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Papa Francesco invita il Movimento per la Vita a difendere la dignità della maternità

“Conosco il valore del servizio che rendete alla Chiesa e alla società. Insieme alla solidarietà concreta, vissuta con lo stile della vicinanza e della prossimità alle mamme in difficoltà per una gravidanza difficile o inattesa, voi promuovete la cultura della vita in senso ampio. E cercate di farlo con franchezza, amore e tenacia, tenendo strettamente unita la verità alla carità verso tutti. Vi guidano in questo gli esempi e gli insegnamenti di Carlo Casini, che aveva fatto del servizio alla vita il centro del suo apostolato laicale e del suo impegno politico”: dal Policlinico ‘Gemelli’ papa Francesco ha inviato un messaggio, letto dal segretario di Stato, card. Pietro Parolin, in occasione del 50^ anniversario di fondazione del Movimento per la Vita, 50°, esortando a continuare il servizio alla vita umana più fragile ed emarginata.

Ed ha ripercorso questa storia di tutela della maternità: “L’occasione che vi ha radunati a Roma è importante: il cinquantesimo anniversario del Movimento per la Vita, il cui primo germoglio è stato il Centro di Aiuto alla Vita nato a Firenze nel 1975. Da allora, in tutta Italia, i Centri di Aiuto alla Vita si sono moltiplicati. E ad essi si sono aggiunti le Case di Accoglienza, i servizi SOS Vita, il Progetto Gemma e le Culle per la vita. Innumerevoli iniziative sono state intraprese per promuovere a tutti i livelli della società la cultura dell’accoglienza e dei diritti dell’uomo. Perciò vi incoraggio a portare avanti la tutela sociale della maternità e l’accoglienza della vita umana in ogni sua fase”.

Nel messaggio papa Francesco ha ribadito la necessità di ‘combattere’ la cultura dello scarto: “In questo mezzo secolo, mentre sono diminuiti alcuni pregiudizi ideologici ed è cresciuta tra i giovani la sensibilità per la cura del creato, purtroppo si è diffusa la cultura dello scarto. Pertanto, c’è ancora e più che mai bisogno di persone di ogni età che si spendano concretamente al servizio della vita umana, soprattutto quando è più fragile e vulnerabile; perché essa è sacra, creata da Dio per un destino grande e bello; e perché una società giusta non si costruisce eliminando i nascituri indesiderati, gli anziani non più autonomi o i malati incurabili”.

Per questo ha ricordato l’importanza della civiltà dell’amore: “Care sorelle e cari fratelli, siete venuti da tante parti d’Italia per rinnovare ancora una volta il vostro ‘sì’ alla civiltà dell’amore, consapevoli che liberare le donne dai condizionamenti che le spingono a non dare alla luce il proprio figlio è un principio di rinnovamento della società civile. E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, come oggi la società sia strutturata sulle categorie del possedere, del fare, del produrre, dell’apparire”.

E’ stato un ‘elogio’ all’impegno per la dignità della persona: “Il vostro impegno, in armonia con quello di tutta la Chiesa, indica una progettualità diversa, che pone al centro la dignità della persona e privilegia chi è più debole. Il concepito rappresenta, per eccellenza, ogni uomo e donna che non conta, che non ha voce. Mettersi dalla sua parte significa farsi solidali con tutti gli scartati del mondo. E lo sguardo del cuore che lo riconosce come uno o una di noi è la leva che muove questa progettualità”.

Infine ha raccomandato di scommettere sulle donne: “Continuate a scommettere sulle donne, sulla loro capacità di accoglienza, di generosità e di coraggio. Le donne devono poter contare sul sostegno dell’intera comunità civile ed ecclesiale, e i Centri di Aiuto alla Vita possono diventare un punto di riferimento per tutti. Vi ringrazio per le pagine di speranza e di tenerezza che aiutate a scrivere nel libro della storia e che rimangono incancellabili: portano e porteranno tanti frutti”.

Volevo essere o… Sono un duro

Quest’anno, le canzoni di Sanremo sono importanti per il valore dei testi. Possono non piacere, ma ci sono alcuni pezzi che, se presi solo per le parole, fanno immedesimare e riflettere. Da millennials a millennials, Lucio Corsi, che non conoscevo nemmeno, ha saputo dare importanza ad alcuni pensieri: ‘Volevo essere un duro è una ballata, la forma di canzone a cui sono più legato: mi consente di utilizzare parole in comodità, considerando la ricchezza della nostra bella lingua italiana’, dice Lucio in un’intervista.

Il testo della canzone racconta il desiderio del protagonista di essere un ‘duro’, una persona forte e senza paure. Quando si rende conto di non esserlo, cerca in tutti i modi di essere come  figure  ricche di forza e coraggio, come un lottatore o uno ‘spaccino’, alla fine si accetta per quello che è: vulnerabile, con paure e debolezze. Il testo porta a riflettere sulla difficoltà della vita, sul confronto con le proprie fragilità e sull’importanza di accettarsi per ciò che si è.

Si potrebbe dire, vedendolo in maniera duplice (positiva e negativa), che il significato sia solo  una resa a sé stesso: ‘Non sono altro che Lucio’. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Chi è Lucio e ognuno di noi che si rivede in questa canzone? Un perdente che non realizzato i suoi sogni, o il vero duro che è riuscito quindi a ottenere ciò che voleva? Tutto sta a cosa si intende per duro.

In questa società che tende all’omologazione del pensiero e delle emozioni grazie alle modifiche  del comportamento,alla moda ecc., tanto da portare all’intorpidimento della coscienza, essere se stessi richiede coraggio e perseveranza, quindi essere… ma guarda un pò, un duro! Avere un pensiero critico, proprio e autonomo, aderire alla fede, mostrarsi per quel che si è con dubbi e paure, con la consapevolezza di poter sbagliare significa andare controcorrente.

San Paolo ci ha detto: ‘Non conformatevi alla mentalità di questo mondo…’ (Romani 12,2), ma non è  facile se, fin dall’infanzia, ti inculcano che il duro è chi sgomita e vince, chi riesce ad arrivare senza paure perché, gratta gratta, ha le spalle coperte. Se la tua semplicità non viene accettata e chiamata fragilità . Si tratta invece di umanità. Sono rimasta attaccata alla frase: ‘Nessun profeta è ben accetto in patria’ (Luca 4,24). Spesso, per farti capire e accettare devi andare lontano dai posti e dalle persone che conosci, intraprendere un’altra strada. Non è facile essere accettati nemmeno quando si fa davvero il bene degli altri, senza voler riconoscimenti o pubblicità in cambio.

