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Papa Francesco ricorda alla Congregazione di san Vincenzo de’ Paoli il ‘fuoco’ della missione

“Mentre la Congregazione della Missione si prepara a commemorare il quarto centenario della sua fondazione, porgo affettuosi auguri a Lei, ai sacerdoti e ai fratelli della Congregazione e a tutti i membri della grande Famiglia vincenziana. Prego affinché questo significativo anniversario sia un’occasione di grande gioia e di rinnovata fedeltà alla concezione del discepolato missionario, fondato sull’imitazione dell’amore preferenziale di Cristo per i poveri”: così inizia il messaggio scritto da papa Francesco a p. Tomaz Mavric, superiore generale della Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli in occasione dei 400 anni di fondazione.
Nel messaggio il papa ha ripercorso la storia della nascita delle opere di carità di quello che oggi chiamiamo la ‘San Vincenzo’: “Gli inizi della vostra Congregazione sono radicati nella profonda esperienza personale di san Vincenzo de’ Paoli, in quel ‘fuoco d’amore’ che ardeva nel cuore del Figlio di Dio incarnato e che lo portò a identificarsi con i poveri e gli emarginati.
Angosciato per la mancanza di cure pastorali nelle campagne francesi, all’inizio del 1617 decise di organizzare le missioni volte a fornire un’istruzione catechistica di base e incoraggiare un ritorno ai sacramenti. Un sogno che avrebbe portato a compimento, circa otto anni dopo, con la fondazione della Congregazione della Missione il 17 aprile 1625”.
E’ stato un inizio con forte impulso missionario: “Nei primi sette anni di vita, i sacerdoti e i fratelli della Congregazione svolsero 140 missioni. Tra il 1632 e il 1660, i missionari della Casa madre di Parigi organizzarono altre 550 missioni. A partire dal 1635, con la nascita di comunità fuori Parigi, furono avviate centinaia di altre missioni. Questa notevole espansione testimonia la fecondità religiosa e missionaria dello zelo sacerdotale di San Vincenzo e la sua sete di convertire i cuori e le menti a Cristo”.
Inoltre il papa ha sottolineato anche l’importante ruolo delle donne nelle opere di carità nella società: “Nella sua opera di sensibilizzazione verso i poveri, Vincenzo si rese subito conto che le opere di carità dovevano essere ben organizzate. Le donne furono le prime a raccogliere questa sfida. Nel 1617, nella parrocchia di Châtillon, fondò la prima delle ‘Confraternite della Carità’, che continuano oggi come Associazione Internazionale di Carità o Volontariato Vincenziano.
Nel 1633, insieme a Santa Luisa de Marillac, fondò una forma rivoluzionaria di comunità femminile, le ‘Figlie della Carità’. Fino a quel momento, le religiose vivevano nei monasteri; le Figlie della Carità furono invece inviate nelle strade di Parigi per servire gli ammalati e i poveri. Questa innovazione darà i suoi frutti in una vera e propria proliferazione di Congregazioni religiose femminili dedite alle opere apostoliche nei secoli successivi”.
E si dedicò anche alla formazione del clero, per cui il papa ha invitato a non dimenticare questa eredità spirituale: “In questo anniversario, è opportuno riflettere sull’eredità spirituale, sullo zelo apostolico e sulla cura pastorale che san Vincenzo de’ Paoli ha trasmesso alla Chiesa universale. L’elenco di coloro che hanno assimilato la spiritualità vincenziana e l’hanno vissuta eroicamente nel corso degli anni è lungo e abbraccia tutti i continenti…
Ancora oggi, sulle orme di san Vincenzo, la sua famiglia continua ad avviare opere di carità, ad intraprendere nuove missioni e ad aiutare nella formazione del clero e del laicato. Più di 100 rami di sacerdoti, fratelli, sorelle, laici e uomini costituiscono oggi la famiglia vincenziana. La Società di San Vincenzo de’ Paoli, fondata nel 1833 dal Beato Frédéric Ozanam, è diventata una straordinaria forza di bene al servizio dei poveri, con centinaia di migliaia di membri in tutto il mondo”.
Quindi la ‘crescita’ missionaria è la ‘forza’ della congregazione: “La Congregazione della Missione sta vivendo attualmente nuovi segni di crescita. Le Province più giovani, soprattutto in Asia e in Africa, dove le vocazioni alla Congregazione sono fiorenti, hanno risposto alla chiamata di iniziare missioni in altri Paesi. La Congregazione continua anche a intraprendere nuove opere creative tra i bisognosi”.
