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Dall’Assemblea sinodale una Chiesa rinnovata dalla Pentecoste

Domenica scorsa si è chiusa presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, a cui hanno partecipato 943 persone di cui: 4 Cardinali, 170 Vescovi, 4 Padri Abati, 238 Sacerdoti, 6 Diaconi, 37 Religiose e Religiosi, 210 Laici, 274 Laiche. In totale 641 uomini e 302 donne e prima della chiusura dei lavori tutta l’assemblea sinodale ha inviato un messaggio di ringraziamento a papa Francesco, condividendo ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi’: “Abbiamo colto soprattutto la vivacità, che continua ad abitare le comunità dei nostri territori. Abbiamo avuto cura di non dimenticare gli ultimi, quanti abitano nelle periferie esistenziali, i poveri dei quali oggi celebriamo la Giornata mondiale. Abbiamo pregato con loro e per loro”.

Dalla basilica in cui papa san Giovanni XXIII ha pronunciato il discorso di apertura del Concilio Vaticano II i partecipanti hanno affermato l’impegno di concretizzare la missione della Chiesa: “La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate… Ci sentiamo in un momento di rinnovata Pentecoste.

E’ il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato San Paolo. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno”.

Mentre nella celebrazione eucaristica conclusiva il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha evidenziato la bellezza della comunione: “Nel giorno del Signore e attorno alla sua mensa, capiamo cosa significa ‘insieme’, essere una cosa sola tra noi, nonostante la nostra umanità, così parziale e contradditoria. Qui siamo come Dio vuole: non tutti la stessa cosa, ma tutti una cosa; non uguali, ma uniti. Con noi ci sono già quei ‘tutti’, la moltitudine, numero indefinito e mai chiuso, per i quali Gesù spezza il pane e versa il vino, e che ci chiede di cercare, di amare”.

Quello che si è aperto domenica scorsa è un cammino da compiere con i ‘compagni di strada’: “Troveremo i modi (alcuni formali, altri aperti e spontanei) per permettere ed esprimere il camminare insieme con i tanti mendicanti di vita che incontriamo, tutti fragili anche se lo dimentichiamo. E’ una fragilità da amare e non da giudicare, fuggire, nascondere, maledire. Da amare, perché diventi forza, ricordando, come l’Apostolo, che è quando siamo deboli che siamo forti”.

Nella particolare giornata dei poveri il cardinale di Bologna ha sottolineato che è possibile scoprire l’essenziale: “I poveri, in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, ci insegnano che l’essenziale per la vita è ben altro. La loro preghiera insegna a pregare e viceversa. Non sono assolutamente due dimensioni indipendenti, anzi! Preghiera e amicizia con i poveri si nutrono a vicenda”.

Riprendendo il vangelo della giornata il presidente della Cei ha invitato ad essere persone di ‘speranza’: “Per chi si chiude nelle sicurezze o resta sul divano, questa descrizione può apparire lontana, impossibile, un fastidio per noi pigri e incoscienti. In realtà, ci aiuta a guardare la storia e i segni dei tempi. Siamo uomini di speranza proprio perché affrontiamo il male, il sole che si oscura, come quando si fa buio fuori e dentro il cuore. E quello dentro dura tantissimo”.

Quindi l’invito del card. Zuppi è stato quello di camminare con i poveri: “Ognuno di noi può essere un astro che si accende e dona luce nell’oscurità terribile della vita. Siamo noi la sua parola di amore che non passa, con legami fedeli, perché il Samaritano assicura di tornare, non si compiace di quello che ha fatto lui ma fa quello che serve per l’uomo mezzo morto. Ecco, se camminiamo insieme ai poveri, sapremo camminare tra noi, perché Gesù sarà in mezzo a noi e aiuteremo questa madre (la Chiesa), sempre lieta, che è di tutti, particolarmente dei poveri”.

L’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia è stata chiusa dall’intervento del presidente del comitato nazionale del cammino sinodale, mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, che ha ricordato i 1.700 anni della dedicazione della basilica di san Paolo, avvenuta il 18 novembre del 324:

“In questi tre giorni, ci siamo inseriti in una grande corrente: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana che ha trovato qui, sotto la protezione di san Paolo, tutte le sue espressioni: celebrazioni liturgiche e sacramentali, annuncio, predicazione e catechesi, incontri personali e assemblee comunitarie, accoglienza dei poveri e ospitalità dei cercatori di speranza, presenza orante e ministero dei monaci benedettini. Sembra così di rivivere, in questi giorni e in questo luogo, l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, con le loro quattro perseveranze: nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”.

Ha evidenziato alcuni atteggiamenti emersi in questi anni di cammino sinodale: “Prima di tutto lo stile dell’ascolto, che con il metodo della ‘conversazione nello Spirito’ prende avvio dalla Parola di Dio, che dispone all’ascolto degli altri; uno stile che, adattato, potrà connotare il nostro convenire a tutti i livelli: dagli Organismi di partecipazione alle riunioni degli operatori pastorali; questo doppio ascolto all’inizio di ogni riunione permetterà di proseguire con maggiore scioltezza e concretezza nel confronto e nel dialogo tra i partecipanti”.

All’ascolto fa seguito il dialogo: “In secondo luogo, lo stile del dialogo, proposto in modo laboratoriale nei Cantieri di Betania, che sono stati e sono esperienze di incontro anche con i ‘mondi’ non sempre interagenti con quelli ecclesiali: le diverse povertà materiali, relazionali, spirituali; i mondi delle professioni e del lavoro, come artisti, imprenditori, agricoltori, giornalisti, docenti, operai e così via”.

Ed infine la partecipazione: “In terzo luogo, lo stile della partecipazione: in non pochi casi, le sintesi delle nostre Chiese locali hanno registrato la riattivazione dei Consigli pastorali parrocchiali, zonali e diocesani, che, dovendo corrispondere alle richieste provenienti dal Cammino sinodale, si sono nuovamente riuniti e in alcuni casi anche formati ex novo. Rinnovati secondo le indicazioni del Sinodo universale, sono strumenti importanti per la Chiesa sinodale in missione”.

Infine il card. Zuppi ha invitato a ‘gettare il seme’: “Già vediamo i frutti dello Spirito ma questo avviene solo dopo che abbiamo gettato abbondantemente nella terra degli uomini il seme della Parola, anche quando appare inutile. Non affanniamoci per quello che non vale e, pieni della forza del Signore, liberiamoci dalle misure avare, mediocri, suggerite dalla tiepidezza. Ebbrezza è la passione che permette di costruire umilmente relazioni intorno al Signore, case, comunità umane, relazioni di amore. Tutto inizia con il filo d’oro dell’amicizia che è possibile a tutti”.

