Foto: Santa Sede)

Il papa in Belgio per l’Università Cattolica: in dialogo con Isabelle Decoster

Dopo il viaggio apostolico in Asia ed in Oceania, dal 26 settembre al 29 settembre papa Francesco si recherà in Lussemburgo ed in Belgio, accogliendo l’invito dei rispettivi Capi di Stato e delle autorità ecclesiastiche; un viaggio apostolico scandito da molti incontri. La prima tappa sarà in Lussemburgo, dove il papa incontrerà il Granduca del Lussemburgo e le autorità civili. Prima di partire per il Belgio incontrerà la comunità religiosa.

In Belgio incontrerà il re, le autorità civili, i giovani ed i sacerdoti, ma soprattutto i docenti universitari della ‘Katholieke Universiteit Leuven’, l’università cattolica di Lovanio, una delle più antiche d’Europa, che nel 2025 celebra il 600^ anniversario di fondazione. Il motto della  prima tappa in Lussemburgo del viaggio apostolico papale è ‘Pour servir’, che si riferisce a Cristo, che è venuto ‘non per essere servito ma per servire’; mentre il motto di quello in Belgio si intitola ‘En route, avec Espérance’, che, come spiega la nota della Conferenza episcopale belga “risuona come una chiamata a camminare insieme, sulla strada che è la storia del Paese, ma è anche il Vangelo, la via di Gesù Cristo, nostra Speranza”.

Nei mesi scorsi l’arcivescovo di Bruxelles, mons. Luc Terlinden, ex allievo dell’Università Cattolica di Lovanio, aveva espresso gratitudine al papa per questa visita apostolica: “La Chiesa cattolica del Belgio è molto grata a papa Francesco per questa visita eccezionale… In effetti, il papa conobbe diversi belgi nei suoi anni giovanili in Argentina. Penso che sia stato soprattutto il suo cuore a parlare. Ma soprattutto, non dimentichiamo che questa visita rientra nella celebrazione del 600° anniversario delle nostre due università di Lovanio. Si tratta quindi di un’occasione molto speciale, poiché il papa viene ad incontrare anche il mondo intellettuale e scientifico del nostro Paese e, per estensione, la società belga e le sue diverse componenti”.

Quindi l’occasione della visita del papa è il 600° anniversario della KU Leuven e dell’UC Louvain che si celebrerà nel 2025. In origine l’Università Cattolica di Lovanio era un’università belga fondata nel 1834 a Mechelen dai vescovi del Belgio con il nome di Università Cattolica di Mechelen, che l’anno successivo fu trasferita a Lovanio, prendendo il nome di Università Cattolica di Lovanio (1835), città in cui già esistevano la Vecchia Università (1425-1797) e l’Università statale di Lovanio (1817-1835). Nel 1968 l’ateneo è stato diviso in due diverse istituzioni, dando vita alla Katholieke Universiteit Leuven, di lingua olandese (situata a Lovanio) ed all’Université catholique de Louvain, di lingua francese (situata a Louvain-la-Neuve e Bruxelles).

Oggi, l’università propone formazioni universitarie in oltre sei città: a Louvain-la-Neuve e a Wolluwe-Saint-Lambert, le due principali, ma anche a Mons, Tournai, Charleroi e Saint-Gilles. Con 40 000 studenti ed è la prima università francofona del Paese, classificata tra le migliori università al mondo e vanta tra i suoi ex-alunni Christian de Duve e Albert Claude, entrambi premi Nobel di medicina nel 1974.

Alla responsabile dell’Ufficio stampa dell’Università, Isabelle Decoster, abbiamo chiesto di raccontarci la missione di un’università cattolica: “ Ogni secolo di storia, ogni decennio, beneficia dell’impatto sociale delle università. L’Università di Lovanio (UCLouvain) ha, come prima ragione d’essere dell’Università, quello di sostenere i giovani, che presto avranno la responsabilità del futuro; cura e salute; sicurezza alimentare; giustizia sociale e solidarietà; lo sviluppo delle conoscenze e lo sviluppo di nuove tecniche e terapie; infine, i mille mattoni della transizione da costruire per preservare e riparare il sistema ‘Terra’ e la convivenza dell’umanità.

Oggi l’UCLouvain conta 40.000 studenti, 8.000 dei quali provengono da contesti internazionali. Università globale, l’UCLouvain organizza le sue attività didattiche in 20 facoltà. L’Università può contare anche su 3.600 ricercatori e 2.500 dottorandi per ampliare le frontiere della conoscenza nelle discipline delle scienze umane e sociali, delle scienze sanitarie e delle scienze e tecnologie. Oltre agli istituti, l’UCLouvain ha creato 10 consorzi multidisciplinari, i ‘Louvain4’, che riuniscono ricercatori di tutti i settori dell’Università attorno a temi di interesse sociale (acqua, migrazione, istruzione, energia….)”.

