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Papa Francesco al mondo artistico: raccontate la bellezza del Vangelo

“Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra. Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari.”: oggi è stato letto il testo preparato da papa Francesco, che di consueto viene detto prima della recita dell’Angelus, in occasione del Giubileo degli artisti, a cui non ha potuto partecipare a causa di una bronchite, per cui è stato ricoverato al Policlinico Gemelli.
Però nel breve testo ha ringraziato i fedeli ed ha invitato a pregare per la pace: “Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra”.
Mentre nell’omelia per la celebrazione eucaristica de Giubileo degli Artisti, letta dal card. Josè Tolentino de Mendonça, il papa ha riflettuto sul loro ruolo di ‘custodi della bellezza’, capaci di ‘chinarsi sulle ferite del mondo’, come è scritto nel brano evangelico odierno: “Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama le Beatitudini davanti ai suoi discepoli e a una moltitudine di gente. Le abbiamo ascoltate tante volte eppure non cessano di stupirci…
Queste parole ribaltano la logica del mondo e ci invitano a guardare la realtà con occhi nuovi, con lo sguardo di Dio, che vede oltre le apparenze e riconosce la bellezza, persino nella fragilità e nella sofferenza… Il contrasto tra ‘beati voi’ e ‘guai a voi’ ci richiama all’importanza di discernere dove riponiamo la nostra sicurezza”.
Rivolgendosi direttamente agli artisti li ha invitati a ‘trasformare il dolore in speranza’ “Voi, artisti e persone di cultura, siete chiamati a essere testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini. La vostra missione è non solo di creare bellezza, ma di rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza”.
Il loro compito consiste di ‘aiutare l’umanità’: “Viviamo un tempo di crisi complessa, che è economica e sociale e, prima di tutto, è crisi dell’anima, crisi di significato. Ci poniamo la questione del tempo e quella della rotta. Siamo pellegrini o erranti? Camminiamo con una meta o siamo dispersi nel vagare? L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza”.
In questo compito l’arte diventa un incontro: “Ma attenzione: non una speranza facile, superficiale, disincarnata. No! La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio. Per questo l’arte autentica è sempre un incontro con il mistero, con la bellezza che ci supera, con il dolore che ci interroga, con la verità che ci chiama. Altrimenti, ‘guai’! Il Signore è severo nel suo appello”.
Infatti la missione dell’artista consiste nel raccontare la ‘grandezza’ di Dio: “Questa è la missione dell’artista: scoprire e rivelare quella grandezza nascosta, farla percepire ai nostri occhi e ai nostri cuori… L’artista è sensibile a queste risonanze e, con la sua opera, compie un discernimento e aiuta gli altri a discernere tra i differenti echi delle vicende di questo mondo.
E gli uomini e le donne di cultura sono chiamati a valutare questi echi, a spiegarceli e a illuminare la strada su cui ci conducono: se sono canti di sirene che seducono oppure richiami della nostra umanità più vera. Vi è chiesta una sapienza per distinguere ciò che è come ‘pula che il vento disperde’ da ciò che è solido ‘come albero piantato lungo corsi d’acqua’ ed è capace di dare frutto”.
In questo senso gli artisti sono i ‘custodi’ della bellezza: “Cari artisti, vedo in voi dei custodi della bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo, che sa ascoltare il grido dei poveri, dei sofferenti, dei feriti, dei carcerati, dei perseguitati, dei rifugiati. Vedo in voi dei custodi delle Beatitudini! Viviamo in un’epoca in cui nuovi muri si alzano, in cui le differenze diventano pretesto per la divisione anziché occasione di arricchimento reciproco. Ma voi, uomini e donne di cultura, siete chiamati a costruire ponti, a creare spazi di incontro e dialogo, a illuminare le menti e a scaldare i cuori”.
Per questo ha sottolineato che l’arte è necessaria per il mondo: “L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza. E la speranza non è mai scissa dal dramma dell’esistenza: attraversa la lotta quotidiana, le fatiche del vivere, le sfide di questo nostro tempo”.
E’ stato un invito agli artisti a partecipare alla ‘rivoluzione’ delle Beatitudini: “Nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, Gesù proclama beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati. È una logica capovolta, una rivoluzione della prospettiva. L’arte è chiamata a partecipare a questa rivoluzione. Il mondo ha bisogno di artisti profetici, di intellettuali coraggiosi, di creatori di cultura”.
Quest’omelia letta si è conclusa con l’appello ad annunciare ‘un mondo nuovo’: “Lasciatevi guidare dal Vangelo delle Beatitudini, e la vostra arte sia annuncio di un mondo nuovo. La vostra poesia ce lo faccia vedere! Non smettete mai di cercare, di interrogare, di rischiare. Perché la vera arte non è mai comoda, offre la pace dell’inquietudine. E ricordate: la speranza non è un’illusione; la bellezza non è un’utopia; il vostro dono non è un caso, è una chiamata. Rispondete con generosità, con passione, con amore”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’incontro è ponte di riconciliazione

“Questa mattina, a causa di una caduta a casa Santa Marta, papa Francesco ha riportato una contusione all’avambraccio destro, senza fratture. Il braccio è stato immobilizzato come misura cautelativa”, è stato reso noto dalla sala stampa vaticana, ma ciò non ha impedito di incontrare una delegazione della Comunità Bektashi, provenienti dall’Albania per un incontro organizzato dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso:
“Ogni volta che dei leader religiosi si riuniscono in spirito di mutua stima e si impegnano in favore della cultura dell’incontro, attraverso il dialogo, la comprensione reciproca e la cooperazione, si rinnova e si conferma la nostra speranza in un mondo migliore e più giusto. Quanto il nostro tempo ha bisogno di tale speranza!
Ed ha ricordato le relazioni tra la Santa Sede e l’Albania: “Le relazioni di amicizia tra la Chiesa Cattolica, l’Albania e la Comunità Bektashi sono un bene per tutti noi, e nutro la fiducia che questi legami si rafforzeranno sempre più a servizio della fraternità e della convivenza pacifica tra i popoli. In questi tempi difficili, tutti siamo chiamati a rifiutare la logica della violenza e della discordia, per abbracciare quella dell’incontro, dell’amicizia e della collaborazione nella ricerca del bene comune”.
Inoltre ha ricordato gli incontri avutisi negli ultimi anni: “In proposito, penso con gratitudine ai molti momenti di incontro fraterno che hanno avuto luogo tra la comunità Bektashi e la Chiesa Cattolica, come la Preghiera per la pace nei Balcani del 1993 e la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Assisi del 2011. L’inaugurazione del Tempio Bektashi di Tirana, nel 2015, è stata un momento particolarmente fecondo di vicinanza e amicizia”.