Per questo ha riproposto la cultura del ‘noi’: “Insieme! Coltiviamo il culto del ‘noi’ in una generazione individualista che, alla fine pensa una soluzione con qualcuno che si imponga e risolva tutto, che non costruisce con pazienza. Costruiamo case dove si impara a pregare, a vivere la dimensione spirituale così importante e desiderata da molti, perché il materialismo pratico ottunde, confonde, dispera. Dialogare con tutti non è cedere al pensiero dominante o dare ragione a tutti, ma misurare la nostra fede, crescere nella comunicazione del Vangelo, spiegare le ragioni di sempre, arrivando al cuore, toccando il cuore”.

(Foto: Cei)

Mons. Muser racconta 60 anni della diocesi di Bolzano-Bressanone

Giovedì 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.

Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ha ricordato in una lettera pastorale mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:

“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.

Per quale motivo è stata istituita la diocesi di Bolzano – Bressanone?

“Quando il 6 agosto 1964 la bolla papale “Quo aptius” annunciò quello che molti attendevano da tempo, cioè la costituzione della diocesi di Bolzano-Bressanone, l’entusiasmo fu grande. L’unificazione di tutto l’Alto Adige in una diocesi fu un evento gioioso, a lungo desiderato e sperato. La diocesi di Bolzano-Bressanone nasce dal desiderio di fornire vicinanza spirituale a tutta la popolazione dell’Alto Adige nella maniera più equa possibile.

La sua erezione è stata realizzata, nonostante le tensioni politiche, in primo luogo grazie all’azione pastorale del vescovo Gargitter, che allo stesso tempo rese merito all’arcivescovo di Trento come a colui che ‘con amore pastorale disinteressato e lungimirante non solo ha reso possibile il nuovo ordinamento diocesano, ma l’ha anche promosso con tutte le sue forze’”.

‘Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa’: ha scritto nel messaggio ai fedeli. In quale modo la diocesi coniuga tradizione e cambiamento?

“Nel corso della sua lunga esistenza, la nostra diocesi ha cambiato denominazione tre volte: da Sabiona a Bressanone e infine a Bolzano – Bressanone. Questo cambiamento stesso evidenzia come l’inizio, la trasformazione, la tradizione e la continuità, insieme ai mutamenti, influenzino costantemente il percorso della Chiesa nella storia. Cambiamento e trasformazione sono parte integrante dell’essenza della Chiesa. Il nostro Dio è un Dio che vive la storia.

Egli cammina sempre insieme alle sue persone, e quindi con noi, la sua Chiesa. I cristiani credono in un Dio che si è fatto storia in Gesù Cristo. Pertanto, la nostra storia umana non è solo una serie di eventi anonimi, ciechi, banali e spesso contraddittori e crudeli, ma rappresenta il luogo in cui le persone possono incontrare Dio”.

Come la Chiesa di Bolzano e Bressanone si prepara ad ‘essere’ nel mondo?

“La società, con le sue dimensioni sociali e politiche, affronta oggi sfide e tensioni significative. La preoccupazione per la salvaguardia del Creato e le angosce sollevate dai conflitti e dalle guerre in corso nel mondo destano ansia e scoraggiamento in molti. Emergono interrogativi sociali e antropologici, le cui risposte tendono a divergere sempre di più. Le nostre comunità celebranti hanno vissuto un radicale ridimensionamento; la Chiesa appare meno rilevante e meno accettata socialmente.

Abbiamo imparato a convivere con questa realtà, interpretandola alla luce del Vangelo. Abbiamo compreso che è in questo contesto che Dio ci incontra, ci chiama e ci invia. Man mano che diventiamo più umili e impotenti, ci rendiamo conto che Dio è il nostro sostegno e la nostra forza. La diminuzione della nostra influenza sociale ci ha portato a trasformarci in una Chiesa delle Beatitudini, che trae credibilità dalla sua vulnerabilità”.

‘La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità.’: cosa significa per la Chiesa locale fare memoria di Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser? 

“San Giuseppe Freinademetz ci insegna ad avere il vangelo come punto di riferimento anche nelle questioni quotidiane, a porre Cristo al centro della nostra vita e a vivere nella patria terrena con fede convinta e profonda nella patria celeste, per la quale siamo voluti e creati.

Il beato Josef Mayr-Nusser ha vissuto la sua identità cristiana fino in fondo. È una figura coraggiosa e scomoda, che ci spinge a confrontarci con un capitolo assai doloroso della nostra storia, caratterizzato da fascismo, nazionalsocialismo e opzioni. Il nostro Beato rimane uno stimolo attuale, scomodo e profondamente cristiano per tutti noi in mezzo alle domande, alle sfide, alle discussioni e alle posizioni contrastanti del nostro tempo”.

Pochi giorni fa è terminata la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità. In quale modo la diocesi vive la sinodalità?

“Quando pensiamo alla Chiesa, pensiamo innanzitutto alla comunità viva che noi stessi sperimentiamo a livello locale: siamo ispirati dal Vangelo, troviamo nella fede la nostra gioia e condividiamo un’esperienza positiva di comunione ecclesiale. Se saremo in grado di comprendere il vero significato di sinodalità saremo anche capaci di superare le lamentele su ciò che manca, affrontando ed elaborando apertamente problemi ed errori, grandi e piccoli condividendo la responsabilità. La sinodalità è il nostro stile pastorale e ci aiuterà a superare i blocchi, le polarizzazioni e i circoli viziosi che in passato hanno talvolta distolto lo sguardo dalla bellezza del Vangelo”.

Allora, cosa significa ‘festeggiare’ 60 anni di diocesi?

“Festeggiare i 60 anni della nostra diocesi significa rivolgere uno sguardo credente sulla sua storia passata e uno sguardo pieno di speranza su quella a venire. Allora sarà chiaro quanto il nostro Dio si impegni con noi esseri umani, quanto egli desideri e abbia bisogno di noi, fino a quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche su righe storte e umane. Possa alla nostra Chiesa locale, all’Arcidiocesi di Trento ed alla Diocesi di Innsbruck, con le quali siamo legati da una lunga tradizione storica, non mancare mai la presenza di persone pronte a scrivere insieme il piano di salvezza di Dio per noi”.