Una missione attenta ai poveri: “Penso all’ ‘Alleanza Famiglia Vincenziana con le persone senza fissa dimora’, un’iniziativa internazionale per fornire alloggi a prezzi accessibili alle persone senzatetto, ispirata all’esempio di Vincenzo de’ Paoli, che iniziò il suo lavoro nei loro confronti nel 1643, costruendo tredici case a Parigi per i poveri. Questa iniziativa intende svilupparsi nei Paesi dove sono presenti i vincenziani con la costruzione di altre case superando così l’obiettivo iniziale di accogliere 10.000 persone”.
Ed il carisma di san Vincenzo de’ Paoli è un arricchimento per la Chiesa: “Quattro secoli dopo la fondazione della Congregazione della Missione, non c’è dubbio che il carisma di San Vincenzo de’ Paoli continui ad arricchire la Chiesa attraverso i vari apostolati e le buone opere dell’intera Famiglia vincenziana.
Spero che le celebrazioni del quarto centenario mettano in evidenza l’importanza della concezione di San Vincenzo del servizio a Cristo nei poveri per il rinnovamento della Chiesa del nostro tempo, nella sequela missionaria e nell’aiuto ai bisognosi e agli abbandonati nelle molte periferie del nostro mondo e ai margini di una cultura superficiale e ‘usa e getta’.
Sono convinto che l’esempio di San Vincenzo possa ispirare in modo particolare i giovani, che con il loro entusiasmo, la loro generosità e la loro preoccupazione per la costruzione di un mondo migliore, sono chiamati a essere testimoni audaci e coraggiosi del Vangelo tra i loro coetanei e ovunque si trovino”.
(Foto: Congregazione San Vincenzo de’ Paoli)
Agenzia Fides: nel 2024 uccisi 13 missionari

13 persone nello scorso anno hanno donato la vita fino al tributo di sangue per annunciare il Vangelo: come ogni anno, il rapporto dell’Agenzia Fides, organo delle pontificie opere missionarie, presenta le storie dei missionari e degli operatori pastorali assassinati nel mondo. L’agenzia nel Dicastero per l’evangelizzazione, nell’opera di monitoraggio di quanti hanno dato la vita mentre, per fede, erano impegnati in un servizio alla Chiesa, considera un orizzonte più ampio e registra tutti i cattolici coinvolti in qualche modo nelle opere pastorali e nelle attività ecclesiali morti in modo violento, anche se non propriamente ‘in odio alla fede’.
Stando ai dati verificati dall’Agenzia Fides, nel 2024 nel mondo sono stati uccisi otto sacerdoti e cinque laici. Sei di loro hanno perso la vita in Africa e cinque in America, due continenti che, negli ultimi anni, ‘si sono alternati al primo posto di questa tragica classifica’, ha spiegato il rapporto. Nel dettaglio, in Africa sono stati assassinati due sacerdoti in Sudafrica e uno in Camerun, un catechista e un volontario in Burkina Faso, un laico nella Repubblica Democratica del Congo. Nel continente americano un prete è stato ucciso in Colombia, uno in Ecuador, un altro in Messico. Anche i laici sono stati colpiti a morte: un collaboratore parrocchiale in Brasile, un laico in Honduras.
C’è anche l’Europa nell’elenco: in Spagna Juan Antonio Llorente, frate francescano dell’Immacolata, è stato assassinato nel monastero dove viveva a Gilet. In Polonia è morto invece padre Lech Lachowicz, 72 anni, aggredito da un uomo che ha fatto irruzione nella canonica armato d’ascia. Nel 2024 non vi sono missionari uccisi in Asia ma sono diverse le nazioni del vasto continente dove gli operatori pastorali hanno rischiato la vita o sono stati gravemente feriti a causa di conflitti, disordini, criminalità.
Il dossier, curato da Fabio Beretta, mette in risalto le loro biografie, impegnati nella vita quotidiana: “Come evidenziano le informazioni, certe e verificate, sulle loro biografie e sulle circostanze della morte, i missionari e gli operatori pastorali uccisi non erano sotto i riflettori per opere o impegni eclatanti, ma operavano dando testimonianza della loro fede nella ordinarietà della vita quotidiana, non solo in contesti segnati dalla violenza e dai conflitti.
Le notizie sulla vita e sulle circostanze in cui è avvenuta la morte violenta di queste persone ci offrono immagini di vita quotidiana, in contesti spesso contrassegnati dalla violenza, dalla miseria, dalla mancanza di giustizia. Si tratta spesso di testimoni e missionari che hanno offerto la propria vita a Cristo fino alla fine, gratuitamente”.