Tale momento è stato un’occasione per affermare la necessità di costruire ‘ponti’: “Sono convinto che la Comunità Bektashi, assieme agli altri musulmani, ai cristiani e a tutti gli altri credenti presenti in Albania, possa servire da ponte di riconciliazione e arricchimento reciproco non solo all’interno del vostro Paese, ma anche tra Oriente e Occidente. Nonostante le sfide del presente, il dialogo interreligioso ha un ruolo unico nella costruzione di un futuro di riconciliazione, giustizia e pace che i popoli del mondo, e specialmente i giovani, tanto ardentemente desiderano”.
Inoltre, incontrando la comunità sacerdotale argentina a Roma, il papa ha ricordato il sacerdote Brochero: “In ogni caso, per non tralasciare gli odori della nostra terra, voglio raccontarvi una cosa che ho letto recentemente su Sacerdote Brochero e che ritengo faccia molto comodo a voi, che continuate a prepararvi per affrontare l’ardua battaglia del Vangelo. Ciò che vi illustrerò di lui si riferisce alla sua anima sacerdotale e il primo, essenziale punto è l’affermazione fatta dai suoi amici secondo cui Brochero non avrebbe dovuto essere altro che un prete”.
Per questo è importante la vocazione: “Dobbiamo assumere con fermezza questa identità sacerdotale, prendendo coscienza che la nostra vocazione non è un’appendice, un mezzo per altri fini, anche pii, come quello di essere salvati. Assolutamente no. La vocazione è il progetto di Dio nella nostra vita, ciò che Dio vede in noi, ciò che muove il suo sguardo d’amore, oserei dire che in un certo modo è l’amore che Lui ha per noi e in questo sta la nostra vera essenza”.
Quindi ha spiegato il significato di vocazione secondo tale sacerdote: “Cioè prendersi cura della nostra interiorità, tenere il fuoco acceso, con grande umiltà, ‘abbattuti’, perché ‘stando’ nel nostro orgoglio siamo più vulnerabili. Altra nota importante è la fraternità sacerdotale. Innanzitutto con l’Alfiere, considerato un semplice soldato, per emulare le gesta degli eroi, combattendo al suo fianco, fianco a fianco, fino all’ultima cartuccia. E con i suoi fratelli sacerdoti vuole condividere tutto ciò che ha, li invita a correggerlo con fiducia e lo fa con loro con franchezza, chiedendo loro di condurre una vita di profonda pietà, con la confessione frequente per condividere così tutta la vita, sia materiale che spirituale e apostolica”.
Infine il suo rapporto con l’Eucarestia, senza abbandonare il proprio ‘compito’: “Infine, come non potrebbe essere altrimenti, l’Eucaristia. Per quanto arduo fosse il suo compito, cercava di non lasciarlo mai, trascorrendo gran parte della notte all’aperto, in mezzo ai campi di grano, aspettando che si svegliassero al ranch, poiché non riteneva opportuno disturbarli all’alba) così poteva entrare per festeggiare. Quel rispetto sacrificale per il mistero che, lontano dalle imposizioni, permeava più di mille parole di stucchevole eloquenza”.
(Foto: Santa Sede)
Assunta Steccanella è la nuova vicepreside della Facoltà Teologica del Triveneto

Il preside, don Maurizio Girolami, rende noto che il gran cancelliere, S.E. mons. Francesco Moraglia, in data 8 gennaio 2025 ha nominato la prof.ssa Assunta Steccanella vicepreside della Facoltà teologica del Triveneto per il quadriennio accademico 2025-2028. La professoressa, attualmente direttrice del Ciclo di licenza della Facoltà, succede allo stesso don Maurizio Girolami, che dal primo settembre 2024 è divenuto preside. E’ la prima donna e laica ad assumere nella Facoltà questo incarico, finora ricoperto da presbiteri.
Assunta Steccanella è sposata, ha tre figli, ed è teologa pastoralista. Si occupa di catechesi e di formazione degli adulti. Ha compiuto gli studi istituzionali di Teologia presso lo Studio teologico del Seminario di Vicenza, che si sono conclusi con il baccalaureato (2004) conseguito all’Istituto teologico Sant’Antonio Dottore di Padova; ha poi conseguito la Licenza (2009) e il Dottorato (2013) alla Facoltà teologica del Triveneto.
E’ docente stabile straordinaria per la cattedra di Teologia pastorale presso la stessa Facoltà, dove insegna dal 2010, e presso l’Istituto superiore di Scienze religiose ‘Mons. A. Onisto’ di Vicenza. Nel 2020 è stata nominata pro-direttrice del ciclo di Licenza e, nel 2023, direttrice. Oltre a diversi articoli in riviste, contributi e curatele in volumi miscellanei, ha pubblicato ‘Segni dei tempi. Dialogo tra Vangelo e storia’, Padova 2024; ‘Ascolto attivo. Nella dinamica della fede e nel discernimento pastorale’, Padova 2020; ‘Alla scuola del Concilio per leggere i segni dei tempi’, Padova 2014.
Il gran cancelliere ha inoltre confermato per un secondo mandato nel quadriennio accademico 2025-2028 i membri del Consiglio di amministrazione della Facoltà teologica del Triveneto: dott. Marco Pasquale Aliotta, dott. Roberto Battiston e dott. Lorenzo Gassa.
Papa Francesco condanna lo sfruttamento dei bambini

“Ringrazio tanto queste donne e uomini che ci hanno fatto ridere con il circo. Il circo ci fa ridere come dei bambini. I circensi hanno questa missione, anche da noi: farci ridere e fare cose buone. Ringrazio tanto tutti voi… E non dimentichiamo di pregare per la pace. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina; non dimentichiamo Nazareth, Israele. Non dimentichiamo tutti i Paesi in guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta”: al termine della catechesi papa Francesco ha salutato gli artisti di ‘CircAfrica’, circo itinerante per la prima volta in Italia, che è a Roma fino al 2 febbraio, che è composto da circa 50 artisti provenienti da 32 nazioni africane, ringraziandoli per lo spettacolo, con un invito a pregare per la pace nel mondo.
Mentre nell’udienza generale di oggi papa Francesco ha dedicato la catechesi ai bambini, concentrando la riflessione sul vangelo dell’apostolo Luca (la prossima volta affronterà la piaga del lavoro minorile): “Oggi sappiamo volgere lo sguardo verso Marte o verso mondi virtuali, ma facciamo fatica a guardare negli occhi un bambino che è stato lasciato ai margini e che viene sfruttato e abusato. Il secolo che genera intelligenza artificiale e progetta esistenze multiplanetarie non ha fatto ancora i conti con la piaga dell’infanzia umiliata, sfruttata e ferita a morte. Pensiamo su questo”.