(Foto: Diocesi Bolzano – Bressanone)

Card. Zuppi: l’impegno della Chiesa per l’Italia

“Siete convenuti a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura, per la Prima Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia. E’ il primo appuntamento che segna il culmine del Cammino sinodale, di quella che avete definito ‘fase profetica’. In queste giornate avrete modo di confrontarvi sui Lineamenti, che già offrono una visione d’insieme sulle questioni emerse in questi tre anni di percorso”: lo ha scritto papa Francesco nel messaggio inviato ai partecipanti alla prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana che si sta svolgendo a Roma fino a domenica.

Richiamando l’annuncio di san Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio Vaticano II il papa ha invitato ad annunciare il Vangelo con la gioia: “Anche oggi, come allora, siamo inviati a portare il lieto annuncio con gioia! Con questa consapevolezza, vi incoraggio a percorrere la terza tappa, dedicata alla profezia. I profeti vivono nel tempo, leggendolo con lo sguardo della fede, illuminato dalla Parola di Dio. Si tratta dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni. E questo lo si fa nella docilità allo Spirito”.

E’ stato un invito ad accompagnare la Chiesa in questo cammino post sinodale: “Il Cammino sinodale sviluppa anche le energie affinché la Chiesa possa compiere al meglio il suo impegno per il Paese. Gesù contemplava le folle e ne sapeva comprendere le sofferenze e le attese, il bisogno del pane per il corpo e di quello per l’anima. Così siamo chiamati a guardare alla società in cui viviamo con uno sguardo di compassione per preparare il futuro, superando atteggiamenti non evangelici, quali la mancanza di speranza, il vittimismo, la paura, le chiusure. L’orizzonte si apre davanti a voi: continuate a gettare il seme della Parola nella terra perché dia frutto”.

Mentre nel saluto ai partecipanti il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha  ricordato che la Chiesa è famiglia: “La Chiesa è famiglia e, se la viviamo come Gesù ci chiede, amandoci l’un l’altro, sapremo aiutare le nostre famiglie, la città degli uomini, il nostro Paese, il mondo, ad essere comunità! Fratelli tra di noi per vivere ‘fratelli tutti’ con tutti.

Sentiamo con noi le nostre Chiese e le nostre comunità, ma anche le città degli uomini, piccole e grandi, perché tutte importanti e amate da Dio. L’orizzonte non è solo il nostro Paese, ma anche l’Europa, che non dimentichiamo deve continuare, o forse riprendere, a respirare con i due polmoni, e il mondo intero. Oggi contempliamo, attraverso la nostra presenza, tutte le Chiese in Italia”.

In particolare la Chiesa si vive ogni domenica: “La viviamo ogni domenica, e in questa particolare che è dedicata ai poveri e che ci spinge a condividere il pane della terra proprio perché condividiamo quello del cielo. È il nome santo e benedetto di Gesù, che deve diventare vita nella nostra vita, che non si esibisce, ma si custodisce e si mostra mettendo in pratica la sua parola, costruendo comunità e vivendo da cristiani nel mondo”.

Per questo ha ricordato l’anniversario della pubblicazione della Costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “E’ una coincidenza con la nostra Assemblea che ci spinge a riannodare i fili di un cammino che anche per la nostra Chiesa in Italia è stato di progressiva accoglienza e di recezione della lezione conciliare… La consapevolezza del peccato, come per gli abusi che ricorderemo domani nella nostra preghiera, ci rende più umili ma anche più forti nell’essenziale, nell’amore di Dio. Ci ricorda la necessità della conversione del cuore e di comunità docili alla parola, dove vivere la radicalità del Vangelo e la bellezza dell’amore cristiano. Sentiamo tanto l’emozione e la responsabilità di questa missione, senza lamentarci del deserto, ma facendo nostra la sete di Dio e di speranza”.

Inoltre ha richiamato il clima conflittuale in atto: “I combattimenti appaiono lontani dai nostri Paesi ma il clima conflittuale non è lontano. Questo clima si riflette sulla società italiana: la spietata avanzata del numero dei femminicidi, la crescita della violenza tra i giovani, l’inasprirsi del linguaggio sempre più segnato dall’odio, i casi di antisemitismo, che non possiamo tollerare, sono come semi che da sempre il male getta nei cuori e nelle relazioni delle persone e contaminano i cuori e i linguaggi”.

E’ stato un richiamo alla crisi delle nascite: “Il nostro Paese soffre di denatalità, che ha raggiunto livelli preoccupanti. Eppure, tutti sappiamo che non basta combattere la denatalità senza una cultura della speranza nel futuro e senza preoccuparci di evitare l’emorragia di giovani dal nostro Paese e dalle aree interne. Il futuro dipende dalle politiche in favore della natalità, ma anche da politiche della casa, da politiche attive del lavoro e da autentiche politiche di integrazione dei migranti: tutti questi aspetti insieme saranno in grado di generare un’alba nuova all’orizzonte”.

Ed infine ha chiesto ‘nuova passione’ nell’annuncio del Vangelo: “Una nuova passione per il mondo deve percorrere le vene delle nostre comunità. E’ un tempo favorevole per la Chiesa, per la comunicazione del Vangelo, per l’accoglienza dei soli e di chi non sa dove andare. Folle intere aspettano consolazione e speranza, anche se non faranno parte dei discepoli. Tutti, tutti, tutti sono affidati alle nostre cure. Gesù scelse i discepoli per rispondere a questi ‘tutti’, perché la folla diventi famiglia… Il mondo è un ospedale da campo materiale e spirituale e possiamo riconoscere la distanza da colmare tra la vita e le proposte delle nostre comunità e l’esistenza degli uomini e delle donne di oggi”.

Nella relazione principale  il vescovo di Modena – Nonantola, mons. Erio Castellucci, presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale, ha raccontato la bellezza del cammino sinodale secondo uno stile missionario: “Comunità di discepoli missionari: è una meta, certo, ma è anche una bella realtà. Ciascuno di noi conosce ‘santi della porta accanto’ che senza clamore, e magari nel chiuso di un appartamento urbano o nell’isolamento di una casa di campagna o di montagna, portano avanti nel quotidiano la loro testimonianza umana e cristiana; ce ne sono tanti, forse più di quelli che si immaginano; e non sono rilevanti nelle statistiche religiose… Eppure la comunità cristiana si nutre di gesti quotidiani e spesso nascosti, che hanno a che vedere più con le relazioni che con l’organizzazione, più con l’ascolto e l’accoglienza che con gli eventi di massa”.   