Nel commentare queste vite ‘donate’ il direttore dell’Agenzia Fides, Gianni Valente, ha evidenziato che tali morti non è narcisismo: “I testimoni di Gesù morti ammazzati possono abbracciare con le loro vite offerte i propri stessi carnefici per puro dono di grazia, riverbero della propria gratuita configurazione alla passione di Cristo. Non certo per sforzo volontaristico di ‘autocontrollo’. Anche quest’anno, come accade spesso, la gran parte di missionari e operatori pastorali uccisi sono stati raggiunti dalla morte violenta mentre erano immersi nella trama ordinaria delle loro opere e dei loro giorni”.
La loro morte è una testimonianza di fede: “Ogni confessione di fede offerta fino al dono della propria stessa vita avviene non come eroica prestazione umana, ma solo in forza dello Spirito Santo. In ogni autentica dinamica cristiana nessuno può confessare il dono della fede e rendere testimonianza a Cristo se non nello Spirito Santo”.
Per questo è importante ‘fare’ memoria: “Fare memoria ogni anno dei missionari e degli operatori pastorali uccisi vuol dire riconoscere e celebrare questo mistero imparagonabile di gratuità. E aiuta anche a liberarsi da tutte le contraffazioni che pongono le sofferenze dei battezzati sotto lo stigma della paura, o della rivalsa verso qualsiasi nemico. E quando slogan e campagne sui cristiani perseguitati non lasciano intravvedere questo tesoro, questa dinamica vertiginosa, rischiano di confondere e aumentare la smemoratezza”.
Il card. Semeraro ha ricordato i martiri del Congo

Si celebrano quest’anno i 60 anni dall’uccisione di centinaia di religiosi e di migliaia di persone, dopo l’indipendenza della Repubblica democratica del Congo, provocati dalle tensioni politiche e sociali, da lotte di potere e conflitti tribali alimentati dall’Occidente, dall’Unione Sovietica e dalla Cina. E sabato 21 settembre a Parma il card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha celebrato la messa di ringraziamento ricordando quell’avvenimento:
“Ero un giovane seminarista, quell’anno, e nel Seminario giungevano, lasciandoci addolorati, le notizie dei missionari che morivano nel Congo violentemente uccisi nel corso dei tragici eventi di quel Paese. Ho poi riletto, in vista di questo nostro incontro a più titoli ‘eucaristico’, le cronache quasi quotidiane de ‘L’Osservatore Romano’ di quei giorni e ho trovato scritto: ‘I nomi di questi caduti per Cristo rimarranno nella Chiesa e negli annali delle famiglie religiose e torneranno sulle labbra, nella preghiera e nei discorsi non per inveire ma per rianimare la carità’.
In quegli stessi giorni il papa Paolo VI consegnava al Primo Ministro congolese un messaggio dove sottolineava che quei missionari, religiosi e religiose, che avevano testimoniato con il sangue la loro fedeltà al Vangelo e il loro amore per la patria congolese, vi erano giunti solo per mettere le loro migliori energie al servizio della nuova nazione e certamente non desideravano altro che la sua prosperità e il suo sviluppo pacifico”.
Ed ha ricordato due elementi della liturgia: “Il primo è l’ufficiale riconoscimento della Chiesa del loro martirio, come disse papa Francesco dopo la preghiera dell’Angelus nello stesso giorno, ‘è stato il coronamento di una vita spesa per il Signore e per i fratelli’. L’altro scopo è onorare questi Beati riconoscendo attivo e presente in loro il mistero evangelico del granello di senape…
Nella beatificazione dei martiri Luigi Carrara e Giovanni Didonè, religiosi sacerdoti, e Vittorio Faccin, religioso professo, la famiglia saveriana troverà certamente impulso e motivi di fervore apostolico. A questi tre questi Beati, che hanno vissuto la loro vocazione missionaria con gioia ed entusiasmo apostolici, è associato il beato Alber Jovet, uno dei primi sacerdoti della regione congolese, anch’egli animato da profondo spirito missionario”.
Nel ricordare il viaggio apostolico del papa in Asia ed Oceania, il prefetto del dicastero delle cause dei santi ha parlato della gioia del Vangelo: “Cosa sia la gioia del Vangelo possiamo coglierlo nel racconto del vangelo che è stato proclamato e trovarlo particolarmente nel gesto di Gesù che, dopo avere chiamato Matteo alla sua sequela, lo vede prontamente alzarsi e seguirlo.