Se si vuole vivere, ma in realtà si tratta di sopravvivere, bisogna adeguarsi al mondo. Viviamo nel mondo e dobbiamo adeguarci a regole e sistemi per arrivare ad avere un minimo di affetti e di attenzione. Alla fine, soli e distratti dalle false luci proposte dai social ci sentiamo semplicemente ciò che siamo. È questo il momento di agire. Siamo fragili e ci sentiamo solo noi stessi. Magari detestiamo dircelo e odiamo pure il nostro nome, vorremmo essere un altro, ma è questo il bello: essere ancora se stessi.

La nostra anima è ancora viva, attenta e non ha paura proprio perché ne ha. Non è un controsenso. Chi non teme nulla, o ha le spalle coperte od è ‘anestetizzato’ da tutti i bombardamenti di informazioni, parole, social… Se la paura è uno stimolo per capire noi stessi e trovare  la strada, il futuro, il nostro posto e le persone da tenere accanto, non è negativa. Se siamo ancora noi stessi, anche soli, sappiamo perché abbiamo fatto una scelta e possiamo davvero valutarne gli errori.

Se agiamo per il contentino del mondo, saremo sempre affannati per seguire le nuove tendenze, i cambiamenti di un’ideologia… Non avremo un nostro pensiero e anche spiritualmente seguiremo ciò che ci viene più comodo. Perché la crisi dei valori? Proprio per questo. La moda del mondo ci fa credere che sia giusto essere duri schiacciando l’altro, essendo importanti e famosi, non perché abbiamo edificato una casa sulla roccia, aiutiamo il prossimo e non pensiamo solo ad arricchirci. Il vero duro è quello che resiste alle avversità.

Quello che alcuni chiamano eroe non è altro che un duro che ha vissuto paure, gioie, dubbi… Ma che è rimasto se stesso. Perciò, l’essere se stessi, il “nient’altro che Lucio” è ciò che dobbiamo auguraci, sostituendo a ‘Lucio’ il nostro nome. Solo così, guardando il nostro passato, potremo sorridere e dire: “Ricomincio da me. Perché io sono un duro che, anche se ha paura del futuro, lo affronta con crisi, alti e bassi, ma sempre restando me stesso  e senza piegarmi all’omologazione.

Siamo tutti uguali perché esseri umani, fatti a immagine e somiglianza di Qualcuno e torneremo là da dove veniamo. Per questo abbiamo pari diritti e dignità, ma non siamo fatti con lo stampino. Questo  proprio perché nella logica della fede tutti sono utili e indispensabili, a differenza del detto dove tutti sono utili ma nessuno è indispensabile”. Si può solo augurare ad ognuno di scoprire se stesso perché ogni ‘Lucio’ è utile al cielo e anche ai fratelli in terra.

(Foto: Vanity Fair)

Papa Francesco invita a promuovere il multilateralismo

“E’ per me sempre un piacere rivolgermi alle donne e agli uomini di scienza, come pure alle persone che nella Chiesa coltivano il dialogo con il mondo scientifico. Insieme potete servire la causa della vita e il bene comune. Nell’Assemblea generale di quest’anno vi siete proposti di affrontare la questione che oggi viene definita policrisi. Essa riguarda alcuni aspetti fondamentali della vostra attività di ricerca nel campo della vita, della salute e della cura”:

così inizia il messaggio che papa Francesco ha inviato dal Policlinico Gemelli ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Academia per la Vita, sul tema ‘The End of the World? Crises, Responsibilities, Hopes’, in svolgimento fino al 5 marzo al Centro Conferenze dell’Augustinianum con planetologi, fisici, biologi, paleoantropologi, teologi, storici.

Nel messaggio il papa ha invitato ad esaminare correttamente la visione del mondo: “Un primo passo da compiere è quello di esaminare con maggiore attenzione quale sia la nostra rappresentazione del mondo e del cosmo. Se non facciamo questo e se non analizziamo seriamente le nostre resistenze profonde al cambiamento, sia come persone sia come società, continueremo a fare ciò che abbiamo fatto con altre crisi, anche recentissime. Pensiamo alla pandemia da covid: l’abbiamo, per così dire, ‘sprecata’; avremmo potuto lavorare più a fondo nella trasformazione delle coscienze e delle pratiche sociali”.

E’ un invito ad ascoltare la scienza: “Ed un altro passo importante per evitare di rimanere immobili, ancorati alle nostre certezze, alle nostre abitudini e alle nostre paure, è ascoltare attentamente il contributo dai saperi scientifici. Il tema dell’ascolto è decisivo. E’ una delle parole-chiave di tutto il processo sinodale che abbiamo avviato e che ora si trova nella sua fase di attuazione. Apprezzo quindi che il vostro modo di procedere ne riprenda lo stile”.

E’ stato un richiamo alla ‘profezia sociale’ del Sinodo: “Vedo in esso il tentativo di praticare nel vostro ambito specifico quella ‘profezia sociale’ a cui anche il Sinodo si è dedicato. Nell’incontro con le persone e con le loro storie e nell’ascolto delle conoscenze scientifiche, ci rendiamo conto di quanto i nostri parametri riguardo all’antropologia e alle culture esigano una profonda revisione”.

Per il papa la scienza ‘propone’ sempre conoscenza: “L’ascolto delle scienze ci propone continuamente nuove conoscenze. Consideriamo quanto ci dicono sulla struttura della materia e sull’evoluzione degli esseri viventi: ne emerge una visione molto più dinamica della natura rispetto a quanto si pensava ai tempi di Newton. Il nostro modo di intendere la ‘creazione continua’ va rielaborato, sapendo che non sarà la tecnocrazia a salvarci: assecondare una deregulation utilitarista e neoliberista planetaria significa imporre come unica regola la legge del più forte; ed è una legge che disumanizza”.

E non a caso ha richiamato all’attenzione dei partecipanti il tentativo di dialogo messo in atto da p. de Chardin: “Possiamo citare come esempio di questo tipo di ricerca p. Teilhard de Chardin e il suo tentativo (certamente parziale e incompiuto, ma audace e ispirante) di entrare seriamente in dialogo con le scienze, praticando un esercizio di trans-disciplinarità… Così egli ha lanciato le sue intuizioni che hanno messo al centro la categoria di relazione e l’interdipendenza tra tutte le cose, ponendo homo sapiens in stretta connessione con l’intero sistema dei viventi”.

Questi modi di interazione possono offrire segnali di speranza: “Questi modi di interpretare il mondo e il suo evolversi, con le inedite modalità di relazione che vi corrispondono, possono fornirci dei segni di speranza, dei quali andiamo in cerca come pellegrini durante questo anno giubilare. La speranza è l’atteggiamento fondamentale che ci sostiene nel cammino”.