Quindi ha sottolineato la ‘missione profetica’ della Chiesa: “La nostra missione profetica, dunque, è incisa in questo noto versetto della prima Lettera di Pietro: ‘(siate) sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’. Prima occorre piantare la speranza ‘in noi’, testimoniandola con la vita; poi, se richiesti (‘pronti a rispondere’), saperne formulare le ragioni”.

E’ stato un invito a proseguire in questo cammino che la Chiesa ha intrapreso: “Non perdiamo di vista che lo scopo non è tanto di produrre altra carta (per quanto sarà necessario anche questo) ma proseguire nell’esperienza di uno stile, quello sinodale, che già sta diventando prassi nelle nostre Chiese e che ora domanda di potersi consolidare e disporre di strumenti perché diventi anche fatto strutturale.

In quest’opera, affidandoci allo Spirito del Padre, sperimenteremo una volta di più che ‘di lui’, di Cristo risorto, siamo testimoni: e che questa testimonianza, se fedele a lui e al suo Vangelo, umanizza noi stessi e il mondo”.

(Foto: Cei)

Dal Sinodo una sollecitudine per vivere le relazione

“Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, di conoscerti con aria da professore, di raggiungerti con regole sportive, di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato… Facci vivere la nostra vita, non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l’universo di amore”: con questi versi di Madeleine Delbrêl papa Francesco ha concluso la seconda sessione del Sinodo, il cui documento è stato approvato in tutti i 155 capitoli.

Il Documento finale è formato da cinque parti. Alla prima, intitolata ‘Il cuore della sinodalità, segue la seconda parte, ‘Insieme, sulla barca di Pietro’ “dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri”; la terza parte, ‘Sulla tua Parola’, “identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione”.

La quarta parte, ‘Una pesca abbondante’ “delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiano profondamente”; infine, la quinta parte, ‘Anche io mando voi’, “permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria”. In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione.

Fin dall’introduzione la guida del documento è la Resurrezione, vero centro della Chiesa: “Ogni nuovo passo nella vita della Chiesa è un ritorno alla sorgente, un’esperienza rinnovata dell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua. Come loro anche noi, partecipando a questa Assemblea sinodale, ci siamo sentiti avvolti dalla Sua misericordia e toccati dalla Sua bellezza. Vivendo la conversazione nello Spirito, in ascolto gli uni degli altri, abbiamo percepito la Sua presenza in mezzo a noi: la presenza di Colui che, donando lo Spirito Santo, continua a suscitare nel Suo Popolo una unità che è armonia delle differenze”.

E’ proprio Gesù risorto che conduce la Chiesa nelle ferite della storia: “Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali.

Le loro sofferenze sono risuonate in mezzo a noi non solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche nella voce di molti, personalmente coinvolti con le loro famiglie e i loro popoli in questi tragici eventi. Nei giorni in cui siamo stati riuniti in Assemblea, tante, troppe guerre hanno continuato a provocare morte e distruzione, desidero di vendetta e smarrimento delle coscienze”.

Ed il cuore della sinodalità, come quello della Chiesa, è la celebrazione eucaristica: “La celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto alla domenica, è la prima e fondamentale forma con cui il Santo Popolo di Dio si riunisce e si incontra… Per questo la Chiesa, Corpo di Cristo, impara dall’Eucaristia ad articolare unità e pluralità: unità della Chiesa e molteplicità delle assemblee eucaristiche; unità del mistero sacramentale e varietà delle tradizioni liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri.

Nulla più dell’Eucaristia mostra che l’armonia creata dallo Spirito non è uniformità e che ogni dono ecclesiale è destinato all’edificazione comune. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è anche espressione del desiderio e appello all’unità di tutti i Battezzati che non è ancora piena e visibile. Dove la celebrazione domenicale dell’Eucaristia non è possibile, la comunità, pur desiderandola, si raccoglie intorno alla celebrazione della Parola, dove Cristo è comunque presente”.

Proprio questi contesti diversi, in cui vivono i cristiani, consentono la Chiesa ad essere missionaria: “Ribadiamo l’impegno della Chiesa Cattolica a proseguire e intensificare il cammino ecumenico con altri cristiani, in forza del comune Battesimo e in risposta alla chiamata a vivere insieme la comunione e l’unità tra i discepoli per cui Cristo prega nell’Ultima Cena. L’Assemblea saluta con gioia e gratitudine i progressi nelle relazioni ecumeniche lungo gli ultimi sessant’anni, i documenti di dialogo e le dichiarazioni che esprimono la fede comune”.

Nel documento è sottolineata anche la persecuzione a cui i cristiani sono sottoposti: “In ogni luogo della terra, i Cristiani vivono fianco a fianco con persone che non sono battezzate e servono Dio praticando una diversa religione. Per loro preghiamo in modo solenne nella liturgia del Venerdì Santo, con loro collaboriamo e lottiamo per costruire un mondo migliore, e insieme a loro supplichiamo l’unico Dio di liberare il mondo dai mali che lo affliggono… In alcune regioni, i Cristiani che si impegnano nella costruzione di rapporti fraterni con persone di altre religioni subiscono persecuzioni. L’Assemblea li incoraggia a perseverare nel loro impegno con speranza”.

Per questo le relazioni sono necessarie: “Viviamo in un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia, da crescenti tendenze autocratiche e dittatoriali, dal predominio del modello di mercato senza riguardo per la vulnerabilità delle persone e della creazione, e dalla tentazione di risolvere i conflitti con la forza piuttosto che con il dialogo.

Pratiche autentiche di sinodalità permettono ai Cristiani di elaborare una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire così un contributo peculiare alla ricerca di risposte a molte delle sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune”.

Quindi anche le relazioni sono forma di testimonianza: “Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. E’ una sfida al crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune.

Allo stesso modo, sfida un comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non permette loro di essere soggetti del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune. Sinodalità ed ecologia integrale assumono entrambe la prospettiva delle relazioni e insistono sulla necessità della cura dei legami: per questo si corrispondono e si integrano nel modo di vivere la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo”.

Questa relazione si trasforma in missione, che prende vigore dalla celebrazione eucaristica: “La formazione dei discepoli missionari comincia con l’Iniziazione Cristiana e si radica in essa. Nella storia di ognuno c’è l’incontro con molte persone e gruppi o piccole comunità che hanno contribuito a introdurci nella relazione con il Signore e nella comunione della Chiesa: genitori e familiari, padrini e madrine, catechisti e educatori, animatori della liturgia e operatori nell’ambito della carità, Diaconi, Presbiteri e lo stesso Vescovo…

Nella Messa, infatti, essa accade come grazia donata dall’alto, prima che come esito dei nostri sforzi: sotto la presidenza di uno e grazie al ministero di alcuni, tutti possono partecipare alla duplice mensa della Parola e del Pane. Il dono della comunione, missione e partecipazione (i tre assi portanti della sinodalità) si realizza e si rinnova in ogni Eucaristia”.