Quindi è anche un contributo al ‘progresso’ della società?

“Centro di eccellenza scientifica, l’UCLouvain contribuisce allo sviluppo della società attraverso le sue radici regionali, i suoi due ospedali universitari, l’impatto della sua ricerca e insegnamento, la creazione di spin-off e lo sviluppo di parchi scientifici e incubatori. L’università è la forza trainante del parco scientifico più grande d’Europa, contribuendo a rendere la regione meridionale di Bruxelles una delle aree più innovative d’Europa, un motore economico per la regione”.

600 anni dell’Università Cattolica: qual è il peso della cultura cattolica?

“600 anni fa, una bolla di papa Martino V fondava l’Università di Lovanio. La visione di questa nuova università del 1425 era quella di essere responsabili delle proprie radici locali e della propria vocazione universale. 600 anni dopo, nel 2025, l’obiettivo rimane lo stesso, perché l’UCLouvain conferma il suo desiderio di essere un’università aperta. Fin dai primi corsi, suddivisi in cinque facoltà (lettere, diritto civile, diritto canonico, medicina e, dal 1432, teologia), l’Università di Lovanio fu una delle rare università medievali complete.

Orgogliosa del suo passato, l’UCLouvain è ancorata al presente e rivolta al futuro. Il desiderio dell’UCLouvain è quello di amplificare il proprio ruolo di attore sociale impegnato, con l’obiettivo di ascoltare i bisogni ed in costante dialogo con la società, al fine di fornire risposte concrete, frutto della ricerca e del dibattito accademico e scientifico. Il futuro coinvolge anche le nuove generazioni di studenti che fanno sentire la propria voce e spingono le università ad essere maggiormente coinvolte. L’Istituzione sta aumentando il numero di luoghi di scambio al fine di ampliare le loro voci e rendere l’UCLouvain un’università del dialogo”.

Questo viaggio può essere considerato anche attenzione particolare del papa verso l’Europa: in quale modo l’Università contribuisce alla costruzione dell’Europa?

“Consapevole della ricchezza dell’incontro tra culture, sin dalla sua creazione ha riunito professori e studenti provenienti da tutta Europa, con diplomi riconosciuti ovunque. 600 anni dopo, l’UCLouvain continua le sue missioni in Europa, in particolare attraverso il suo coinvolgimento nell’alleanza europea ‘Circle U (Alleanza Universitaria Europea)’. Quest’alleanza di 9 prestigiose università europee mira a creare opportunità di mobilità per i suoi studenti, scienziati e personale in tutta Europa”.

(Tratto da Aci Stampa)

XXV domenica del Tempo Ordinario: autorità come servizio 

Nel brano del Vangelo mentre si descrive il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, itinerario non solo geografico ma spirituale, Gesù per la seconda volta annuncia ai suoi discepoli la imminente Pasqua di passione, morte e risurrezione. La rivelazione che Gesù fa ai suoi discepoli è la via inattesa attraverso la quale egli realizzerà la sua missione salvifica ‘quando sarò innalzato tra la terra e il cielo io attirerò tutto a me’; discorso assai duro che gli apostoli cercano di sviare pensando ad un altro tipo di regno che Gesù sarebbe venuto  ad instaurare e discutono tra di loro sul ruolo futuro di ciascuno di essi in questo nuovo regno.

Gesù parla di passione e morte, i dodici discutono invece chi dovrà occupare il primo posto in questo regno. Gesù si pone così ad una distanza abissale dai suoi discepoli: ‘se uno vuole essere il primo sia il servo’, e, come se ciò non bastasse, aggiunge ‘sia servo di tutti’ e con l’immagine del bambino  evidenzia loro le virtù proprie del discepolo di Cristo: fiducia e umiltà. Propone un bambino come modello del credente. Il bambino non conosce né filosofia né teologia; è il più disarmato ed indifeso ma conosce bene la fiducia e si abbandona sicuro tra le braccia del papà o della mamma.

In questo Regno che Cristo dovrà instaurare il valore di una persona non dipende dal ruolo che ricopre ma si misura sul servizio che rende: non su quello che si ha, ma su quello che si dà. Vuoi primeggiare?, comincia a servire.  La nostra fedeltà al Signore si misura dalla nostra disponibilità a servire. I discepoli mostrano di non essere ancora preparati a recepire questo messaggio rivoluzionario che parla di spirito di rinuncia e di sacrificio. Ecco perchè, laddove Gesù parla della sua passione e morte, essi appaiono presi da altri pensieri: chi sarà il primo nel regno di Gesù?, quali compiti, onori, governo avrà ciascuno di noi? 