Per tali ragioni il papa ha rilanciato la necessità degli organismi internazionali: “Anche per questa dimensione comunitaria della speranza, davanti a una crisi complessa e planetaria, siamo sollecitati a valorizzare gli strumenti che abbiano una portata globale.

Dobbiamo purtroppo constatare una progressiva irrilevanza degli organismi internazionali, che vengono minati anche da atteggiamenti miopi, preoccupati di tutelare interessi particolari e nazionali… In tal modo si promuove un multilateralismo che non dipenda dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile. Si tratta di un compito urgente che riguarda l’umanità intera”.

Infatti in conferenza stampa mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha sottolineato la necessità di costruire una nuova ‘arca’: “Sta a noi quindi lavorare alla costruzione di un’arca comune con tutti dentro: un nucleo ordinato secondo la parola di Dio, che Noè ha ascoltato attentamente per realizzare il suo artefatto, in modo di custodire la logica della creazione realizzando il proprio percorso grazie alla capacità di stare a galla nel mare che sommerge ogni altra realtà. In questo modo l’arca è simbolo di uno spazio in cui il progetto di vita di Dio può navigare attraverso la morte e la distruzione (violenta) verso un nuovo inizio”.

E’ stato un invito a non disperare come ha fatto Noè: “40 giorni e diverse settimane di esplorazione, che mostrano Noè come uomo della pazienza e della speranza. Una speranza che non è sinonimo di rassegnazione o di rinuncia, ma di attesa operosa ed esplorativa con l’aiuto di tutti i mezzi disponibili (corvi e colombe, allora non c’erano i droni) resistendo nella durata, affidandosi alla promessa di una parola che ritiene degna di fede che richiede una decisione per poter accedere alla realtà di quanto annuncia”.

Mentre dalla prof.ssa Katalin Karikó, premio Nobel per la Medicina 2023, è giunto l’invito alla collaborazione: “Le persone hanno opinioni e pensieri diversi, come un medico o uno scienziato di base, e pensano in modo diverso. Se lavorano insieme e si rispettano a vicenda, è possibile realizzare una nuova invenzione. Questo è ciò che ritengo importante, quindi cerco di sottolineare che le donne sono importanti per la scienza e che la scienza ha bisogno di più donne perché all’inizio ci sono molte donne che si laureano e hanno il loro sogno, ma le difficoltà possono arrivare quando vogliono costruire una famiglia. In molti Paesi, come sappiamo, se non si ha un sostegno economico sufficiente, si deve rinunciare al lavoro perché quel bambino piange e bisogna prendersene cura”.

Per questo il prof. Henk ten Have, docente all’Anahuac University  di Città del Messico, ha evidenziato la necessità di una prospettiva educativa: “In primo luogo, l’educazione non dovrebbe concentrarsi solo sul futuro, ma riflettere sul passato (mostrando che nella storia di tutte le civiltà sono circolate idee di declino e collasso), per analizzare il presente (mostrando che le idee apocalittiche non sono uniformi e dipendono dalle condizioni socio-economiche, dalla cultura e dalla religione)”.

Infine suor Giustina Holha Holubets, responsabile dell’associazione ‘NGO Perinatal Hospice’ di Lviv, in Ucraina, ha messo in evidenza le minacce alla vita: “Qualsiasi minaccia alla vita e alla dignità della persona colpisce la Chiesa profondamente nel suo cuore. In particolare diventa attuale al giorno d’oggi dove assistiamo a molti attacchi, la guerra contro la vita delle persone e dei popoli, e in particolare verso la vita fragile e indifesa. Il crimine contro la vita ha oggi una grande diffusione.

Ogni volta che con lo sviluppo della medicina e della tecnologia, si nota una sovrapposizione della diagnosi prenatale con la prevenzione delle malattie ereditarie, spesso questo porta all’interruzione della gravidanza in seguito alla diagnosi. L’aborto cosi comporta una riduzione nelle statistiche delle patologie e malformazioni innate”.

Ed un figlio non nato è sempre un lutto: “La perdita di un bambino è un lutto che lascia il senso di una profonda mancanza, solitudine, tristezza e per questo c’è bisogno di un particolare approccio nell’aiutare all’elaborazione del lutto. Nella società mancano informazioni su che cosa vuol dire il lutto prenatale e perinatale. Non si conoscono le modalità appropriate di comunicazione e di comportamento in queste situazioni”.

Infine la proposta: “Per questo motivo, abbiamo cominciato di sviluppare la celebrazione nel livello nazionale il 15 ottobre del Giorno Mondiale della Consapevolezza sul Lutto in gravidanza e dopo la nascita. Per noi è una opportunità di annunciare il valore e l’importanza di una vita breve. Questo è il giorno dei nostri Angeli. Questo è il giorno per festeggiare la maternità e la paternità”.

Ottava domenica  del Tempo Ordinario: Gesù invita alla purificazione del cuore!

Con quattro brevi parabole Gesù esorta i discepoli a guardarsi bene dell’ipocrisia. L’ipocrisia è il male terribile che impedisce di prendere coscienza dei propri limiti e rende l’uomo giudice implacabile degli altri. Gesù invita la sua Chiesa ad una vera conversione del cuore per vivere una fede viva e coinvolgente. Le quattro brevi parabole sono assai efficaci e sono dirette sia ai pastori che al popolo di Dio. Da qui la necessita di un’autocritica alla luce della ‘parola di Dio’. E’ la parola di Dio che oggi ci interpella, ci invita a riflettere, a tirare fuori ciò che è buono e saggio, ci invita a misurare con la stessa misura noi e gli altri, consapevoli dei nostri limiti e carenze.

Essere persona libera ed aiutare il fratello a liberarsi è la dinamica del saggio educatore senza quella falsa ipocrisia che  porta a vedere i difetti degli altri e non scorgere mai i propri. La tentazione è sempre quella di essere indulgenti con noi stessi, duri, anzi durissimi, nei riguardi degli altri. Gesù ebbe a dire: ‘Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del fratello e non vedi la trave che c’è nel tuo occhio?’ Può, dirà Gesù, un cieco guidare un altro cieco?. Una vera guida deve possedere quella  saggezza  ed umiltà che gli permetta di svolgere bene il suo ruolo e discernere la via giusta da seguire.