Il documento sottolinea che la Resurrezione termina con un banchetto: “Vivendo il processo sinodale abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di rapporti autentici e di legami veri…

Il significato ultimo della sinodalità è la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si effonde fuori di sé per donarsi al mondo. Camminando in stile sinodale, nell’intreccio delle nostre vocazioni, carismi e ministeri, e, andando incontro a tutti per portare la gioia del Vangelo, possiamo vivere la comunione che salva: con Dio, con l’umanità intera e con tutta la creazione. Inizieremo allora già adesso a sperimentare, grazie alla condivisione, il banchetto di vita che Dio offre a tutti i popoli”.

Papa Francesco delinea una Chiesa missionaria

“Questa domanda, davanti a una persona cieca, sembra una provocazione e invece è una prova. Gesù sta chiedendo a Bartimeo chi cerca davvero, e per quale motivo. Chi è per te il ‘Figlio di Davide’? E così il Signore inizia ad aprire gli occhi del cieco. Consideriamo tre aspetti di questo incontro, che diventa dialogo: il grido, la fede, il cammino. Anzitutto il grido di Bartimeo, che non è solo una richiesta di aiuto. E’ un’affermazione di se stesso. Il cieco sta dicendo: ‘Io esisto, guardatemi. Io non ci vedo, Gesù. Tu mi vedi?’ Sì, Gesù vede l’uomo mendicante, e lo ascolta, con gli orecchi del corpo e con quelli del cuore. Pensiamo a noi, quando per la strada incrociamo qualche mendicante: quante volte guardiamo da un’altra parte, quante volte lo ignoriamo, come se lui non esistesse”.

Così papa Francesco prima della recita dell’Angelus odierno ha sottolineato i passi verso la conversione, che dopo il ‘grido’ di aiuto, si apre alla fede, perché qualcuno presta attenzione: “Bartimeo vede perché crede; Cristo è la luce dei suoi occhi. Il Signore osserva come Bartimeo guarda a Lui. Come guardo io un mendicante? Lo ignoro? Lo guardo come Gesù? Sono capace di capire le sue domande, il suo grido di aiuto? Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi il mendicante? Gli tocchi la mano per sentire la sua carne?”

Da qui nasce un cammino: “Infine, il cammino: Bartimeo, risanato, ‘seguiva Gesù lungo la strada’. Ma ognuno di noi è Bartimeo, cieco dentro, che segue Gesù una volta che si è avvicinato a Lui. Quando tu ti avvicini a un povero e ti fai sentire vicino, è Gesù che si avvicina a te nella persona di quel povero. Per favore, non facciamo confusione: l’elemosina non è beneficenza. Quello che riceve più grazia dall’elemosina è colui che la dà, perché si fa guardare dagli occhi del Signore”.

E nell’omelia della messa conclusiva del Sinodo papa Francesco ha sottolineato il grido mendicante di Bartimeo: “La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza”.

E’ stato un invito alla Chiesa ad alzarsi: “Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere.

E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità”.

Infatti appena Gesù si china su Bartimeo egli si alza: “Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo”.

E’ questa la consegna di papa Francesco alla Chiesa: “Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada…

Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo”.

Ed ha concluso l’omelia ricordando il restauro della reliquia dell’antica Cattedra di san Pietro: “Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: il Sinodo è armonia tra le differenze

“Cari fratelli e sorelle, con il Documento Finale abbiamo raccolto il frutto di anni, almeno tre, in cui ci siamo messi in ascolto del Popolo di Dio per comprendere meglio come essere ‘Chiesa sinodale’ (è l’ascolto dello Spirito Santo) in questo tempo. I riferimenti biblici che aprono ogni capitolo, dispongono il messaggio incrociandolo ai gesti e alle parole del Signore Risorto che ci richiama a essere testimoni del suo Vangelo, con la vita prima che con le parole. Il Documento sul quale abbiamo espresso il nostro voto è un triplice dono. Per primo a me, Vescovo di Roma. Convocando la Chiesa di Dio in Sinodo ero consapevole di aver bisogno di voi, Vescovi e testimoni del cammino sinodale. Grazie!”

Con tale inizio papa Francesco ha ringraziato e salutato i padri sinodali, richiamando i moniti di san Basilio riguardo i ‘compiti’ del papa: “Il mio compito, lo sapete bene, è custodire e promuovere, come ci insegna San Basilio, l’armonia che lo Spirito continua a diffondere nella Chiesa di Dio, nelle relazioni tra le Chiese, nonostante tutte le fatiche, le tensioni, le divisioni che segnano il suo cammino verso la piena manifestazione del Regno di Dio, che la visione del Profeta Isaia ci invita a immaginare come un banchetto preparato da Dio per tutti i popoli. Tutti, nella speranza che non manchi nessuno. Tutti, tutti, tutti! Nessuno fuori, tutti. E la parola chiave è questa: l’armonia. Quello che fa lo Spirito, la prima manifestazione forte, il mattino di Pentecoste, è armonizzare tutte quelle differenze, tutte quelle lingue… Armonia”.

Questo è l’insegnamento del Concilio Vaticano II: “E’ ciò che il Concilio Vaticano II insegna quando dice che la Chiesa è ‘come sacramento’: essa è segno e strumento dell’attesa di Dio che ha già apparecchiato la mensa, e attende. La sua Grazia, tramite il suo Spirito, sussurra nel cuore di ciascuno parole di amore. A noi è dato di amplificare la voce di questo sussurro, senza ostacolarlo; ad aprire le porte, senza erigere muri. Quanto male fanno le donne e gli uomini di Chiesa quando erigono dei muri, quanto male!

Tutti, tutti, tutti! Non dobbiamo comportarci come ‘dispensatori della Grazia’ che si appropriano del tesoro legando le mani al Dio misericordioso. Ricordatevi che abbiamo iniziato questa Assemblea sinodale chiedendo perdono, provando vergogna, riconoscendo che siamo tutti dei misericordiati”.