Due logiche, due processi mentali (quello di Gesù e quello degli  apostoli) diametralmente opposti.  Arrivati a destinazione e fermatisi, questa volta è Gesù ad interrogarli: di che cosa parlavate lungo la strada?, quale l’oggetto del vostro conversare?  Domande che sono un richiamo, un rimprovero, un volere evidenziare ai suoi che stavano viaggiando su aree diametralmente opposte.  E Gesù scende al pratico, al concreto: prende un bambino e dice ai suoi discepoli:  se non diventate come questo bimbo non entrerete nel regno dei cieli. 

Nasce spontanea una domanda: è un male volere primeggiare, sforzarsi di essere il primo?  Certamente è un desiderio innato in ciascuno di noi emulare gli altri; adoperarsi a sviluppare il proprio essere, le proprie capacità, i doni e i talenti ricevuti da Dio per assestarsi ai primi posti. Questo è proprio della natura umana ed è voluto da Dio. Gesù non è contrario quando l’uomo cerca di  realizzare i desideri innati, né allo sforzo di arrivare al primo posto; ciò che invece cambia è la motivazione: essere il primo per meglio aiutare gli altri e se stesso, questa è la vera grandezza.

Il Vangelo ci ricorda l’episodio di quella donna, la madre dei figli di Zebedeo, che prega Gesù onde i suoi figli possano sedere nel regno uno a destra, l’altro a sinistra: povera donna, non sapeva ciò che stava chiedendo. Gli apostoli, credendo imminente l’inaugurazione del regno, si candidano per i primi posti. La risposta di Gesù è di tutt’altro tenore: prende un bambino, lo mette in mezzo ed abbracciandolo dice: chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me. 

‘Voi mi chiamate, dirà Gesù, signore e maestro ed io vi ho lavato i piedi; vi ho dato l’esempio: come ho fatto io , fate voi’, ecco la vera grandezza. La vera grandezza o autorità non consiste nel primeggiare, nello spadroneggiare sugli altri, nell’affermare se stessi e rendere schiavi o sottomessi gli altri; ma vera grandezza è mettere a fuoco i talenti ricevuti da Dio a beneficio di chi è meno dotato.  Si ha così un rovesciamento dal concetto di autorità, del potere, del governo. Governare è servire; servire è amare come Gesù che ha dato la vita, è morto in croce per salvare l’uomo e riconciliare il cielo e la terra.

Amico che ascolti, se sei discepolo di Cristo devi persuaderti che il tuo lavoro, la tua intelligenza, il tuo cuore non è per te ma è per gli altri; ogni autorità è una paternità ed essere padre significa amore e sacrificio. L’autorità, diceva uno scrittore, non è una poltrona ma un timone; non è un titolo di nobiltà ma di responsabilità; non è un bastone ma una croce.

E’ necessario allora rivedere il programma della vita: se vuoi essere felice devi diventare come il bambino, che è felice solo tra le braccia del papà o della mamma; è necessario ridestare il “fanciullo che dorme dentro ciascuno di noi”,  riamare la bontà e l’innocenza ed ancora una volta rivolgersi a Dio invocando: “Padre nostro che sei nei cieli”. La Vergine Maria ci aiuti a comprendere che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

A Milano mons. Delpini rivolge un invito alla partecipazione della vita cristiana e sociale

Sabato 7 settembre nel duomo di Milano mons. Mario Delpini ha celebrato la messa pontificale, che ha aperto l’anno pastorale della diocesi ambrosiana in occasione della festa della Natività di Maria, patrona della cattedrale con un’omelia in cui ha richiamato alcuni temi della proposta pastorale elaborata nello scorso giugno (‘Basta. L’amore che salva e il male insopportabile’), raccontando una città da abitare:

“Sì, vorremmo una città dove sia bello abitare, una città giovane, una città accogliente, una città con tanti bambini contenti e tante famiglie serene. Ma constatiamo che la città invecchia, le famiglie sono stanche per la frenesia quotidiana e per le tensioni esasperanti che le attraversano.

Sì, ci impegniamo per vivere con coerenza e per annunciare con gioia il vangelo di Gesù, la speranza che offre; sì, ci piacerebbe costruire comunità unite, liete, ricche di futuro. Ma se ci mettiamo a calcolare i risultati, constatiamo il nostro fallimento”.