L’atteggiamento da vivere è l’empatia o la capacità di immedesimarsi nella realtà dell’altro, ascoltare le motivazioni per meglio aiutarlo. Inoltre possedere sempre rispetto caloroso ed accoglienza incondizionata dell’altro: due virtù che evidenziano l’amore misericordioso di Dio. L’atteggiamento da evitare: quello di volere apparire predicatore, giudice, moralista. Deciditi, dunque caro amico, a seguire la vera guida: Cristo Gesù,  colui che non è nato cieco perché è la ‘luce’; l’unico che conosce la strada perché è la ‘via’; l’unico che dà senso alla vita perché è la ‘vita’: Gesù è vero Signore e Maestro.

‘Un discepolo, dice Gesù, non è più del maestro’, unico vero maestro è Gesù che si rivolge a noi dicendo: ‘Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore’. Come riconoscere noi stessi se siamo o no guide cieche? Ce lo insegna lo stesso Cristo Gesù: l’albero si riconosce dai frutti; l’albero buono dà frutti buoni, l’albero cattivo dà frutti cattivi. Non dobbiamo essere ipocriti: predicare bene ed  operare male. L’ipocrisia sta nello zelo nel rilevare i difetti degli altri e nessuna premura nel correggere i propri difetti.

La carità fraterna è un dovere ma va fatta sempre con verità, carità ed umiltà. La parola buona sa correggere con mitezza chi sbaglia ed aiuta a rimuovere la pagliuzza che può esserci nel proprio occhio; parola buona è quella che infonde sempre coraggio e speranza. Cristo Gesù oggi invita il suo discepolo, ciascuno di noi, alla purificazione del cuore, ad una vita responsabile ed attenta.

Uomo, sii te stesso; vivi da uomo, da figlio di Dio, redento da Cristo, per la vita eterna. Se la Chiesa tutta: clero e laici, ci mettiamo con umiltà in ascolto della parola di Dio, si può guardare al futuro anche in mezzo a difficoltà dovute alla cattiveria altrui o alla nostra fragilità. Il futuro è nelle mani di Dio, l’avvenire è del cristianesimo, come assicura Gesù: ‘le porte degli inferi non prevarranno’. Maria, madre di Gesù e madre nostra, alla quale siamo stati affidati dalla misericordia divina, non abbandonerà mai i suoi figli. “Rivolgi a noi, Madre, gli occhi tuoi misericordiosi”.

Matelica ricorda suor Chiara Augusta Lainati

Domenica 2 marzo il Monastero delle Clarisse ‘Santa Maria Maddalena’ di Matelica, in collaborazione con BAP (Biblioteca  Archivio Pinacoteca) francescana delle Marche, la Pinacoteca ‘San Giacomo della Marca’ e la Provincia Picena dei Frati Minori ‘San Giacomo della Marca’, presso i saloni del Monastero (ingresso via Damiano Chiesa), organizza un convegno dedicato a suor Chiara Augusta Lainati, ad un anno dalla sua morte, con la partecipazione del prof. Marco Bartoli, docente di storia medievale alla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) di Roma, sul tema ‘Suor Chiara Augusta Lainati e gli studi inerenti santa Chiara d’Assisi: contributo ed eredità’.

Suor Chiara Augusta Lainati era nata a Saronno (Varese) nel 1939 ed ha studiato filologia classica all’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) dove ha conseguito la laurea nel 1962 con la tesi sulla ‘Legenda versificata Sanctae Clarae Virginis’, di cui fu relatore il prof. Ezio Franceschini. Quindici giorni dopo la laurea entrò nel Protomonastero Santa Chiara d’Assisi, una comunità di clarisse che vantava un legame con l’Università Cattolica del Sacro Cuore già dalla fondazione da parte di p. Agostino Gemelli. Veste l’abito delle Sorelle Povere di santa Chiara il 21 gennaio 1963, emette la prima professione il 19 aprile 1964 e la professione solenne il 20 aprile 1967.

Molto ricercata in convegni e pubblicazioni con collaborazioni scientifiche sulla spiritualità francescano-clariana, ha operato anche nel campo della trasmissione del carisma francescano nonché nella formazione delle giovani clarisse in diversi monasteri. Gli ultimi anni di vita (caratterizzati da varie infermità) sono trascorsi nel monastero di Matelica, nelle Marche, dove è giunta nel 2001, fino alla sua morte avvenuta il 2 marzo dello scorso anno, festa di sant’Agnese di Praga, figlia del re di Boemia e fondatrice del monastero ‘San Francesco’ a Praga dove si rinchiude lei stessa, seguendo la ‘Forma di Vita’ vissuta a san Damiano da Chiara e dalle sorelle. Assieme al francescano p. Giovanni Boccali nel 1977, scoprì in un codice ‘Audite poverelle’, ossia lo scritto in lingua volgare che Francesco d’Assisi morente inviò alla comunità di San Damiano e che nel 2000 il cantautore Angelo Branduardi musicò nel suo album ‘L’infinitamente piccolo’.

Chiediamo a suor Chiara Rosamaria Papa, clarissa nel monastero di Matelica, di raccontarci il motivo per cui è organizzato un convegno su suor Chiara Augusta Lainati: “Ad un anno dal transito al cielo di suor Chiara Augusta Lainati, ci è doveroso ricordarla non solo con una celebrazione eucaristica di suffragio, ma anche con un evento culturale nel quale avviare l’approfondimento del contributo specifico che questa consorella (per tanti madre e riferimento spirituale) ha offerto con i suoi studi, le sue ricerche e pubblicazioni su santa Chiara d’Assisi e sul francescanesimo.

E’ un’iniziativa mossa dal debito di gratitudine dovuto alla storia, al cammino che la Famiglia Francescana, ed in particolare il Secondo Ordine Francescano, quello delle Sorelle Povere di Santa Chiara, ha compiuto dopo la ventata di ‘aria nuova’ che lo Spirito del Signore ha suscitato nella Chiesa con il Concilio Vaticano II.

In questo cammino suor Chiara Augusta si è trovata ad essere una delle voci di riferimento più attendibili e ascoltate. Con una laurea in lettere antiche conseguita presso l’Università Cattolica di Milano con il prof. Ezio Franceschini, uno dei migliori filologi e medievalisti italiani, entrò subito dopo nel Protomonastero Santa Chiara di Assisi. Era l’anno 1962, lo stesso dell’avvio dell’assise conciliare. Ben presto le fu chiesto di scrivere una vita di santa Chiara d’Assisi a scopo divulgativo.