E si è concentrato sul messaggio offerto dalla Sacra Scrittura sulla parola ‘figlio’ riportata per quasi 5.000 volte, come ‘eredità’ di Dio: “E’ curioso notare come la parola che ricorre maggiormente nell’Antico Testamento, dopo il nome divino di Jahweh, sia il vocabolo ben, cioè ‘figlio’: quasi cinquemila volte… I figli sono un dono di Dio. Purtroppo, questo dono non sempre è trattato con rispetto. La Bibbia stessa ci conduce nelle strade della storia dove risuonano i canti di gioia, ma si levano anche le urla delle vittime.
Ad esempio, nel libro delle Lamentazioni leggiamo: ‘La lingua del lattante si è attaccata al palato per la sete; i bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse loro’; ed il profeta Naum, ricordando quanto era accaduto nelle antiche città di Tebe e di Ninive, scrive: ‘I bambini furono sfracellati ai crocicchi di tutte le strade’. Pensiamo a quanti bambini, oggi, stanno morendo di fame e di stenti, o dilaniati dalle bombe”.
Anche Gesù non è stato esente dal subire violenza da bambino: “Anche sul neonato Gesù irrompe subito la bufera della violenza di Erode, che fa strage dei bambini di Betlemme. Un dramma cupo che si ripete in altre forme nella storia. Ed ecco, per Gesù e i suoi genitori, l’incubo di diventare profughi in un paese straniero, come succede anche oggi a tante persone, a tanti bambini. Passata la tempesta, Gesù cresce in un villaggio mai nominato nell’Antico Testamento, Nazaret; impara il mestiere di falegname del suo padre legale, Giuseppe”.
Per questo Gesù indica i bambini come ‘modello’ da seguire: “Nella sua vita pubblica, Gesù andava predicando per i villaggi insieme ai suoi discepoli. Un giorno si avvicinano a Lui alcune mamme e gli presentano i loro bimbi perché li benedica, ma i discepoli li rimproverano. Allora Gesù, rompendo la tradizione che considerava il bambino solo come oggetto passivo, chiama a sé i discepoli e dice: ‘Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio’. E così indica i piccoli come modello per gli adulti”.
Riprendendo gli ammonimenti di Gesù papa Francesco ha sollecitato i cristiani a prevenire gli abusi: “Fratelli e sorelle, i discepoli di Gesù Cristo non dovrebbero mai permettere che i bambini siano trascurati o maltrattati, che vengano privati dei loro diritti, che non siano amati e protetti. I cristiani hanno il dovere di prevenire con impegno e di condannare con fermezza le violenze o gli abusi sui minori”.
Per questo il papa ha condannato il lavoro minorile: “Ancora oggi, in particolare, sono troppi i piccoli costretti a lavorare. Ma un bambino che non sorride, un bambino che non sogna non potrà conoscere né fare germogliare i suoi talenti. In ogni parte della terra ci sono bambini sfruttati da un’economia che non rispetta la vita; un’economia che, così facendo, brucia il nostro più grande giacimento di speranza e di amore. Ma i bambini occupano un posto speciale nel cuore di Dio, e chiunque danneggia un bambino, dovrà renderne conto a Lui”.
E’ stato un invito a non restare indifferenti allo sfruttamento dei minori: “Cari fratelli e sorelle, chi si riconosce figlio di Dio, e specialmente chi è inviato a portare agli altri la buona novella del Vangelo, non può restare indifferente; non può accettare che sorelline e fratellini, invece di essere amati e protetti, siano derubati della loro infanzia, dei loro sogni, vittime dello sfruttamento e della marginalità. Chiediamo al Signore che ci apra la mente e il cuore alla cura e alla tenerezza, e che ogni bambino ed ogni bambina possa crescere in età, sapienza e grazia, ricevendo e donando amore”.
(Foto: Santa Sede)
50 anni di sacerdozio di don Alberico Capitani: missionario per grazia di Dio

“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”: l’inizio dell’Esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco serve per iniziare un dialogo con il missionario ‘fidei donum’ della diocesi di Macerata a Puerto Madryn, nella Patagonia argentina, don Alberico Capitani, che nel mese di ottobre ha festeggiato 50 anni di sacerdozio.
Una tua preghiera per questo anniversario recita: ‘Una vita intera condivisa e vissuta per il Signore ed i fratelli. Una vita iniziata, nell’umiltà e nella povertà, e dalla tua Grazia trasformata. Grazie Signore: il tuo Spirito nel battesimo mi ha reso figlio di Dio, fratello di una grande famiglia e per Lui la vita è diventata servizio. Mi hai portato dentro nel deserto, nella povertà e nella solitudine mi hai fatto conoscere il tuo abbraccio. La mia vita è diventata contemplazione, dono ai poveri ed agli umili. Grazie Signore per la tua fedeltà… Grazie, Signore, per le comunità che furono e sono parte del mio cammino’. Cosa vuol dire festeggiare 50 anni di sacerdozio?
“Celebrare 50 anni di sacerdozio vuol dire tornare a rivedere la storia. Come sempre, ci sono alcuni numeri, a cui diamo più importanza: per la vita di una famiglia o di un sacerdote ci sono i 25 ed i 50 anni. Ritornare a celebrare questi anniversari significa leggere la storia con un atteggiamento di ringraziamento per riuscire a vedere tutta la bellezza che il Signore è riuscito a compiere attraverso le nostre persone.
Per questo dobbiamo ringraziare Dio e chiederGli la forza per continuare il cammino, in quanto siamo strumenti nelle Sue mani e se siamo arrivati a questi anniversari è grazie a Lui, che ci ha tenuto sempre la mano sopra la testa. Tale anniversario significa anche celebrare la fedeltà di Dio a quelle promesse che ci aveva fatto all’inizio e che nella vita si sono realizzate nel nostro cammino”.
Per quale motivo sei sacerdote?
“Il motivo non lo conosco neppure io. Da piccolo avevo il sogno di essere sacerdote, pur non avendo nessun parente sacerdote e neppure nella mia storia familiare. Però c’era questo desiderio, che con il trascorrere degli anni ho scoperto come vocazione. Dietro a tale desiderio c’era la chiamata di Dio di offrire la mia vita a Suo servizio per il bene della comunità?
Quale è stato il motivo per cui sei in missione?