Narrando lo stesso episodio, gli altri due evangelisti, Marco e Luca, ci riferiscono che Matteo invitò Gesù a casa sua e con lui invitò pure i suoi amici, magari nella fiducia che anche loro sperimentassero la sua medesima chiamata. Si dà, dunque, inizio a un banchetto cui Gesù prende parte con gioia evidente ed espansiva, al punto da destare le critiche dei farisei: ‘mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori’. Com’è bella, com’è esemplare questa gioia di Gesù: è la gioia del Vangelo!”
La pagina evangelica è un invito per i missionari saveriani nel ricordo di mons. Biguzzi: “Voi, missionari saveriani, avete il dovere di evidenziare nella Chiesa certamente lo zelo, ma pure la gioia del vangelo. Mentre vi guardo, carissimi, sento il cuore riscaldarsi per la memoria di un vostro confratello, il vescovo Giorgio Biguzzi che, all’epoca del mio ministero episcopale nella Chiesa di Albano, ho più volte incontrato e per due volte ho visitato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone. E’ morto da poco ed io lo ricordo come un vescovo gioioso, che della gioia del vangelo è stato davvero un singolare testimone”.
(Foto: Savveriani)
Route Nazionale Agesci: educare alla bellezza della vita

“Siete capi! E questo termine è libero da confronti, competizioni, perché come deve essere è di solo Servizio. Senza di voi non cammina il popolo scout… per poter dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior Maestro della Vita, quel vero pellegrino che è Gesù che ama, che insegna ad amare se stessi e ad amare il prossimo e cammina nelle nostre strade e apre quella del cielo”: con queste parole dell’omelia il presidente della Cei, card. Matteo Maria Zuppi, ha concluso a Verona la route nazionale di Arena24 per celebrare il 50^ dell’Agesci.
Il card. Zuppi ha richiamato la memoria all’assemblea di Sichem: “Viviamo a Verona quella grande assemblea di Sichem di cui abbiamo ascoltato, con motivi simili a quelli che avevano spinto Giosuè a convocare il popolo. Giosuè avvertiva il rischio che prevalessero l’identità di ogni tribù e di ogni clan familiare, di una frammentazione che enfatizzasse l’io ma relativizzasse il noi”.
Sichem è un richiamo all’esodo del popolo ebraico: “A Sichem fecero memoria di quanto avevano vissuto nei lunghi anni dell’esodo e dell’amore provvidente di Dio che li aveva accompagnati sempre, anche quando erano inconsapevoli. Il loro cuore era rivolto al futuro, al tempo e alla sfida che li attendeva”.
E’ stato un richiamo ad essere un popolo: “Non siamo turisti, ma esploratori! Ci accompagnano anche i tanti che in questi cinquanta anni hanno camminato con voi e adesso, magari, camminano con difficoltà con le gambe ma certamente lo fanno ancora di più col cuore, con la preghiera, con la solidarietà. Davvero ‘per sempre’. Siete un popolo. Solo l’io può scegliere, ma solo il noi può aiutare quell’io a camminare”.
Ed ha sottolineato il valore della parola ‘capo’: “Senza di voi il popolo scout non cammina. Siete tanti, ma quanti altri ne servirebbero per potere dare la possibilità di conoscere e seguire il miglior maestro della vita che è Gesù, che ama e insegna ad amare sé stessi e ad amare il prossimo, che cammina per strada e apre quella del cielo.
Tu hai parole di vita eterna, parole di vita e non di morte, parli di quello che non finisce e che la vita la rende piena di bellezza umana e spirituale già oggi, luce nel buio, giustizia nei disequilibri, pace nelle divisioni, mitezza in un mondo con cuori e menti armati. L’io isolato soffre, non sta bene! L’io in una vita ridotta a laboratorio diventa solo più fragile. Sappiamo quanti ragazzi e ragazze chiudono il mondo in una stanza (senza cielo però!), catturati e ingannati dallo schermo che confonde reale e virtuale e fa credere di essere quello che non si è”.
E’ stato un invito a ‘fare’ il meglio: “Fare il meglio perché abbiamo davvero capito che se non lasciamo il mondo migliore sarà peggiore, segnato da ingiustizie inaccettabili, alle quali non vogliamo abituarci. Siete diventati grandi facendo diventare grandi non perché sopra gli altri, ma insieme e nel servizio. Il più grande aiuta il più piccolo. Sempre. Quando ognuno finisce per essere regola a sé stesso si finisce per cercare una felicità individuale e non trovarla mai”.