Seguirono articoli sulla spiritualità francescana-clariana, due corposi volumi sui Temi spirituali dagli Scritti del Secondo Ordine francescano (1970), oltre ad innumerevoli altri scritti sulle primitive fonti relative a Chiara d’Assisi. Sempre negli anni ’60 avviò, curando poi per decenni, la Rivista delle Clarisse italiane ‘Forma Sororum’. Il contributo decisivo per una riqualificazione della figura di Chiara in ambito francescano suor Lainati lo offrì quando si mise mano ad una edizione italiana delle fonti relative a san Francesco ed al suo Ordine, opera che vide felicemente inserita, sotto la sua direzione, una IV sezione dedicata alle fonti su santa Chiara: fu quella la prima edizione delle Fonti Francescane nel 1977. In essa la ‘pianticella del padre san Francesco’ ebbe un posto tutto suo, che non le fu riconosciuto, per esempio, nelle parallele edizioni in lingua francese e spagnola, e questo grazie al lavoro portato avanti da suor Chiara Augusta”.

Quanto sono stati importanti i suoi studi su santa Chiara?

“E fu, come ebbe a scrivere il prof. Marco Bartoli, ‘una felice intuizione, che restituiva Chiara non solo alle Clarisse, ma anche all’insieme della famiglia francescana. Si veniva a scoprire così che la donna di Assisi aveva avuto un ruolo tutt’altro che secondario nello sviluppo del movimento francescano nel XII secolo nel suo complesso’ (Introduzione a ‘Santa Chiara d’Assisi. Contemplare la bellezza di un Dio sposo’, di Chiara Augusta Lainati).

Come suor Lainati interpretò la spiritualità di santa Chiara?

“Nello studio della spiritualità di santa Chiara, suor Chiara Augusta seppe ‘unire la sua solida preparazione teologica e medievale alla sua fine sensibilità femminile e alla privilegiata circostanza di essere Clarissa, vale a dire, di essere chiamata a vivere questa stessa forma di vita carismatica che descrive nella madre santa Chiara’, come si espresse il francescano mons. J.S. Montes. Una circostanza provvidenziale che rende la sua visione particolarmente viva, penetrante, credibile.

Nel clima di ‘novità’ del post Concilio Vaticano II, della riscoperta delle radici battesimali di ogni vocazione cristiana, della sua ecclesiologia e missione evangelica nel mondo, suor Chiara Augusta ha saputo trasmettere nei suoi scritti la perenne novità del carisma francescano suscitato dallo Spirito nel cuore di Francesco e di Chiara d’Assisi. ‘Per tutti questi motivi, è ancora il prof. Bartoli a scrivere, non è azzardato dire che suor Chiara Augusta Lainati è stata la Clarissa italiana che più di ogni altra, nel XX secolo, ha contribuito alla riscoperta della vita e della spiritualità di Chiara d’Assisi’”.

Cosa significa ricordare suor Chiara Augusta Lainati?

“Questo ampio panorama di studi e di pubblicazioni costituisce proprio ora, col compimento della parabola terrena di suor Chiara Augusta, vissuta per oltre sessant’anni alla sequela di Cristo in una vita interamente contemplativa come Sorella Povera di Santa Chiara, un vero e proprio lascito che non ci si può esimere dall’approfondire. L’iniziativa di domenica 2 marzo mira semplicemente ed umilmente a questo”.

(Tratto da Aci Stampa)

7^ domenica del Tempo Ordinario: camminiamo in novità di vita!

Il brano del Vangelo non si ferma oggi con il dire ‘Non odiate i vostri nemici’ ma va oltre: ‘Ama i tuoi nemici … fai del bene a quelli che vi odiano!’ La morale cristiana non è un moralismo esagerato ma la conseguenza naturale dell’essere cristiani, cioè figli di Dio e perciò fratelli tra di noi,  tanto da pregare: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’. L’etica è la conseguenza dell’essere: con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo da costituire  con Gesù un unico corpo: il corpo mistico della Chiesa dove Cristo è il capo, noi le membra.

Il livello ontologico  deve precedere sempre quello etico; il nostro comportamento deve essere adeguato ed in sintonia con la realtà acquisita con il Battesimo. Da qui le parole di Gesù: ‘Rimanete nel mio amore ed osservate i miei comandamenti’; come vedi abbiamo due livelli: 1° sei cristiano se rimani nel mio amore; 2° se sei cristiano, discepolo di Cristo, ‘osserva i miei comandamenti’. Dio è amore, siamo allora chiamati ad amare; Gesù è morto in croce per tutti (amici ed avversari), allora ama tutti senza alcuna distinzione. L’amore o è altruismo o non è amore; vuoi sapere se qualcuno ti ama sul serio? Non fidarti delle sue parole, ma mettilo alla prova con il sacrificio: se non è capace di sacrificarsi per te, non ama te ma se stesso.

L’amore non è un divertimento; è una cosa seria perchè è qualcosa di divino. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana, va contro le logiche umane, rende vana la morale comune, polverizza le strategie del mondo. Non dimenticare: solo l’amore del nemico salverà l’umanità. Ti sembra cosa difficile? Un giorno anche l’apostolo Paolo, pieno di paura, elevò a Dio la sua preghiera; il Padre rispose: ‘Non temere, Paolo, ti basta la mia grazia; la mia potenza, dice il Signore, si manifesta pienamente nella debolezza’.

L’apostolo scriverà: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte!’ Beato l’uomo che confida nel Signore, maledetto l’uomo che confida nell’uomo.  Il Vangelo oggi ci propone l’insegnamento di Cristo: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano: chi ti percuote la guancia destra, porgi anche la sinistra. Ecco l’ideale della carità evangelica; potrebbe sembrare un paradosso, ma basta riflettere; secondo i parametri umani appare inconcepibile: amare i nemici, fare del bene a chi fa del male, ma Gesù non è venuto cento per collaudare il mondo egoista ed individualista, superbo ed orgoglioso.

Gesù conosce bene il comportamento umano: ‘Se amate quelli che vi amano, se fate del bene a chi vi ha fatto del bene … cosa avete fatto di straordinario? non fanno così anche i pagani?’ Tu sei figlio di Dio, Gesù è morto in croce per tutti e per ciascuno di noi e la sua preghiera è stata in favore dei suoi crocifissori: ‘Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno!’ Tutto quanto Gesù ci ha insegnato non è un optional, è un comando. Gesù conosce anche la nostra debolezza, per questo si è fatto uomo, è morto in croce e risorto è rimasto presente nell’Eucaristia: cibo, forza e nutrimento alla nostra debolezza.