Ed ha chiesto loro di raccontare ciò che è stato il Sinodo: “Il Documento è un dono a tutto il Popolo fedele di Dio, nella varietà delle sue espressioni. E’ ovvio che non tutti si metteranno a leggerlo: sarete soprattutto voi, assieme a tanti altri, a rendere accessibile nelle Chiese locali ciò che esso contiene. Il testo, senza la testimonianza dell’esperienza compiuta, perderebbe molto del suo valore.

Cari fratelli e sorelle, ciò che abbiamo vissuto è un dono che non possiamo tenere per noi stessi. Lo slancio che viene da questa esperienza, di cui il Documento è un riflesso, ci dà il coraggio di testimoniare che è possibile camminare insieme nella diversità, senza condannarci l’un l’altro”.

Questo è un dono dello Spirito Santo: “Veniamo da tutte le parti del mondo, segnati dalla violenza, dalla povertà, dall’indifferenza. Insieme, con la speranza che non delude, uniti nell’amore di Dio diffuso nei nostri cuori, possiamo non solo sognare la pace ma impegnarci con tutte le nostre forze perché, magari senza parlare tanto di sinodalità, la pace si realizzi attraverso processi di ascolto, dialogo e riconciliazione. La chiesa sinodale per la missione, ora, ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino.

Tutto questo è dono dello Spirito Santo: è Lui che fa armonia, Lui è l’armonia. San Basilio ha una teologia molto bella su questo; se potete leggete il trattato di San Basilio sullo Spirito Santo. Lui è l’armonia. Fratelli e sorelle, che 1’armonia continui anche uscendo da quest’aula e il Soffio del Risorto ci aiuti a condividere i doni ricevuti”.

Nella conferenza stampa conclusiva della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ha sottolineato che non ci sarà nessun documento del papa: “Il papa non redigerà l’esortazione apostolica post-sinodale ma questo non vuol dire che non ci saranno momenti dove si esprimerà direttamente sulle linee proposte dall’assemblea. E’ un modo diverso. La sinodalità tocca tutti, non solo parrocchie e diocesi ma anche il ministero del papa”.

Inoltre il relatore generale, card. Jean Claude Hollerich, ha sottolineato una maggior unità della Chiesa: “Lo scorso anno vi erano maggioranza e minoranza, quest’anno è cresciuta una realtà di essere chiesa insieme, è normale avere opinioni diverse su alcuni temi ma non abbiamo visto questo incontro come un incontro politico. Abbiamo vissuto la sinodalità, tutto quel che è nel documento esprime la sinodalità”.

(Foto: Santa Sede)

Fabio Nardelli racconta un popolo missionario e sinodale per il cammino della Chiesa

“L’accostamento tra missione e sinodalità: un accostamento per così dire ‘sistematico’, messo in evidenza fin dal titolo. E questo perché missione e sinodalità non stanno l’una senza l’altra: si sostengono reciprocamente, crescono di pari passo e insieme concorrono a delineare il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio. Di fronte all’annuncio di un Sinodo sulla sinodalità, qualcuno aveva paventato il pericolo di «introversione ecclesiale», per dirla con le parole di Evangelii Gaudium (n. 27), cioè di una specie di ripiegamento della Chiesa su se stessa e sui suoi meccanismi interni, in contraddizione con le esigenze di quella conversione missionaria cui l’ora presente chiama i credenti in tutto il mondo. Ma, in realtà, il cammino sinodale in corso non è che la coerente prosecuzione del ‘sogno’ missionario che papa Francesco illustrava così nello stesso paragrafo di quel documento”.

Così inizia la prefazione del card. segretario generale del Sinodo dei Vescovi, card. Mario Grech, al libro ‘Un popolo missionario e sinodale. Il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio’ del frate minore, p. Fabio Nardelli, che nasce dalle ‘riflessioni che le Conferenze Episcopali, le Chiese Orientali Cattoliche e altre realtà ecclesiali internazionali hanno presentato oltre ai rapporti redatti dai parroci nella tre-giorni di lavoro dell’incontro Parroci per il Sinodo’.

Ed in occasione di questa seconda sessione della XVI Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre), il volume di p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, nonché assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense,‘Un popolo missionario e sinodale. Il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio’, si presenta come uno strumento di natura teologico-pastorale che evidenzia un accostamento tra missione e sinodalità, particolarmente significativo nell’attuale contesto ecclesiale. La prefazione del card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, che arricchisce l’opera, ribadisce che l’aggettivo ‘missionario-sinodale’ concorre a delineare il cammino della Chiesa nell’attuale contesto.

Perché la Chiesa è un popolo missionario e sinodale?

“Nel corso della riflessione teologica, lungo i secoli, diverse sono state le categorie utilizzate per esprimere la realtà ecclesiale. Ma quella che sembra particolarmente adatta per correlare missione e sinodalità, è il ‘Popolo di Dio’. Chiamato da Dio, il popolo si mette in cammino vivendo ‘in uscita’ e nello stile della comunione. Questi due atteggiamenti caratterizzano l’essere della Chiesa nel Terzo Millennio, secondo quanto affermava papa Francesco, dicendo che ‘la sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione’”.

Quale correlazione esiste tra partecipazione e missione?

“Come afferma il card. Grech, nella prefazione del volume, ‘una Chiesa più capace di partecipazione e corresponsabilità è una Chiesa ultimamente più capace di missione’. In realtà, la dimensione partecipativa è già espressione della sua missionarietà in quanto ogni battezzato, in forza del ‘sensus fidei’, diventa un membro attivo della Chiesa realizzando concretamente nel suo contesto e con la forma della sua vita l’imperativo missionario del Risorto: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura’, come narrato nel vangelo di san Marco”.

Per quale motivo la Chiesa è pellegrina di speranza?

“La Chiesa ‘pellegrina di speranza’ è icona di ogni persona che, mettendosi in cammino nella fede, ha davanti a sé una meta e una direzione indicata dalla Parola. Come ripete papa Francesco, nella Bolla ‘Spes non confundit’: ‘mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita’ e, perciò, essa è chiamata a vivere da pellegrina per ricordare all’uomo contemporaneo che tutti sono in ‘cammino’ verso il Regno”.

In quale modo il cammino della Chiesa sinodale si fonda sulla Trinità?

“Essa si presenta come ‘soggetto’ della fede che come comunità e assemblea di credenti ha quale “oggetto” della sua fede il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo è ciò che voleva mostrare anche il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen gentium’, quando ha evidenziato l’azione ad extradella Trinità specificando il compito del Padre, il ruolo del Figlio e dello Spirito Santo. Il volume, infatti, mette in evidenza che il cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa sta facendo emergere una vera ‘ecclesiologia pneumatologica’, in cui lo Spirito unifica nella comunione e nel ministero diversi doni gerarchici e carismatici che operano in essa”.