“Il motivo si è sviluppato lungo la mia vita: quando ero in seminario la lettura di alcune riviste missionarie ha suscitato il desiderio di partire per l’Africa per fare qualcosa. Poi il contatto con alcuni amici missionari e tanta preghiera nelle ore di adorazione che facevo: in tali circostanze il Signore ha trasformato il mio cuore facendo nascere il desiderio di offrire la mia vita come pane spezzato per tanti altri fratelli. Da queste circostanze è nata la vocazione missionaria, iniziando a chiedere al vescovo la possibilità di poter andare in missione”.
E la scelta di andare in Argentina?
“Io non conoscevo affatto l’Argentina. Il mio desiderio era quello di andare in Africa; però, la nostra diocesi di Macerata già aveva una missione in Argentina, iniziata nel 1968, per cui quando chiesi al vescovo la possibilità di essere missionario la sua risposta fu positiva, però per continuare la missione già iniziata dalla diocesi”.
Quanti sono stati i sacerdoti ‘fidei donum’ della diocesi di Macerata in Argentina?
“Innanzitutto ‘fidei donum’ significa dono della fede. Molti sacerdoti della diocesi di Macerata sono stati missionari ‘fidei donum’ in Argentina. Ricordo don Fernando Mariani, che fu il primo sacerdote ‘fidei donum’ della nostra diocesi; dopo don Nazzareno Piccioni, poi tanti altri: don Quinto Lombi, don Silvano Attili, don Alberto Forconi, don Frediano Salvucci e don Felice Prosperi e poi nel 1989 sono partito anche io da Urbisaglia. Forse dalla conoscenza dei sacerdoti che già erano in missione e poi dall’esperienza dell’adorazione eucaristica è partito questo desiderio di condividere la mia vita con i più bisognosi della fede”.
Come si sta preparando la Chiesa argentina al Giubileo?
“Per il momento la Chiesa argentina non sta facendo molte cose in preparazione all’Anno Santo, perché, quando la lontananza è tanta, alcune iniziative che si sviluppano a Roma non ‘arrivano’. Per il momento non ci sono iniziative da parte della Chiesa locale; in compenso esiste l’entusiasmo dei giovani, che hanno iniziato alcune attività per poter partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù a Roma”.
In quale modo la Chiesa argentina racconta che la speranza non delude?
“La Chiesa argentina, come tutta quella dell’America Latina, vive la speranza, perché il popolo ha sofferto a causa dei regimi dittatoriali, che hanno causato povertà e continua a soffrire a causa dell’inflazione, che conduce a non sperare: vedere i risparmi che perdono giornalmente il loro ‘peso’, quindi è inutile risparmiare ed avere un pensiero per il presente prossimo. Quindi a livello di fede hanno bisogno di speranza di trovare un po’ più di amore, di trovare più dialogo e di partecipazione alla vita economica e sociale; speranza che i risparmi possano un giorno valere qualcosa per consentire un po’ il cambiamento di stile della vita e permettere di fare un piccolo passo sociale per migliorare la vita dei figli”.
Kantiere Kairos: la musica diventa adorazione eucaristica

Domenica 8 dicembre è uscito il nuovo album di ‘Kantiere Kairos’, ‘Il sale’: “Non è solo musica, ma il racconto vivo dei nostri ultimi sei anni. Prima della pandemia, immaginavamo il nuovo lavoro come una naturale continuazione di ‘Il Soffio’ ed ‘Il Seme’: Dio, che ispira, semina nel cuore e trasforma chi lo accoglie in sale per il mondo. Era questo il messaggio che volevamo condividere…
Poi è arrivato il 2020, cambiando tutto, tranne il nostro intento. Anzi, la visione si è rafforzata, grazie agli amici e colleghi che hanno camminato con noi in quei mesi difficili. Con loro abbiamo potuto raccontare di quel seme divenuto frutto; anzi, quelle vite trasformate in capolavori”.
Da queste storie i componenti della band cristiana (Antonello Armieri, voce e chitarra acustica, Davide Capitano, al basso, Gabriele Di Nardo alla batteria e percussioni, Jo Di Nardo alle chitarre) hanno creato un album: “Così, abbiamo intrecciato queste storie, vecchie e nuove, in un unico mosaico. Perché i veri protagonisti di questo album sono coloro che, con la loro testimonianza, sono diventati ‘sale della terra’.
Alcuni sono diventati esempi di vita quotidiana, altri ci hanno ispirati direttamente, lasciando ognuno segni indelebili con la loro luce, la loro scelta di accogliere Dio pienamente e vivere la Sua volontà. Storie che ci ricordano una verità profonda: la santità non è irraggiungibile. Anche nella loro umanità, mostrano che Dio ama ciascuno di noi in modo unico e speciale, vive in ciascuno di noi, e ci dona la grazia di diventare sale della terra e luce del mondo”.
Qualche settimana prima di questo ‘lancio’ li abbiamo incontrati a Tolentino, nelle Marche, invitati dagli agostiniani per un concerto concluso con l’adorazione eucaristica, a cui hanno partecipato molti giovani e da Antonello Armieri, autore dei testi, ci facciamo raccontare il motivo per cui il recente singolo, ‘Miracolosamente’, si può considerare una scommessa musicale:
“Miracolosamente è una scommessa musicale, perché volevamo creare, insieme alla musica, un invito ad entrare nella preghiera in modo tale che fosse qualcosa di graduale. Siccome avevamo in mente di realizzarla nella maniera in cui è stata fatta e non avevamo criteri di provarla, per cui tutto il processo di realizzazione di ‘Miracolosamente’ è stato quello di mettere insieme la preghiera con il cammino che facciamo quotidianamente per arrivare alla ‘risoluzione’ finale, che è il senso del brano: quello di sentirci sale della terra. In questo modo abbiamo cercato di metterlo in atto nel realizzare la musica. Infatti è un brano che dura più di sei minuti; quindi non è di immediato ascolto. Abbiamo provato a scommetterci, accompagnando l’ascoltatore in questo cammino, che abbiamo vissuto per primi noi. Per questo è una scommessa”.
Da dove nascono le vostre canzoni?
“Innanzitutto nascono dal Vangelo, poi dagli incontri con le persone e dall’ascolto di storie di santi, beati o servi di Dio, che hanno accolto l’amore di Dio. Nascono anche da incontri con persone che ci raccontano le loro storie; eppoi nascono dalla nostra esperienza di fede e di ‘caduta’ nella fede. Quindi cercare di rialzarci nel chiedere aiuto al Signore”.
‘Parlami ancora’: cosa significa ascoltare la Parola di Dio?