La logica dell’amore è il distintivo della fede cristiana e ci spinge ad incontrare tutti con cuore di fratelli. Gesù ci ha dato l’esempio: oltraggiato, non risponde; ingiuriato perdona e prega: ‘Padre, perdona loro!’  Gli Apostoli, a partire dalla Pentecoste, saranno i primi testimoni dell’amore misericordioso di Dio; i nostri fratelli e sorelle, che chiamiamo ‘santi’, sono persone che hanno amato sino all’estremo sacrificio: ieri come oggi, vedi ad es. il beato Pino Puglisi, madre Teresa di Calcutta, san Pio di Pietralcina e quanti sanno amare e perdonare.

Diceva san Francesco: nessun fratello, che ha peccato, deve vedere i tuoi occhi e partirsene senza la certezza di essere stato perdonato. Amico, getta via allora l’aceto dal cuore e riempilo di miele: il miele del perdono, di dimenticare le offese ricevute, di benedire e mai maledire: la più bella vendetta è l’amore e il perdono. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana.

Da Gerusalemme un appello per Gaza

“Come custodi della fede e della coscienza cristiana in questa terra sacra, alziamo le nostre voci con dolore e ferma determinazione di fronte alla sofferenza in corso a Gaza. La devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo è una profonda tragedia morale e umanitaria. Migliaia di vite innocenti sono state perse e intere comunità sono in rovina, con i più vulnerabili, bambini, anziani e malati, che sopportano difficoltà inimmaginabili”: così hanno scritto in una nota i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme esprimendo dolore di fronte alla sofferenza degli abitanti di Gaza.

Nella nota si è ribadito che chi vive a Gaza non deve essere costretto all’esilio: “In mezzo a questa angoscia, siamo costretti a parlare contro la grave minaccia dello sfollamento di massa, un’ingiustizia che colpisce il cuore stesso della dignità umana. La gente di Gaza, famiglie che hanno vissuto per generazioni nella terra dei loro antenati, non devono essere costrette all’esilio, private di ciò che resta delle loro case, della loro eredità e del loro diritto a rimanere nella terra che costituisce l’essenza della loro identità. Come cristiani, non possiamo essere indifferenti a tale sofferenza, perché il Vangelo ci comanda di sostenere la dignità di ogni essere umano”.

Da qui nasce il sostegno alla posizione ‘chiara e incrollabile’ del re Abdullah II di Giordania e del presidente egiziano Al-Sisi: “In questo momento critico, riconosciamo e sosteniamo la posizione di Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania, del Presidente Al-Sisi d’Egitto e di altri, la cui posizione ferma e di principio è rimasta chiara e incrollabile nel respingere qualsiasi tentativo di sradicare la popolazione di Gaza dalla propria terra. I loro incessanti sforzi per fornire aiuti umanitari, fare appello alla coscienza del mondo e insistere sulla protezione dei civili esemplificano la leadership al suo più alto livello di responsabilità”.

Con tale spirito di responsabilità i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno chiesto il rilascio di tutti i prigionieri: “Con questo stesso spirito, chiediamo anche il rilascio di tutti i prigionieri di entrambe le parti in modo che possano essere riuniti in sicurezza alle loro famiglie. Facciamo inoltre appello a tutte le persone di fede, ai governi e alla comunità internazionale affinché agiscano rapidamente e con decisione per fermare questa catastrofe. Non ci sia alcuna giustificazione per lo sradicamento di un popolo che ha già sofferto oltre misura”.

Questa  è stata una sottolineatura necessaria in quanto ogni vita è sacra: “Lasciamo che la sacralità della vita umana e l’obbligo morale di proteggere gli indifesi superino le forze della distruzione e della disperazione. Chiediamo un accesso umanitario immediato e senza restrizioni a coloro che sono in disperato bisogno. Abbandonarli ora significherebbe abbandonare la nostra comune umanità”.

La nota si conclude con il sostegno a coloro che hanno perso un familiare in questo perenne conflitto con un verso tratto dal salmo 145: “Mentre eleviamo le nostre preghiere per coloro che sono in lutto, per i feriti e per coloro che rimangono saldi nella terra dei loro antenati, ricordiamo la promessa della Scrittura: ‘Il Signore sostiene tutti quelli che cadono e rialza tutti quelli che sono curvi’. Possa il Dio della misericordia rafforzare gli afflitti, ammorbidire i cuori di coloro che detengono il potere e portare una pace che sostenga la giustizia, preservi la dignità umana e salvaguardi la presenza di tutti i popoli nella terra a cui appartengono”.

Tra i firmatari della dichiarazione anche il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, il patriarca greco-ortodosso Teofilo III ed altri rappresentanti delle Chiese cristiane e cattoliche (copta, maronita, melkita, siro-cattolica, episcopale, evangelica luterana, armena).

Ed anche il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in un’intervista al giornale ‘Eco di Bergamo’ ha auspicato auspica che possa essere ‘permanente, che metta fine alla sofferenza del popolo palestinese’ nella Striscia di Gaza e nel resto della Palestina: Ora bisogna dare segni di speranza ad entrambi: sia agli israeliani che ai palestinesi”. L’auspicio del cardinale è che la Comunità internazionale, e in particolare le nazioni vicine, aiutino il Paese a rimanere territorialmente integro, “soccorrendo la popolazione nelle povertà che la guerra ha generato in questi lunghi anni”.

Le difficili realtà socio-politiche nel Medio Oriente portano all’interrogativo sul ruolo che lì possono avere i cristiani, non una minoranza, ma una ‘componente’ essenziale e imprescindibile, che ha ‘sempre contribuito allo sviluppo e al progresso dei loro Paesi’: “Quanto alla Terra Santa, ogni cristiano dovrebbe potervisi recare liberamente e senza restrizioni”.

In Toscana approvata la legge per il suicidio medicalmente assistito

Nei giorni scorsi la Regione Toscana ha approvato una legge di iniziativa popolare che regolamenta procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, prevedendo di individuare i requisiti di accesso alla pratica, la verifica delle condizioni e delle modalità di accesso alla morte medicalmente assistita, affinché l’aiuto al suicidio non costituisca reato.

La legge stabilisce anche che possono accedere al suicidio medicalmente assistito le persone affette da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputano intollerabili; tenute in vita da trattamento di sostegno vitale; pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli; che esprimono un proposito di suicidio formatosi in modo libero e autonomo, chiaro e univoco.

A seguito di tale approvazione il card. Paolo Augusto Lojudice, presidente della Conferenza Episcopale Toscana, ha sostenuto che una legge non può sostenere un diritto al suicidio: “Prendiamo atto della scelta fatta dal Consiglio Regionale della Toscana, ma questo non limiterà la nostra azione a favore della vita, sempre e comunque. Ai cappellani negli ospedali, alle religiose, ai religiosi e ai volontari che operano negli hospice e in tutti quei luoghi dove ogni giorno ci si confronta con la malattia, il dolore e la morte dico a tutti di non arrendersi e di continuare ad essere portatori di speranza, di vita nonostante tutto. Sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta”.