In questo modo è possibile ‘vivere felice’, per cercare di cambiare il mondo: “Voi dimostrate che è possibile vivere una vita felice, non perché senza problemi, ma perché con un amore più forte delle avversità. Questo era il sogno di Baden-Powell (un uomo segnato dalla terribile esperienza della guerra) e questo rimane e si conferma il sogno che anche voi, qui a Verona, volete rinnovare.
Non siete per niente ‘anime belle’, ma belle e forti anime in un mondo che la trova poco! Non siete ingenui, ma (proprio perché sapete come va il mondo) lo volete cambiare! Non siete diventati cinici osservatori, turisti, ma sempre esploratori. Generate tanta felicità”.
E’ stato un invito a vivere tenendo presente testimoni come don Peppe Diana: “Viviamo un tempo in cui nel nostro Paese è ancora forte e insidiosa la pratica dell’illegalità e delle scorciatoie compiacenti in nome della convenienza personale. In questo anno in cui celebriamo i trent’anni dell’omicidio di don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe e Assistente ecclesiastico dell’Agesci, continuate ad essere testimoni e educatori di legalità e di giustizia, senza compromessi e senza impegni a spot o per i sondaggi, come condizione essenziale per costruire il bene comune e insegnare ad amarlo e difenderlo tutti i giorni”.
E non poteva mancare un richiamo a don Giovanni Minzoni: “Viviamo in un tempo in cui si evitano le scelte perché sembra intollerabile rinunciare a qualcuna delle infinite esperienze volatili e a poco prezzo che ci vengono offerte. Seguendo la testimonianza di don Giovanni Minzoni, sappiate scegliere e educare alla vera libertà, affrontando ogni fascismo, totalitarismo e violenza come le Aquile Randagie, senza paura di rinunciare per scegliere e trovare ciò che è buono e bello, ciò che Cristo e la coscienza ci indicano come giusto”.
Insomma, è stato un invito a vivere la bellezza cristiana della vita: “Viviamo in un tempo in cui l’esperienza religiosa e la fede sono relegate al privato e sono ritenute lontane dalla vita, restrittive della coscienza personale e limitative dell’io: siate testimoni di una vita cristiana che favorisce la bellezza di ogni espressione dell’umano, che non ha paura di legarsi per amore e non per possedere, sentendosi a casa nella Chiesa e amandola non perché sia una realtà perfetta, ma perché famiglia di peccatori perdonati che seguono colui che insegna ad amare, parola di vita eterna”.
Anche papa Francesco nel messaggio ha messo in evidenza la sfida educativa dell’accompagnamento: “Le pagine del Vangelo ci permettono di vedere come Gesù sapeva rendersi presente o assente, sapeva qual era il momento di correggere o quello di elogiare, di accompagnare o l’occasione per inviare e lasciare che gli Apostoli affrontassero la sfida missionaria. E’ in mezzo a questi, che potremmo chiamare, ‘interventi formativi’ di Cristo che Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e il resto dei chiamati, configurarono, poco a poco, la loro vita a quella del Signore”.
Ed ha sottolineato che si educa con la vita: “I formatori educano in primis con la loro vita, più che con le parole. La vita del formatore, la sua costante crescita umana e spirituale come discepolo di Cristo, sostenuto dalla grazia di Dio, è un fattore fondamentale di cui dispone per conferire efficienza al suo servizio alle giovani generazioni. Di fatto, la sua stessa vita testimonia quello che le sue parole e i suoi gesti cercano di trasmettere nel dialogo e nell’accompagnamento formativo”.
Ma come si fa ad educare alla pace in un mondo pieno di conflitti? Lo ha spiegato Shinkuba Sharizan, psicologa sociale e insegnante nella scuola ‘World House’, cuore dell’organizzazione Rondine Cittadella della Pace: ‘L’importante è seminare’, raccontando la sua esperienza di incontro con altri ragazzi di paesi in conflitto con il suo e della difficoltà di accogliere il dolore che insieme provano per trasformarlo in un frutto di pace in entrambi. Kakalashvili Tornike, giornalista e studente della stessa scuola, ha invece ricordato che i modi per arrivare alla pace sono non aver paura di fare un passo avanti, dialogare, ‘esplorare le persone’ ed ascoltarle attivamente.
Rosario Valastro, presidente di Croce Rossa Italiana, impegnata in prima linea nei paesi in conflitto, ha proseguito la riflessione sottolineando che educare alla pace significa educare al fatto che la dignità umana non sopporta eccezioni, nemmeno in tempo di guerra e che aiutare chi ha bisogno, stando dalla parte di chi soffre è un mezzo per costruire la pace.