“Per me ascoltare la Parola di Dio significa ascoltare la Parola della Verità, perché il Signore si trova spesso nel silenzio quando ci prendiamo un po’ di tempo per Lui, con Lui per ascoltare anche un po’ la voce della nostra coscienza. Ascoltare la Sua voce vuol dire sentirci chiamati in causa quando è proclamato il Vangelo o quando si vive il Vangelo nella comunione e negli incontri con le persone. Il Signore si manifesta in tutto, perché la Sua voce è presente in tutto: siamo disposti ad accoglierLa? Noi ci proviamo; questo è il nostro invito costante”.
Cosa significa comporre musica cristiana?
“Per chi si ritiene cristiano, comporre musica cristiana dovrebbe essere ovvio. Si parla sempre di molte cose, ma se al centro del cuore poniamo il Signore diventa una scelta da parte nostra: quello di parlare di Lui e quello di incontrare gli altri in Lui attraverso la musica. Il Signore dovrebbe essere al centro di tutto, per cui sembra paradossalmente strano fare musica cristiana oggi, perché si parla di tutto tranne che di Dio. Sembra una cosa straordinaria, invece dovrebbe essere la più naturale per ogni musicista credente”.
Allora come è possibile coniugare i concerti con l’Adorazione eucaristica?
“Il concerto in chiesa è un cammino verso l’incontro con Gesù. Noi non siamo i protagonisti del concerto; il nostro è un modo per invitare le persone a fare questo cammino insieme a noi per incontrare Gesù. Noi viviamo alcune storie durante il concerto per poi presentarle sull’altare: nelle canzoni affrontiamo alcuni argomenti: quello dell’esame di coscienza; quello di riscoprirsi speciali agli occhi di Dio; quello di guardare gli altri, in quanto stanno scrivendo una storia di amore con Dio, come Chiara Corbella Petrillo. Carlo Acutis, come la nostra calabrese Natuzza. Tutto questo per consegnare la nostra esperienza sull’altare tra le braccia di Gesù, che è Eucarestia: è Lui che vogliamo incontrare; è Lui il fine del concerto. Non è coniugare concerto ed Adorazione eucaristica, ma è un cammino verso Lui. E’ un nostro tentativo”.
Come si diventa ‘cercatori di Dio’ con la musica?
“Non siamo cercatori di Dio, ci sentiamo Suoi figli che lo esprimono attraverso quello che ci riesce di più. Se fossimo calzolai, metteremmo lo stesso amore nel confezionare un paio di scarpe così come facciamo con la musica: il vantaggio è che le canzoni sono fatte anche di parole. Dio è stupore, bellezza, Qualcuno che ti raggiunge e ti tocca attraverso quello che ti circonda nella quotidianità. E sei consapevole che, più del diamante nel carbone, Dio non aspetta altro che mostrarsi per quello che è: la perla in ognuno di noi. Se una canzone può ricordarcelo, siamo un po’ seminatori anche noi”.
Chi è Kantiere Kairos?
“Kantiere Kairos, innanzitutto, è una famiglia, perché fare musica cristiana significa fare scelte audaci che coinvolgono le nostre famiglie. Vivere in comunione con lo stesso scopo significa appartenere a Cristo. Quindi una famiglia, che si allarga a tutte le persone che accolgono la nostra musica facendo parte del nostro cantiere, perché gli operai sono pochi. Noi facciamo musica, e vogliamo continuare a farla: essere operai di musica. C’è chi ascolta e c’è chi suona; Kantiere Kairos è questo, sempre aperto con operai disposti. Kairos, perché il momento è sempre giusto per tornare da Gesù”.
(Foto: Aci Stampa)
Papa Francesco: lo Spirito Santo consente di comprendere il Vangelo

“E’ interessante vedere come è cresciuto il numero dei pellegrini verso Santiago in questi ultimi trent’anni. E tra questi ci sono stati anche i miei predecessori San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali hanno voluto visitare quel Santuario, soprattutto per il suo grande rilievo nella storia cristiana dell’Europa”: nella Basilica Vaticana papa Francesco ha ricevuto in Udienza i Pellegrini italiani del Cammino di Santiago curati dall’Opera Don Guanella.
Il discorso del papa è stato un invito a riscoprire il pellegrinaggio attraverso alcuni segni: “Il pellegrinaggio cristiano alle Tombe degli Apostoli lo possiamo riconoscere da tre segni. Il primo è il silenzio. Il cammino vissuto nel silenzio permette di ascoltare, di ascoltare con il cuore, e di trovare così, mentre si cammina, attraverso la fatica, le risposte che il cuore cerca, perché il cuore fa delle domande. In effetti, Dio parla nel silenzio, come una brezza leggera: ricordiamo la storia di Elia”.
Un altro segno è il Vangelo: “In secondo luogo, il Vangelo: avere sempre in tasca il Vangelo. Questo mi raccomando, compratene uno piccolino, tascabile e mettetelo in tasca, e tutti i giorni leggete qualcosa; apritelo così e leggete. E’ un bel modo di pregare. Un Vangelo tascabile, non costa niente, ma se qualcuno non può pagarlo lo pago io, chiedetelo a me! E’ importante portare il Vangelo in tasca. Il pellegrinaggio si fa rileggendo il cammino che ha fatto Gesù, fino al dono estremo di Sé. Il cammino è tanto più vero, tanto più cristiano, quanto più conduce a uscire da sé stessi e a darsi gratuitamente, nel servizio al prossimo”.
Lo Spirito Santo permette il ‘disvelamento’ del Vangelo: “E questo lo fa lo Spirito Santo quando noi leggiamo ogni giorno il Vangelo. Perché succede qualcosa, ve lo spiego. Noi possiamo leggere un romanzo, bello, ci fa bene forse; possiamo leggere le notizie di tutti i giorni, alcune ci fanno piangere, ma possiamo leggere. Ma quando si legge il Vangelo c’è Uno accanto a noi. Quando leggiamo le notizie no, ma quando si legge il Vangelo c’è Uno accanto a noi. E’ lo Spirito Santo. E’ Lui a farci capire bene quello che dice il Vangelo. E lo fa Lui, lo Spirito Santo”.
L’ultimo elemento sottolineato dal papa è stato chiamato ‘protocollo Matteo 25’, che consiste nel fare ‘a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’: “Silenzio, Vangelo e fare del bene alle persone più piccole, le persone più disagiate. Sempre fare del bene. Lungo la strada, essere attenti agli altri, specialmente chi fa più fatica, chi è caduto, chi ha bisogno… San Luigi Guanella diceva che lo scopo della vita di chi crede è fare in modo che nessuno sia lasciato indietro”.