L’arcivescovo ha riportato allora le raccomandazioni di san Paolo ai cristiani dell’epoca, validi ancora oggi: “Ecco non sono necessari molti esempi per constatare il realismo di quello che Paolo scrive: nella logica della ‘legge’ gli adempimenti sono impossibili, la legge è impotente. Che cosa si può pensare della storia dell’umanità? La storia umana è una storia di fallimenti e di sconfitte del bene.

Eppure lo sguardo credente legge la storia umana come storia della salvezza. Che cosa di buono può venire da questa serie di generazioni di uomini impastati di santità e di peccato? A che serve, quale messaggio può offrire il lungo elenco di nomi di personaggi famosi e sconosciuti, ammirevoli e spregevoli? Ecco, questa storia del male scoraggiante e del bene precario e fragile è la storia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo”.

Però nell’impotenza dell’umanità si realizza l’opera di Dio: “Dunque dentro il destino di impotenza e di sconfitta c’è una rivelazione dell’opera di Dio che salva. Paolo invita condividere la sua fede: Dio ha reso possibile quello che era impossibile alla Legge e ai buoni propositi, mandando il proprio Figlio in una condizione di fragilità, come quella di tutti, perché si apra la via della salvezza, per coloro che camminano non secondo la carne, ma secondo lo Spirito”.

Tale opera di Dio si compie nel Suo Figlio: “L’opera di Dio si compie in Gesù e noi professiamo che proprio in lui incontriamo la verità di Dio e la rivelazione del suo amore, proprio in Gesù, figlio di Davide, figlio di Abramo.Noi desideriamo fissare lo sguardo su Gesù per imparare tutto quello che c’è da sapere e tutto quello che si può dire di Dio. Perciò cerchiamo di correggere l’inclinazione diffusa a immaginare un Dio, senza dipendere dalla rivelazione di Gesù”.

Per questo nell’omelia mons. Delpini ha ‘denunciato’ l’abbandono della frequenza alle celebrazioni eucaristiche. “Il ricordo del concilio di Nicea, che il nostro padre Ambrogio ha predicato con tanto vigore e costanza, può essere per noi un rimprovero: si ha infatti l’impressione che il linguaggio diffuso e anche la pratica ordinaria orientano a dimenticare la mediazione di Gesù, a fare a meno di lui.

Un sintomo preoccupante è la consuetudine di abbandonare la celebrazione del segno che Gesù ha indicato perché si celebri il memoriale della sua opera di salvezza, cioè l’eucaristia. La Messa sembra ridotta a una cerimonia che può piacere o annoiare. Molti dichiarano che non hanno bisogno di partecipare alla celebrazione della Pasqua di Gesù per essere brava gente e per fare tanto bene”.

Questa mancanza può portare i cristiani al disimpegno ‘civile’: “ Forse per questo i buoni propositi sono troppo inconcludenti, forse per questo l’impegno risulta frustrante, forse per questo il cristianesimo si presenta con una sorta di tristezza per l’elenco delle cose che si dovrebbero fare, ignorando la gioia di essere in comunione con Gesù, con la pienezza della sua gioia”.

Inoltre, durante la celebrazione eucaristica si è svolto anche il Rito di ammissione di tre seminaristi della Diocesi al percorso verso il diaconato e l’ordinazione sacerdotale e di otto laici che iniziano il cammino per diventare diaconi, in quanto la vita è una vocazione al servizio:

“L’opera di Dio si compie in Gesù e Gesù entra nella storia umana come la voce amica che chiama alla sequela. La salvezza che Dio opera in Gesù non è in primo luogo un evento cosmico, ma una comunione, una relazione personale, la vocazione…

Il servizio ministeriale non è una scelta di cui ciascuno è il protagonista, con la presunzione di rendersi utile, con la convinzione di avere qualche cosa da dare al Signore e alla Chiesa. E’ piuttosto la risposta alla chiamata della Chiesa, di questa concreta comunità cristiana che sceglie, dopo attento discernimento, persone disponibili a far parte del clero diocesano per continuare la missione della Chiesa”.

Al termine della celebrazione, poi, l’arcivescovo, dopo avere ricordato alcuni appuntamenti che segnano l’inizio del nuovo anno pastorale, si è soffermato sulle ‘tante sofferenze’ che si vivono “anche nella nostra Diocesi: drammi familiari, violenza nelle case, violenza nelle strade, incidenti sui posti di lavoro, carceri che sono troppo spesso luoghi di tragedie e di difficoltà che sembrano intollerabili… Il Signore ci aiuti ad essere seminatori di pace, tessitori di relazioni che aiutino a superare queste forme di violenza. La presenza dei cristiani, l’opera della Chiesa sia un segno della benedizione di Dio”.

(Foto: arcidiocesi di Milano)

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