Missione richiama la parola ‘evangelizzazione’: con quale stile?

“Naturalmente, quello della ‘partecipazione’, in quanto la missione è nel DNA del cristiano. Quindi nessuno può sentirsi escluso da una Chiesa tutta missionaria, in cui, nella diversità delle funzioni, ogni battezzato è chiamato a vivere in pienezza la sua identità. In verità, la riscoperta della radice battesimale ha liberato la Chiesa da un’eccessiva clericalizzazione dei laici e da un’impropria secolarizzazione dei pastori. Ed, in questo nuovo contesto, la sinodalità, intesa come ‘stile ecclesiale’, consente a tutti di cogliere meglio le caratteristiche e la funzione dei differenti protagonisti dell’evangelizzazione”.

(Tratto da Aci Stampa)

Dal Sinodo un invito a non vivere di rendita

“…siamo giunti all’ultimo tratto di strada dei lavori della nostra Assemblea sinodale, che raccoglie i frutti di un lungo cammino iniziato nell’ottobre 2021. Proprio ora il brano del Vangelo ci indica la strada per come ‘raccogliere’ e Gesù ci invita a guardarci da ogni cupidigia, e questa può riguardare non solo i beni materiali, ma il bene e la bellezza che Gesù ci sta affidando in questo Sinodo”: con queste parole introduttive dell’omelia della celebrazione eucaristica il segretario generale del Sinodo, card. Mario Gtech, ha aperto le discussioni dell’ultima settimana, che produrranno il documento finale.

Nell’omelia il card. Grech ha preso spunto dal brano evangelico per un cammino sinodale: “Gesù rifiuta di dividere, ma invita a cercare la comunione, poiché individua nella cupidigia e nella ricerca del possesso la radice della divisione. Gesù rifiuta ogni logica di parte e di divisione nella ricerca della comunione tra fratelli. Per questo racconta poi la parabola, perché ognuno possa accorgersi della ‘stoltezza’ che si nasconde dietro il desiderio di ammassare nei granai. La parabola ci indica come disporci in questi giorni a raccogliere i frutti del nostro percorso sinodale e della nostra assemblea, senza dividerci, ma cercando la comunione”.

Insomma il vangelo è un invito a fare buon uso dei beni, senza vivere di rendita: “Non pensa ad investire, ad allargare il suo sguardo, a far fruttare i suoi beni, ma semplicemente a vivere di rendita. Si compiace della sua completezza! Anche noi potremmo correre il rischio di fare come quest’uomo, di ammassare ciò che abbiamo raccolto, i doni di Dio che abbiamo scoperto, senza reinvestirli, senza viverli come doni ricevuti che dobbiamo ora ridonare alla Chiesa ed al mondo, di sentirci arrivati!”

Il Vangelo è un invito ad esplorare strade nuove: “Anche noi potremmo accontentarci, senza cercare strade nuove perché il nostro raccolto possa moltiplicarsi ulteriormente; anche noi potremmo rischiare di rimanere chiusi nei nostri confini conosciuti, senza continuare ad allargare lo spazio della nostra tenda, come ci ha invitato a fare il profeta Isaia… Anche noi possiamo correre il rischio di vivere di rendita. Ma la comprensione delle verità e le scelte pastorali vanno avanti, si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età”.

L’omelia del card. Grech è stato un invito ad ascoltare lo Spirito Santo: “Piano piano quello che abbiamo raccolto comincerà a sparire, senza essere sostituito dalle novità che il Signore continuerà a mandarci… Se ascolteremo la voce dello Spirito, la conclusione di questa assemblea sinodale non sarà la fine di qualcosa, ma un nuovo inizio, perché ‘la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata’.

Cari fratelli e sorelle, con Maria, alla quale abbiamo affidato fin dall’inizio i lavori della nostra Assemblea, se sapremo ascoltare la voce dello Spirito Santo e vivere nella libertà dello Spirito, potremo cantare al Signore l’inno di lode che ci indica il profeta Isaia”.

Mentre nella meditazione il teologo domenicano Timothy Radclife ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di ‘predicare e incarnare’ una doppia libertà, “la doppia elica del Dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri”. Cioè ‘la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia’; ma anche la ‘libertà più profonda, la libertà interiore dei nostri cuori’ di accettare anche le decisioni che possa deludere, e che alcuni potrebbero ritenere ‘sconsiderate o addirittura sbagliate’.

Dunque, siamo abitati dalla libertà di “pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio… Se  abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza e “finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra”.

D’altro canto, “se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai… Invece la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra”.

Nella stessa giornata il card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha proposto un incontro sulla questione del diaconato permanente per le donne: “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.

Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo”.

Ed ha dichiarato la disponibilità all’ascolto delle proposte: “Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro. Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi.

I membri del Sinodo che lo vogliono (sia individualmente che come gruppi) possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati”.

Sinodo e Azione Cattolica italiana, ne parla il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano

A metà settembre alla ‘Casa San Girolamo’ di Spello si sono svolte le ‘Conversazioni di Spello’ con il prof. Luigi Alici, docente emerito di ‘Filosofia morale’ e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Lorenzo Zardi, vicepresidente nazionale per il settore Giovani di Azione Cattolica, la prof.ssa Pina De Simone, ordinaria di ‘Filosofia della religione’ e direttrice di ‘Dialoghi’, con gli intermezzi musicali del violinista Stefano Rimoldi, sul tema ‘Per una cultura del noi. Alle radici del fare cultura e del senso di comunità’, introdotti dal presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano.

Durante l’incontro il prof. Alici ha invitato ad aprire gli ‘orizzonti relazionali’: “Il laico cristiano riconosce e testimonia che in ogni relazione filtra una luce infinita: c’è una mistica anche della vita attiva, che cerca l’unità nelle giunture, la comunione nelle differenze, la prossimità nella distanza; che incontra Dio anche nel cuore dell’uomo e dell’umanità, alla radice degli spazi vissuti e oltre le distanze temporali. Riconoscere e aprire infinitamente questi orizzonti relazionali disegna lo spazio di incontro e dialogo tra credenti e non credenti”.

Al termine dell’incontro con il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, abbiamo riflettuto sulla necessità della cultura del ‘noi’: “Viviamo in un tempo in cui prevale un senso di individualismo, spesso portato fino all’eccesso, dovuto da tanti fattori, non ultimo da una cultura economicista, che ha pervaso la vita sociale con l’enfatizzazione dei valori dell’utilità e della competizione e mettendo in ombra i valori della cooperazione e dell’amicizia sociale.