Marialuisa De Pietro, già incaricata Nazionale – Branca E/G, ha invece raccontato la sua esperienza personale di educazione alla pace, nella vita di tutti i giorni da insegnante, parlando di alcuni bambini nelle sue classi e di come, coinvolgendo i compagni di classe, abbia visto un cambiamento in tutti, un miglioramento basato sul rispetto di chi è in difficoltà, perché diverso non è inferiore; educare alla pace significa anche capire che non è necessario essere d’accordo, ma con il rispetto, anche il conflitto può diventare qualcosa di costruttivo e nel disaccordo si può stare bene insieme.
(Foto: Agesci)
Mons. Gambelli: Gesù grazia di vita

Nella festa patronale di san Giovanni Battista a Firenze è stato ordinato il nuovo arcivescovo mons. Gherardo Gambelli dal suo predecessore, card. Giuseppe Betori, insieme ai co-consacranti card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo emerito di Perugia – Città della Pieve, mons. Giovanni Roncari, vescovo di Grosseto, e mons. Dominique Tinoudji, vescovo di Pala, in Ciad dove mons. Gambelli è stato in missione per 11 anni. Al termine dell’ordinazione mons. Gambelli ha ricordato tale coincidenza:
“La Provvidenza del Signore ha voluto che la data della mia ordinazione episcopale e del mio ingresso in diocesi coincidessero con la festa di San Giovanni Battista. Il Vangelo ci ricorda che Giovanni è più che un profeta, non solo perché vede con i suoi occhi il Messia e lo indica presente nel mondo, ma anche perché si fa precursore di tutti coloro che si lasciano interrogare da Gesù sul senso della vita, lasciando che la risposta a questa domanda, plasmi la loro identità più profonda”.
Per questo ha sottolineato il significato del nome: “Giovanni, il cui nome significa “il Signore fa grazia” continua ad aiutarci a preparare la via del Signore Gesù, accogliendo la logica nuova del Vangelo ben riassunta nelle parole del canto di offertorio della Messa di oggi: ‘Fa che impariamo Signore da te, che più grande è chi più sa servire, chi s’abbassa e si sa piegare, perché grande è soltanto l’amore’. Un proverbio africano dice che ‘il vento spezza ciò che non sa piegarsi’. La fede nel Signore morto e risorto per la nostra salvezza nutre la nostra speranza nel suo ritorno glorioso e questo ci rende attenti ai segni dei tempi, per collaborare sempre più docilmente con l’azione dello Spirito Santo”.
Ed ha raccontato una storia africana chiedendo di proseguire nel cammino intrapreso: “Proseguiamo il nostro cammino mettendo sempre più Gesù al centro della nostra vita, così sapremo riconoscerci come fratelli e sorelle e saremo testimoni credibili nel mondo della gioia del suo amore.
L’evangelista Luca ci dice che Elisabetta e Zaccaria, negli ultimi tre mesi precedenti alla nascita di Giovanni, hanno avuto la grazia della visita di Maria. Nel Nuovo Testamento la figura di Maria è spesso presentata come un’immagine della Chiesa. Posso dire con tutta sincerità che questi due mesi di preparazione all’ordinazione episcopale sono stati per me un tempo di grazia in cui ho fatto esperienza della vicinanza di Maria nella mia vita, attraverso la preghiera di tanti fratelli e sorelle che mi hanno sostenuto”.
Infine ha rivolto un ringraziamento a tutti, specialmente agli ‘amici’ venuti dal Ciad: “Un grazie speciale ai Vescovi che vengono da altre regioni, da altre nazioni e soprattutto da altri continenti, in particolare quelli provenienti dall’Asia e dall’Africa. La presenza di quattro Vescovi ciadiani, insieme a mons. Henri Coudray, vicario apostolico emerito di Mongo, di numerosi preti e di alcuni laici di queste giovani Chiese, mi riempie di gioia e di commozione. Il Cardinal Piovanelli amava dire di aver fatto l’Università come parroco a Castelfiorentino. La mia Università è stata il Ciad; vorrei rivolgere attraverso di voi i mei più vivi ringraziamenti a tante persone della vostra nazione che, forse senza nemmeno saperlo, mi hanno formato, aiutandomi a capire la bellezza e la forza del Vangelo”.
Nell’omelia l’arcivescovo emerito, card. Giuseppe Betori, ha ribadito che l’obiettivo del vescovo è quello di “annunciare Cristo e condurre a Lui quanti ti sono affidati come suo gregge. La voce della Chiesa resterà sempre una voce scomoda per le logiche del mondo: resta anche per noi il compito di non lasciarci irretire dalla seduzione del consenso o dall’illusione di un ascolto che non produce conversione o di un plauso interessato fino a quando non entra in gioco la propria posizione nel mondo”.