A supporto di questa posizione si è aggiunto anche l’intervento della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro con il suo vescovo Andrea Migliavacca e il responsabile diocesano per la pastorale della salute, insieme alla consulta diocesana di pastorale sanitaria, all’associazione Medici cattolici di Arezzo e all’opera Casa Betlemme, sostenendo che la vita deve essere tutelata: “La vita è un dono che va difeso e tutelato in tutte le sue condizioni. Siamo contrari ad alimentare una cultura dello scarto dove si stabilisce chi ha la dignità per vivere”.

Una società non può creare ulteriori solitudini: “La risposta di una comunità che accoglie non può essere quella di creare la solitudine del suicidio ma di rendersi capace di farsi prossimo in maniera concreta a chi vive il dolore nel corpo e nella mente. Dobbiamo tornare ad umanizzare la morte e al giusto accompagnamento attraverso la terapia palliativa oltre ad ‘una buona dose di amore’.

A tutti coloro che credono nel valore della vita e della centralità della persona chiediamo di non perdere coraggio: continuino, invece, ad essere testimoni di speranza con rinnovata passione ed entusiasmo. Nessuno si deve sentire abbandonato, perché solo così e senza altri artifizi, saremo in grado di dare dignità alle persone anche nel loro percorso finale di vita”.

Nelle settimane precedenti i vescovi toscani erano già intervenuti sul tema con una nota diffusa in attesa della discussione in aula della proposta di legge regionale, chiedendo prudenza e saggezza: “Siamo consapevoli che questa proposta di legge assume per molti un valore simbolico, nel senso che si chiede alla Regione Toscana di ‘forzare’ la lentezza della macchina politica statale chiamata a dare riferimenti legislativi al tema (importantissimo) del fine vita. Vorremmo in primo luogo invitare i consiglieri regionali ed i dirigenti dei loro partiti a non fare di questo tema una questione di ‘schieramento’ ma di farne un’occasione per una riflessione profonda sulle basi della propria concezione del progresso e della dignità della persona umana”.

Per questo avevano invitato i consiglieri regionali a leggere il documento ‘Dignitas Infinita’ e la storia di questa regione: “Nella cura delle persone in condizione di fragilità la Toscana è stata esempio per tutti: la nascita dei primi ospedali, dei primi orfanotrofi, delle associazioni dedicate alla cura dei malati e dei moribondi, come le Misericordie, e poi tutto il movimento del volontariato, sono un’eredità che continua viva. Ci sembra che in un momento di crisi del sistema sanitario regionale, più che alla redazione di ‘leggi simbolo’, i legislatori debbano dare la precedenza al progresso possibile anche nel presente quadro legislativo, in un rinnovato impegno riguardo alle cure palliative, alla valorizzazione di ogni sforzo di accompagnamento e di sostegno alla fragilità”.

Ed infine avevano rivolto un invito a non stravolgere la Costituzione italiana: “La vita umana è un valore assoluto, tutelato anche dalla Costituzione: non c’è un ‘diritto di morire’ ma il diritto di essere curati e il Sistema sanitario esiste per migliorare le condizioni della vita e non per dare la morte. Anche da parte nostra vogliamo affermare la necessità di leggi nazionali aggiornate e siamo disponibili al dialogo e all’approfondimento sul grande tema del fine vita, pronti ad ascoltare e ad apportare, per la passione per ogni persona umana che impariamo da Gesù Cristo e che viene offerta a tutti come contributo libero alla nostra società”.

Papa Francesco: acqua, cibo e terra sono alla base della vita

“Desidero porgere i miei saluti a tutti i partecipanti a questo incontro e spero che possa essere uno spazio significativo di dibattito, studio e riflessione sulle priorità, le preoccupazioni e le giuste aspirazioni delle comunità indigene”: così ha scritto papa Francesco nel messaggio inviato agli Organizzatori e Partecipanti al VII Foro dei Popoli Indigeni, in corso a Roma fino a domani sul tema ‘Il diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione: un percorso verso la sicurezza alimentare e la sovranità’, a cui ha preso parte monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il Pam, che ha letto durante i lavori il messaggio del Pontefice indirizzato a Myrna Cunningham, presidente del Comitato direttivo del Forum.

Nel messaggio il papa ha sottolineato che il tema proposto è un invito a non sottovalutare il contributo dei popoli indigeni: “Il tema scelto, Il diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione: una via verso la sicurezza alimentare e la sovranità, ci invita a riconoscere il valore dei popoli indigeni, così come l’eredità ancestrale di conoscenze e pratiche che arricchiscono positivamente la grande famiglia umana, colorandola con i diversi aspetti delle loro tradizioni. Tutto ciò rivela un orizzonte di speranza nel tempo presente, segnato da sfide intense e complesse e non poche tensioni”.

Quindi il papa ha denunciato il continuo depauperamento di terre da parte delle multinazionali: “La difesa del diritto a preservare la propria cultura e identità passa necessariamente dal riconoscimento del valore del proprio contributo alla società e dalla salvaguardia della propria esistenza e delle risorse naturali di cui necessitano per vivere. Qualcosa che è seriamente minacciato dal crescente accaparramento di terre da parte di multinazionali, grandi investitori e Stati. Si tratta di pratiche che causano danni e minacciano il diritto delle comunità a una vita dignitosa”.

Per questo la terra, insieme all’acqua ed al cibo, non sono merci, invitando a difendere i diritti: “Terra, acqua e cibo non sono semplici merci, ma la base stessa della vita e del legame di queste persone con la natura. Difendere questi diritti non è quindi solo una questione di giustizia, ma anche la garanzia di un futuro sostenibile per tutti. Ispirati dal senso di appartenenza alla famiglia umana, possiamo garantire alle generazioni future un mondo in armonia con la bellezza e la bontà che hanno guidato le mani di Dio nel crearlo”.

Ed in conclusione ha pregato i governanti a garantire questi diritti essenziali alla vita: “Prego Dio Onnipotente affinché questi sforzi portino frutto e servano da ispirazione a quanti sono a capo delle nazioni, affinché siano adottate misure appropriate per garantire che la famiglia umana cammini unita nella ricerca del bene comune, affinché nessuno sia escluso o lasciato indietro”.