Quindi quello della ricostruzione e del legame comunitario è un tema importante; però il ‘noi’ non può essere una chiusura nel gruppo, ma deve essere qualcosa di inclusivo ed aperto. In questo cammino aiuta l’esperienza ecclesiale, che ci fa vivere la comunità non come qualcosa di esclusivo e di chiusura, ma che cresce attraverso il dialogo con l’altro e nell’esperienza dell’accoglienza dell’altro. Questo è un’esperienza che si può vedere nella Chiesa sinodale e nel magistero di papa Francesco. Come associazione crediamo che occorre dare anche una mediazione culturale a quest’esperienza”.

Quindi quanta ‘sinodalità’ si sta sviluppando nella Chiesa?

“E’ un cammino. Credo che il Sinodo abbia introdotto stili e pratiche che, dal basso, stanno animando una  conversione pastorale: penso allo stile della conversione spirituale, che è un modo di ripensare il nostro incontrarci a partire da un ascolto sincero dell’altro. Dobbiamo imparare a costruire insieme le decisioni: questa è la sfida che abbiamo davanti; guardiamo con grande fiducia al cammino dei vescovi, ma guardiamo anche con grande fiducia al cammino delle Chiese italiane, perché le assemblee dei vescovi, che si terranno nel prossimo novembre ed a maggio del prossimo anno possano essere un’esperienza, dove tutti concorrono a scegliere insieme quelle questioni cruciali che riguardano la vita della Chiesa. E’ una sfida che deve essere affrontata con grande speranza, senza dimenticare il monito di papa Francesco, che afferma che questa deve essere soprattutto un’esperienza spirituale: insieme sotto la guida dello Spirito Santo”.

Secondo papa Francesco il processo sinodale è una delle ‘più preziose’ eredità del Concilio Vaticano II: c’è continuità tra queste due esperienze?

“Abbiamo da un lato una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa. Dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersi a servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco, debitore dell’esortazione apostolica ‘Evangelii nuntiandi’ di papa san Paolo VI e che qualcuno ha definito una specie di ‘software di installazione’ del Concilio Vaticano II.

I punti di contatto tra la stagione del Sinodo e quella del Concilio sono molteplici: anzitutto direi la pastoralità voluta da papa san Giovanni XXIII, che aveva in mente un Concilio che non fosse soltanto dogmatico bensì un gesto di amore verso il Signore e verso l’uomo. L’altro aspetto è quello dell’universalità: un progetto ampio, che ci offre il senso di una Chiesa come un popolo che cammina nella storia e che ha una grande diffusione in tutte le parti del pianeta, con intensità e realtà diverse, e una comune dimensione universale”.

Ed in questo ‘tempo’ quali saranno le linee guida dell’Azione Cattolica Italiana?

“L’Azione Cattolica Italiana ha messo a tema per questo triennio la speranza, che è soprattutto giubilare. Quindi vorremmo sviluppare alcune linee di lavoro che riguardano un’associazione, che deve essere capace di aiutare le persone a rimettere al centro della propria vita l’esperienza cristiana attraverso uno stile sinodale. Questo stile si traduce anche nella vita sociale attraverso la costruzione di reti per perseguire impegni per il bene comune.

Abbiamo il desiderio di accompagnare le persone nelle sfide quotidiane, lavorando nel dialogo intergenerazionale e di prenderci cura degli ambienti di vita, quale l’università od il mondo del lavoro e delle professioni, che sono spazi in cui l’associazione è presente con i propri movimenti, che vogliamo rilanciare attraverso proposte per la formazione culturale e spirituale”.

(Tratto da Aci Stampa)

Dal Sinodo uno sguardo ai luoghi

Oggi la giornata sinodale si è aperta nel ricordo di José Carlos de Sousa (il poeta brasiliano che viveva in povertà sotto il colonnato di piazza San Pietro, morto ad agosto e di cui stamani sono state celebrate le esequie). Mentre nel pomeriggio è stato proiettato il film ‘Io Capitano’, diretto da Matteo Garrone, per su iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e nella sua relazione il card. Hollerich ha sottolineato l’importanza della Parte III dell’Instrumentum laboris, dedicata ai luoghi della missione con uno sguardo alle città e alle megalopoli, in una visione non statica ma dinamica che comprende anche le migrazioni.

Il relatore generale ha introdotto i quattro paragrafi che costituiranno la sezione ‘Luoghi’. Il primo, intitolato ‘Territori in cui camminare insieme’, è un invito ‘a mettere a tema come, nel nostro tempo, le persone vivono la dimensione del radicamento a un contesto’. Eppure, il bisogno di appartenere c’è, solo che esso “trova risposta in trame di relazioni con un ancoraggio territoriale più dinamico ed elastico che in passato, fino al caso limite dell’ambiente digitale”.

Parlare di “contesti locali significa anche prendere in considerazione le relazioni che si instaurano tra luoghi e culture”: questi, infatti, “sono sempre in relazione gli uni con gli altri, e“ancora di più lo sono le Chiese che li abitano, in ragione del vincolo della comunione che le stringe nell’unità della Chiesa tutta di cui il Vescovo di Roma è principio visibile”. La comunione nell’unità, delle varie Chiese con la Chiesa universale, ‘presiede anche alla vita interna di ciascuna Chiesa locale’, evidenziando come il secondo e terzo paragrafo trattino proprio, rispettivamente, delle ‘Chiese locali nell’una e unica Chiesa cattolica’ e dei ‘legami che danno forma all’unità della Chiesa’.

Mentre nella meditazione di apertura la riflessione di suor Maria Ignazia Angelini si è concentrata  sul tema de ‘Il luogo della Chiesa sinodale in missione’. Il radicamento ecclesiale in un posto concreto, un contesto, una cultura è ‘un nodo che già dagli inizi ha inquietato le prime comunità cristiane’, infatti ‘riguardo ai luoghi della vita, i cristiani si identificavano, paradossalmente, come ‘stranieri residenti’. 

Nella mensa, “luogo fortemente simbolico la costitutiva itineranza dell’annuncio trova necessaria sosta, le relazioni affondano radici e la fame è messa a nudo. Lì, dove il bisogno scava uno spazio di relazione non vano con l’altro”. Ribaltando l’insidia del suo ospite, per “giungere a un’etica dell’interiorità e dell’autenticità Gesù indìce una nuova convivialità, basata sul dono: Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro”.

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