(Foto: Arcidiocesi di Firenze)
Solennità di Pentecoste: nasce la Chiesa a guida dello Spirito Santo

Pentecoste, termine di origine greca, significa 50° giorno: era una festa ebraica che veniva celebrato 50 giorni dopo la Pasqua e nell’occasione gli Ebrei si recavano a Gerusalemme per ricordare l’Alleanza sancita tra Dio e il suo popolo. La prima pentecoste ebraica si era svolta sulle rocce selvagge, in mezzo a fulmini e tuoni, mentre Dio promulgava la sua legge (i Dieci comandamenti).
La pentecoste cristiana è descritta negli Atti degli apostoli (At. 2, 1-11): gli apostoli erano riuniti nel cenacolo con Maria, madre di Gesù, e la discesa dello Spirito Santo si manifestò quel giorno con l’immagine della tempesta ‘un vento impetuoso’ e del fuoco ‘lingue di fuoco che si divisero e si posarono su ciascuno di essi e tutti furono ricolmi di Spirito santo e cominciarono a parlare lingue diverse’.
Gli Apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, cominciarono a predicare che Gesù Cristo è il risorto, che il Signore è con noi: quanti li ascoltavano: ciascuno capiva nella propria lingua le parole dell’Apostolo. L’avvento dello Spirito Santo si può considerare il più clamoroso intervento di Dio nella storia e si è realizzato davanti ad una vasta platea di testimoni.
Questo fuoco divino scaccia la paura dal cuore degli Apostoli, e questi danno il via alla predicazione: è la prima manifestazione pubblica della Chiesa nascente; l’effusione dello Spirito ha consacrato l’inizio della Chiesa. In realtà lo Spirito Santo ha sempre operato nella storia della salvezza.
Egli è presente con il Padre e con il Figlio ( la Sapienza eterna, il Verbo) all’origine della creazione e della storia della salvezza. Nella pienezza dei tempi l’azione mirabile dello Spirito santo portò la Vergine Maria a divenire madre del Figlio di Dio incarnato; permise ad Elisabetta, la cugina di Maria, di superare la sua sterilità e concepire Giovanni Battista, il precursore dl Cristo Gesù. Dopo l’ascensione di Gesù al cielo si instaura il tempo nuovo, quello dello Spirito Santo, come Gesù aveva promesso ai suoi Apostoli.
Con la discesa dello Spirito Santo nasce il popolo nuovo: il popolo cristiano con i grandi valori della pace, della povertà evangelica, della fratellanza, dell’amore, del perdono: valori che prevalgono sulla logica del mondo dove regna orgoglio, superbia, arrivismo e mera sessualità. Guidata dallo Spirito, la Chiesa è chiamata a portare il fuoco sulla terra; gli Apostoli testimonieranno con il martirio la loro adesione a Cristo risorto.
L’azione dello Spirito, ieri come oggi, si rivela così solida da creare i “Santi in ogni parte del mondo, i veri ed autentici araldi della fede e dell’amore: Madre Teresa di Calcutta è un esempio mirabile e, come lei, il beato Giacomo Cusmano, che rinuncia alla professione di medico per servire Gesù nella persona dei più poveri ed assicurare loro un boccone per sfamarsi; in questi ultimi anno il beato Pino Puglisi, mio compagno di scuola, e il beato Rosario Livatino, caduti martiri nella lotta contro la mafia per difendere la giustizia e la carità; le figure mirabili di Pontefici romani: dal beato Pio IX a Giovanni XXIII, a san Giovanni Paolo II, che hanno segnato la Chiesa di questo terzo millennio: è lo Spirito Santo sempre presente con la diversità dei suoi carismi, diversità di ministeri come avviene nel corpo umano, costituito da diverse membra e di una miriade di cellule diverse, dove tutte collaborano per l’armonia di tutto l’organismo.
Gli Apostoli avevano atteso la Pentecoste nella concordia e nella preghiera, pienamente convinti che lo Spirito santo è Spirito di riconciliazione, di unità e di pace. La Pentecoste rinnovi il nostro tempo perché diventi per tutti non un ricordo o una commemorazione ma l’evento della salvezza; è necessario però predisporsi con vera umiltà ad ascoltare la Parola di Dio e con la preghiera assidua. Invochiamo oggi il Padre: ‘manda il tuo Santo Spirito a rinnovare la terra’.