(Foto di repertorio: Santa Sede)

Riccardo Rossi racconta la Serva di Dio Luisa Piccarreta

“Figlia mia, oggi è la mia Nascita e son venuto per renderti felice colla mia presenza: Mi sarebbe troppo duro non rendere felice in questo giorno chi vive nella mia Divina Volontà, non darle il mio primo bacio e dirti ‘ti amo’, come contraccambio del tuo, e stringendoti forte al mio piccolo Cuore, farti sentire i miei palpiti che sprigionano fuoco, che vorrebbero bruciare tutto ciò che alla mia Volontà non appartiene; ed il tuo palpito facendo eco nel mio Mi ripete il tuo gradito ritornello:  ‘La tua Volontà regna come in Cielo così in terra’. Ripetilo sempre se mi vuoi rendere felice e quietarmi il mio pianto infantile. Guarda il tuo amore Mi ha preparato la culla d’oro, e gli atti nella mia Divina Volontà Mi hanno preparata la vestitina di luce, non ne sei contenta?”

Partiamo da questo pensiero ricavato dagli scritti della serva di Dio, Luisa Piccarreta, ‘comunicatole’ da Gesù il 25 dicembre 1928, per ‘scoprire’ la sua ‘figura’, in quanto lo scorso 10 agosto è stato rilasciato il nulla osta per la ripresa della sua Causa di Beatificazione, come è stato comunicato dal postulatore, mons. Paolo Rizzi:

“La Causa di Beatificazione della Serva di Dio Luisa Piccarreta non è mai stata chiusa, ma è sempre stata pendente presso il Dicastero della Cause dei Santi, il quale ne aveva sospeso temporaneamente l’iter canonico poiché il Dicastero per la Dottrina della fede, al cui studio erano stati sottoposti la spiritualità, il pensiero e gli scritti della Serva di Dio, nel 2019 segnalava che gli scritti presentavano alcune ambiguità di natura teologica, cristologica e antropologica che, pur non essendo di per se stessi errori dottrinali, richiedevano un’ulteriore valutazione.

Le risposte chiarificatrici della Postulazione ai menzionati rilievi, con il supporto di un teologo esperto in mistica, hanno consentito al Dicastero per la Dottrina della Fede di concludere che negli scritti e nel pensiero della Serva di Dio non si ravvisano affermazioni palesemente difformi dalla dottrina della Chiesa e nel giugno 2024 ha rilasciato il nulla osta per la ripresa della Causa, notificato formalmente dal Dicastero delle Cause dei Santi a questa Postulazione l’8 luglio 2024”.

Per comprendere meglio chi era Luisa Piccarreta abbiamo chiesto di raccontarci la sua vita al  giornalista Riccardo Rossi, volontario alla Missione ‘Speranza e Carità’ di fratel Biagio Conte: “Nacque a Corato, in Puglia, il 23 aprile del 1865 e morì il 4 marzo 1947. Aveva diversi fratelli, un padre e una madre buoni. Luisa fin da piccola era intensamente devota a Gesù. Sempre in tenera età sognava il demonio, in risposta, Luisa pregava tanto. Già a 12 anni comincia a sentire la voce di Gesù. All’età di 22 anni si è offerta come vittima perpetua”.

In quale modo viveva la volontà di Dio?

“Lei aveva il dono di vedere e parlare con Gesù che le ha chiesto di scrivere tutti i colloqui avuti con Lui, in modo che tutti leggendoli e meditandoli potessero capire che Gesù vuole la nostra volontà per darci la Sua Divina Volontà. Sono 36 diari: ‘Il Regno della Mia Divina Volontà in mezzo alle creature, Libro di Cielo. Il richiamo delle creatura nell’ordine, al suo posto e nello scopo per cui fu creata da Dio’. Quest’obbedienza le è costata molto perché non avrebbe voluto che tutti leggessero i suoi colloqui con Gesù”.

In quale modo il letto è diventato per lei un luogo di ‘contemplazione’?

“Lei ha vissuto circa 60 anni in un letto, pienamente abbandonata alla volontà di Dio Padre. Si è offerta come vittima, per assolvere lo stesso compito di Gesù, mitigare la Divina Giustizia nei confronti degli uomini. Successivamente il Signore le ha dato un nuovo incarico di girare spiritualmente nella Divina Volontà per preparare ed ottenere la venuta e il trionfo del suo Regno”. 

Quale era la spiritualità di Luisa Piccarreta?

“I suoi scritti non descrivono solo un itinerario di vita spirituale, ma sono la proclamazione del Decreto o Progetto eterno di Dio, che annuncia il compimento del suo Regno: il Regno della sua Volontà. Lei ha vissuto negli ultimi tempi, completamente immersa nella Divina Volontà, tanto da diventare rifermento per tutti noi che vogliamo vivere come Adamo ed Eva prima del Peccato Originale, o come ha vissuto la Madonna, immersi nel Divin Volere”. 

Come sei venuto a conoscenza della sua vita?

“Un mio amico, Nunzio, mi ha donato nella quaresima del 2022, il libro ‘Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo’ di Luisa Piccarreta e mi ha detto che leggendolo fuso in Gesù si potevano avere più doni, ma mi colpì molto il fatto che poteva guarirmi dalle mie ferite spirituali dell’infanzia. L’ ho letto, fuso in Gesù, per vari mesi.

Quando ho partecipato ad un cenacolo a ottobre del 2022 dei Piccoli Figli di Palermo, con la meditazione del Libro di Cielo, ho sentito che la Trinità era accanto a me quando ero piccolo e mio padre mi picchiava e nel mentre ho sentito oltre il dolore anche la gioia. Ho capito di avere avuto un miracolo di guarigione spirituale e che posso testimoniare, in particolare ai giovani, che Gesù non ci lascia mai soli”.

E quanto è stata importante la sua conoscenza per la tua vita?

“Fondamentale direi. Fratel Biagio, in collina, vicino all’Oasi della Speranza, mi aveva predetto che siccome ero stato molto vicino a lui sarei stato perseguitato e mi disse pure che anche io come lui, sono un martire spirituale. Nell’approcciare il ‘Libro di Cielo’ ho capito che le persecuzioni, sono in realtà predilezioni dell’amore di Dio che opera così per purgare le nostre anime verso la santità e per realizzare tante grazie.

Ho capito che proprio quando vieni colpito e quello il momento per migliorare nella fede, è facile avere fede quando tutto va bene, invece è nella prova che si misura. Da quando leggo questi libri ho avuto tanti doni, di più che in oltre vent’anni di vita cristiana. Ho capito che la cosa più importane non è pregare con tante parole e intenzioni, ma solo per l’Avvento del Regno di Dio, per affrettare la venuta di Gesù sulla terra”.

(Tratto da Aci Stampa)

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