E’ stato un incoraggiamento: “Cari amici del Cammino di Santiago, vi incoraggio in questo vostro apostolato di evangelizzazione e di cura. Gli antichi pellegrini ci insegnano che dai pellegrinaggi cristiani si ritorna come apostoli! Io faccio il pellegrinaggio e ritorno come un apostolo per annunciare Gesù. La Santa Famiglia di Nazaret, pellegrina in terra di Palestina, ci sia di esempio in questo tempo di attesa. Grazie di essere venuti! A me piace e vi ringrazio tanto, e questo ve lo dico dal cuore”.
Poi ha incontrato un gruppo di vietnamiti residenti negli Stati Uniti, benefattori della Pontificia Opera Missionaria in pellegrinaggio a Roma, parlando del giubileo: “Auspico che questo tempo consenta a tutti i fedeli di vivere un incontro autentico e personale con il Signore Gesù Cristo, che dobbiamo annunciare sempre, ovunque e a tutti come nostra speranza. Il vostro impegno nel sostenere le opere missionarie e caritative della Chiesa universale è un’espressione concreta di questo annuncio e contribuirà a portare la speranza nata dal Vangelo a molti nostri fratelli e sorelle, in varie parti del mondo”.
Infine ha sottolineato l’importanza della solidarietà: “La vostra solidarietà con i poveri e con coloro che vivono ai margini della società risponde al comando del Signore di prendersi cura degli ultimi tra noi; e, come ci ricorda san Paolo, è importante che questa assistenza sia data con cuore gioioso, col sorriso. Il Signore vi conceda di offrire sempre la vostra elemosina con spirito lieto, e che i vostri sacrifici portino frutto nella vita dei fratelli e delle sorelle, i quali potranno così sperimentare l’amore tenero e compassionevole di Cristo”.
Questo è un ‘segno distintivo’ del popolo vietnamita migrato in America: “Un segno distintivo di molti cattolici che sono immigrati dal Vietnam negli Stati Uniti è la fede robusta che hanno portato con sé. Sono certo che essa ispiri il vostro desiderio di aiutare le comunità cristiane in terre lontane dalla vostra. Con questi sentimenti, vi auguro una fruttuosa visita a Roma, che da quasi due millenni accoglie i fedeli che vengono presso le tombe degli Apostoli e gli altri luoghi santi. Possa questo viaggio rinnovarvi nella fede e rafforzarvi nella carità”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: una teologia aperta per tutti

“Sono contento di vedervi e di sapere che un numero così grande di docenti, ricercatori e decani, provenienti da ogni parte del mondo, si sono radunati per riflettere su come ereditare il grande patrimonio teologico delle generazioni passate e per immaginarne il futuro. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per questa iniziativa. E grazie di cuore a voi, care teologhe e cari teologi, per il lavoro che fate, spesso nascosto ma tanto necessario. Spero che il Congresso segni il primo passo di un fecondo cammino comune… Avanti, insieme!”
Con queste parole papa Francesco oggi ha salutato i partecipanti al Congresso Internazionale sul futuro della teologia a tema su ‘Eredità e immaginazione’ (promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che si svolge oggi e domani presso la Pontificia Università Lateranense), il quale ha parlato di luce:
“Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce. Infatti, grazie alla luce le cose emergono dall’oscurità, i volti rivelano i propri contorni, le forme e i colori del mondo finalmente appaiono. La luce è bella perché fa sì che le cose appaiano ma senza mettere in mostra sé stessa. Qualcuno di voi ha visto la luce? Ma vediamo ciò che fa la luce: fa apparire le cose”.
E la luce è grazia con l’invito a cercare la grazia di Cristo: “Adesso, qui, noi ammiriamo questa sala, vediamo i nostri volti, ma non scorgiamo la luce, perché essa è discreta, è gentile, umile e, perciò, rimane invisibile. E’gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo.
Da questa osservazione deriva per voi una strada: cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore ma anche di commovente bellezza”.
Una serie di domanda per comprendere il ruolo della teologia nel mondo contemporaneo con un ‘rimando’ al Secondo libro dei Re: “E’ un cammino che siete chiamati a fare insieme, teologhe e teologi. Mi ricordo di quanto racconta il Secondo Libro dei Re. Durante il restauro del Tempio di Gerusalemme, viene ritrovato un testo; forse è la prima edizione del Deuteronomio, andata perduta.
Un sacerdote e alcuni studiosi lo leggono; anche il re lo studia; intuiscono qualcosa, ma non lo capiscono. Allora il re decide di consegnarlo a una donna, Culda, che immediatamente lo comprende e aiuta il gruppo di studiosi (tutti uomini) a intenderlo. Ci sono cose che solo le donne intuiscono e la teologia ha bisogno del loro contributo. Una teologia di soli uomini è una teologia a metà. Su questo c’è ancora parecchia strada da fare”.
Ecco il compito della teologia è fornire un nuovo modo di pensare: “La prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione. Infatti, la realtà è complessa, le sfide sono variegate, la storia è abitata dalla bellezza e allo stesso tempo ferita dal male, e quando non si riesce o non si vuole reggere il dramma di questa complessità, allora si tende facilmente a semplificare. Ma la semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.
Il desiderio del papa è quello di una teologia del fermento: “Si tratta di far ‘fermentare’ insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, secondo quanto dice anche l’apostolo Paolo: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?”
Ed ha ricordato due ‘grandi’ teologi: “Quest’anno celebriamo il 750° anniversario della morte di due grandi teologi: Tommaso d’Aquino e Bonaventura. Tommaso ricorda che non abbiamo un senso solo, ma sensi molteplici e differenti, affinché non ci sfugga la realtà (De Anima, lib. 2, lect. 25). E Bonaventura afferma che nella misura in cui si ‘crede, spera e ama Gesù Cristo’ si ‘riacquista l’udito e la vista […], l’odorato, […] il gusto e il tatto’ (Itinerarium mentis in Deum, IV, 3). Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità”.
Infine l’invito a rendere una teologia ‘accessibile’ a tutti: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria…
! Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora. Preparatevi a questo. Immaginate cose nuove nei programmi di studio perché la teologia sia accessibile a tutti”.