Con il grande Manzoni la nostra preghiera sia l’inno: “Tempra dei baldi giovani il confidente ingegno;/ Reggi il viril proposito ad infallibil segno. / Adorna la canizie di liete voglie sante; / Brilla nel guardo errante di chi sperando muor”.
Il vero nemico è la guerra: voci dei giovani di Rondine contro l’odio

Mercoledì 24 aprile nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze, dalle 11.30, un giovane israeliano e un giovane palestinese, una ragazza russa e una ucraina, racconteranno la propria convivenza con il ‘nemico’ con la moderazione della direttrice dei quotidiani QN, Agnese Pini.
Insieme con loro un rappresentante per tutti gli altri giovani di Rondine, che porterà la voce di ogni conflitto dimenticato. Le conclusioni saranno affidate al sindaco del Comune di Firenze, promotore dell’evento, e al fondatore e presidente di Rondine Cittadella della Pace, Franco Vaccari.
Sessanta guerre. Settanta stati. Quasi novecento gruppi armati. Tutti coinvolti nei conflitti degenerati che attualmente sconvolgono il mondo. Dall’Europa all’Africa, dall’Asia all’America.
Questo lo scenario da cui provengono i giovani che ogni anno scelgono Rondine: un piccolo borgo in Toscana, a dodici chilometri da Arezzo, che da quasi un trentennio, ospita ‘nemici’: coppie di giovani provenienti da Paesi teatro di guerra che convivono insieme e si formano per diventare leader di pace. La loro esperienza è il cuore pulsante della Cittadella della Pace. Giovani coraggiosi che non si arrendono alla logica della guerra, che hanno fiducia di scoprire una persona, un amico, in quello che avevano sempre visto come qualcuno da odiare ed evitare.
Da due anni a questa parte ‘nuove’ guerre hanno sconvolto gli equilibri mondiali, generando una ‘nuova’ tragica ondata di violenza e distruzione. E l’odio per il nemico continua a farsi strada nel mondo, fino nelle vie, nelle piazze, nelle nostre case. E oggi più che mai la guerra ci riguarda tutti.
Nonostante questo, nella Cittadella della Pace si continua a coltivare ogni giorno quella tenue speranza attraverso un dialogo che non si spezza nemmeno mentre la guerra infuria. Un dialogo tra persone che si riconoscono umane, ritrovandosi nello stesso dolore ma anche negli stessi sogni di un futuro di pace. Un cammino difficile, a volte doloroso. Ma che si aggrappa alla vita e alla speranza del passo possibile che ognuno di noi può fare.
Dalle voci dei giovani di Rondine arriva il racconto profondamente umano di questa sfida che ogni giorno si rinnova. Una testimonianza concreta di chi si è messo in gioco per superare le ragioni dell’odio, aprirsi all’ascolto, fare spazio al ‘nemico’ e scoprire in lui un amico.
L’iniziativa ‘Il vero nemico è la guerra’ supportata dalla media partnership di Famiglia Cristiana e QN-La Nazione potrà essere seguita in live streaming sul canale YouTube del comune di Firenze a questo link https://www.youtube.com/watch?v=E-_atNIIn9w .
(Foto: Rondine – Cittadella della Pace)
Mons. Renna: testimoni credibili del Risorto

“Se nello scorso anno pastorale vi invitavo a sostare nella casa di Betania, dove Gesù Cristo amava godere della ospitalità di Marta, Maria e Lazzaro, e da dove ci ha indicato che l’essenziale è l’ascolto dell’Ospite e di ogni persona che incontriamo, quest’anno vi invito a metterci in cammino”: Con queste parole si apre la nuova Lettera pastorale dell’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, il cui tema è ‘Camminiamo con il Signore da fratelli per testimoniare il Risorto’.
Papa Francesco agli Oblati: importante un cuore dilatato

La parola ‘oblato’ collega immediatamente all’Offerta che Cristo fece di sè al Padre attraverso il Sacrificio della Croce! La stessa etimologia della parola ‘oblato’, che deriva dal verbo latino fero (ob – fero), rinvia immediatamente alle parole della Consacrazione Eucaristica e al testo di san Paolo ai romani citato in esergo, traducendo così il participio passato oblato/offerto in un’azione che si perpetua nel tempo, soprattutto alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
Amnesty International: dal Sudan notizie preoccupanti

Percorsi liberi e sicuri per chi fugge dal conflitto in Sudan: è la richiesta che Amnesty International rivolge agli stati che confinano con il Sudan, affinché annullino immediatamente le restrizioni all’ingresso per chi è in fuga e assicurino protezione e incolumità alle quasi 500.000 persone fuggite.