(Foto: Santa Sede)
Dalle Acli un invito a costruire speranza

Emiliano Manfredonia, Presidente uscente, è risultato il primo eletto con il 95% dei voti dopo la mattinata di votazioni del 27° Congresso nazionale delle Acli che si è svolto a Roma dal 29 novembre al 1^ dicembre: “Vi ringrazio per la fiducia e il rinnovo di questa fiducia, che prima di tutto è un premio per la presidenza uscente, per come ha lavorato e si è messa in discussione… Vorrei che le ACLI continuassero a essere un patrimonio che non solo ereditiamo, ma che costruiamo insieme, guardando al futuro e non lasciando sole le persone. In questi tre giorni abbiamo confermato la nostra missione: costruire speranza e fiducia, con lo stesso spirito di Maria che ha detto il suo Eccomi”.
La giornata conclusiva del Congresso è stata aperta dalla celebrazione eucaristica presieduta dal card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi: “Voi ACLI siete un insieme di associazioni multiformi e inquiete. Dio ha fatto promesse di bene per il suo popolo, e ora sta per realizzarle. Non possiamo permetterci di vedere tutto nero. Stare da credenti nella storia oggi significa guardare l’umanità con lo stesso sguardo positivo di Dio”.
Un altro momento centrale è stato l’intervento di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera: “Non si possono fare politiche senza ascoltare le fatiche e le speranze delle persone. Dobbiamo lottare contro la criminalizzazione della povertà e promuovere politiche sociali e ambientali al servizio delle persone. Le ACLI sono un segno di speranza, e insieme possiamo costruire una società più giusta e solidale”.
Simone Romagnoli, riconfermato coordinatore nazionale Giovani delle ACLI, ha presentato la mozione ‘Youth Policy’, approvata durante i lavori congressuali: “Crediamo che i giovani non debbano essere solo ‘dei giovani delle ACLI’, ma protagonisti dentro le ACLI”.
In apertura dei lavori congressuali il presidente uscente, Emiliano Manfredonia, aveva tracciato il bilancio del percorso associativo e delineato le prossime sfide, invitando a non arrendersi al ‘crepuscolo di una società divisa: “Siamo tornati in piazza insieme ad altri per fermare le guerre e i diversi assalti alla Costituzione e ai diritti, per chiedere ‘Pace, lavoro e dignità’. Ma essere movimento educativo che non ha paura di prendere posizione è qualcosa di più.
Negli ultimi decenni il progressivo abituarsi delle democrazie alla guerra, all’esplosione delle diseguaglianze e all’ingiustizia ambientale ha finito per erodere la stessa democrazia. Sempre più in difficoltà ad affermare una società in cui ci sia posto per tutti, dove il ‘salvarsi insieme’ prevalga sulla competizione assoluta e ovunque, la democrazia ha lasciato crescere il potere di nuove od antiche aristocrazie finanziarie e politiche. Ma se la democrazia declina verso l’aristocrazia parte importante della società, sempre più frammentata in tanti ‘io’, finisce per preferirle nuovi autoritarismi che propagandano di poter salvare se stessi contro gli altri”.
E’ stato un invito per ripartire dalla ‘strada’: “Riscoprirci movimento ha significato, prima di tutto, cercare di essere per strada, luogo di incontro, cura e relazioni a partire dalla presenza dei nostri circoli, associazioni e servizi, progetti in Italia e in tante comunità all’estero; la strada crocevia di molteplici forme di povertà, economica, lavorativa, educativa, sanitaria e relazionale, da affrontare con un approccio integrato, nonché a fianco delle vittime e di chi migra o è perseguitato, come Ipsia”.
Ma questa ripartenza avviene attraverso l’ascolto: “Ma non basta ‘esserci’, è necessario trasformare questa presenza in ascolto: una parola, un gesto, una postura da coltivare con attenzione. L’ascolto è il primo atto dell’azione politica, come ha ricordato il Presidente Mattarella: ‘La democrazia non può esistere senza la capacità di ascoltare’. Il nostro ascolto si realizza lungo due dimensioni, sempre riconoscendo la centralità della persona”.
E’ stato un invito ad uscire per stare nelle piazze: “La piazza è il nostro cercare di essere esperienza di pensiero e discernimento, che alimenta formazione e apprendimento sui problemi individuati, sul welfare, sulle famiglie, sulle crescenti disparità, sul lavoro, sull’immigrazione, sull’ambiente e gli stili di vita. La piazza sono le città nelle e con le quali abbiamo animato i nostri Incontri nazionali di studi, sono le occasioni di pensiero (come il lavoro sull’Intelligenza artificiale) sono l’antifascismo e i cammini della memoria. Per non perdere la bussola e orientarsi in questi tempi disorientati”.
Stare nella piazza per combattere le ingiustizie: “In piazza sosteniamo con forza che la discriminazione femminile è una palese ingiustizia. Superare tale discriminazione non riguarda solo l’equità, ma il riconoscimento del valore intrinseco delle donne.
Gli uomini possono contribuire a tale vantaggioso cambiamento, sfidando le norme di genere, sostenendo politiche inclusive e promuovendo un mutamento culturale e formativo. La piazza è simbolo del fare rete e allearsi. Tra la strada e la piazza siamo parte dei percorsi della Chiesa in uscita nelle pastorali delle diocesi, a partire da quella sociale e del lavoro e dal Progetto Policoro”.
Però occorre stare nella piazza con uno stile cristiano: “Abbiamo provato a rileggere il nostro mandato associativo e la nostra realtà attraverso la lente interpretativa dei cinque stili che papa Francesco ci ha consegnato nell’Udienza del 1° giugno e che hanno illuminato il nostro sguardo, rendendolo più limpido e armonico, disincantato e responsabile. I cinque stili delle Acli, popolare, sinodale, democratico, pacifico e cristiano, rappresentano anche il criterio di valutazione dell’impatto sociale e l’orizzonte programmatico per il futuro.
Nella rilettura del noi associativo abbiamo riscontrato il nostro essere e sentirsi parte del popolo. E se la vera essenza del popolo risiede nella solidarietà e nel senso di appartenenza, allora possiamo dire di averla riconosciuta innanzitutto nei valori e nella saggezza di tanta gente semplice, nel passaggio dall’io al noi associativo, nelle porte aperte dei nostri circoli e servizi, in particolare durante la pandemia, elaborando insieme progetti di bene comune”.
Ed ecco la centralità della Parola di Dio: “Logos è la parola che, a fondamento del Vangelo e del nostro stile cristiano, indica quali sono le ragioni profonde che sottendono alla fede applicabili anche alla vita. In questo caso, senza presunzione, ad un incarico di presidenza lungo quasi 4 anni. Quindi, partiamo da qui: da alcune domande fondative (perché? per chi? come?) e da qualche prima imperfetta risposta molto personale.
Non si tratta di un resoconto esaustivo quanto piuttosto del racconto di alcune scelte di fondo che hanno poi generato azioni, contenuti ed oggetti. Uno stile operativo e collaborativo che ha caratterizzato questi anni di lavoro perché tutto ciò che è stato realizzato è frutto del lavoro di molte persone, dirigenti, lavoratori, collaboratori, volontari: grazie a ognuna ed ognuno con tutto il cuore!”
(Foto: Acli)
Papa Francesco: preghiera e predicazione per l’annuncio della Parola di Dio

“E, per favore, continuiamo a pregare per la pace! La guerra è una sconfitta umana. La guerra non risolve i problemi, la guerra è cattiva, la guerra distrugge. Preghiamo per i Paesi in guerra. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, non dimentichiamo la Palestina, Israele, Myanmar… Tanti bambini morti, tanti innocenti morti! Preghiamo perché il Signore ci faccia arrivare alla pace. Preghiamo sempre per la pace”.
Anche oggi, a conclusione dell’udienza generale papa Francesco ha chiesto pace ed ha pregato per tutti i deceduti a causa delle guerre. Inoltre, per la prima volta, ha rivolto un saluto ai fedeli di lingua cinese, in quanto la catechesi sarà tradotta anche nella loro lingua: “Oggi, con grande piacere, diamo avvio alla lettura, della sintesi della catechesi in cinese. Desidero, perciò, rivolgere il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese qui presenti e a quelle collegate tramite i mezzi di comunicazione. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace. Che Dio vi benedica”.
E nel prosieguo del ciclo di catechesi ‘Lo Spirito e la Sposa’ papa Francesco ha incentrato la meditazione sul tema ‘Annunciare il Vangelo nello Spirito Santo. Lo Spirito Santo e l’evangelizzazione’, spiegando che nel Nuovo Testamento, la parola ‘Vangelo’ ha due significati principali: “Nel Nuovo Testamento, la parola ‘Vangelo’ ha due significati principali. Può indicare ognuno dei quattro Vangeli canonici: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e in questa accezione per Vangelo si intende la buona notizia proclamata da Gesù durante la sua vita terrena. Dopo la Pasqua, la parola ‘Vangelo’ assume il nuovo significato di buona notizia su Gesù, cioè il mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore”.
E’ stato un invito a ‘ripartire’ sempre dall’annuncio della Parola di Dio: “La predicazione di Gesù e, in seguito, quella degli Apostoli, contiene anche tutti i doveri morali che scaturiscono dal Vangelo, a partire dai dieci comandamenti fino al comandamento ‘nuovo’ dell’amore. Ma se non si vuole ricadere nell’errore denunciato dall’apostolo Paolo di mettere la legge prima della grazia e le opere prima della fede, è necessario ripartire sempre di nuovo dall’annuncio di ciò che Cristo ha fatto per noi. Per questo nell’Esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’ si insiste tanto sulla prima delle due cose, cioè sul kerygma, o ‘proclamazione’, da cui dipende ogni applicazione morale”.
E per mettere in pratica questo sono necessarie due situazioni: “Facile a dirsi (si potrebbe obbiettare), ma come metterlo in pratica se non dipende da noi, ma dalla venuta dello Spirito Santo? In realtà, c’è una cosa che dipende da noi, anzi due, e le accenno brevemente. La prima è la preghiera… Dunque, la prima cosa che dipende da noi è pregare, perché venga lo Spirito Santo. La seconda è non volere predicare noi stessi, ma Gesù Signore”.
Per tale ragioni le omelie devono essere brevi: “Questo riguarda la predicazione. A volte ci sono predicazioni lunghe, 20 minuti, 30 minuti… Ma, per favore, i predicatori devono predicare un’idea, un affetto e un invito ad agire. Oltre gli otto minuti la predica svanisce, non si capisce. E questo lo dico ai predicatori… A volte vediamo gli uomini che quando incomincia la predica vanno fuori a fumare una sigaretta e poi rientrano. Per favore, la predica dev’essere un’idea, un affetto e una proposta di azione. E non andare mai oltre i dieci minuti. Questo è molto importante”.
L’altra cosa importante è quella di ‘raccontare’ Gesù: “La seconda cosa è non volere predicare noi stessi ma il Signore. Non occorre dilungarci su questo, perché chiunque è impegnato nell’evangelizzazione sa bene che cosa significa, nella pratica, non predicare sé stessi. Mi limito a un’applicazione particolare di tale esigenza. Non volere predicare sé stessi implica anche non dare sempre la precedenza a iniziative pastorali promosse da noi e legate al proprio nome, ma collaborare volentieri, se richiesto, a iniziative comunitarie, o affidateci dall’obbedienza”.
Mentre, prima dell’udienza generale, il papa aveva ricevuto le suore della Santa Famiglia di Nazareth all’inizio delle celebrazioni del 150° anniversario della Congregazione: “Ed è bello e propizio che il vostro anniversario cada all’inizio del nuovo anno liturgico. Il tempo di Avvento, con la sua attesa paziente, piena di speranza nelle promesse del Signore, può servire da modello per accrescere la nostra fiducia nella provvidenza di Dio. Prego perciò che i vostri festeggiamenti aiutino i membri della Congregazione e tutti coloro che collaborano nelle sue diverse missioni a crescere nella fiduciosa contemplazione del Figlio di Dio incarnato, specialmente nel Santissimo Sacramento e nelle persone che servite”.
Ed ha sottolineato questo loro giubileo: “l tempo stesso, il vostro giubileo coincide felicemente con l’Anno Santo, nel quale la Chiesa intera sta per entrare. I Giubilei sono momenti preziosi per fare il punto della nostra vita, sia come singole persone che come comunità. Sono inoltre occasioni di riflessione, di raccoglimento e di ascolto di ciò che lo Spirito Santo oggi ci dice. Con il cuore aperto all’incontro ‘autentico e personale con il Signore Gesù, la ‘porta’ della nostra salvezza’, le vostre comunità siano sempre come ‘soglie’ attraverso le quali le famiglie, che sono al centro del vostro carisma, possano trovare rifugio, speranza e pace in Cristo Salvatore”.
Infine ha chiesto loro di essere ‘segno’ di speranza per le famiglie colpite dalla guerra: “E a questo proposito, non possiamo dimenticare le tante famiglie devastate dalla guerra e dalla violenza, sfollate dalla propria casa, o fuggite dal loro paese. La vostra preghiera e le vostre generose opere di carità manifestino sempre l’amore di Gesù, affinché possiate essere segni di speranza per quanti vivono in ogni genere di difficoltà”.
(Foto: Santa Sede)