Tag Archives: vocazione
Matelica ricorda suor Chiara Augusta Lainati

Domenica 2 marzo il Monastero delle Clarisse ‘Santa Maria Maddalena’ di Matelica, in collaborazione con BAP (Biblioteca Archivio Pinacoteca) francescana delle Marche, la Pinacoteca ‘San Giacomo della Marca’ e la Provincia Picena dei Frati Minori ‘San Giacomo della Marca’, presso i saloni del Monastero (ingresso via Damiano Chiesa), organizza un convegno dedicato a suor Chiara Augusta Lainati, ad un anno dalla sua morte, con la partecipazione del prof. Marco Bartoli, docente di storia medievale alla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) di Roma, sul tema ‘Suor Chiara Augusta Lainati e gli studi inerenti santa Chiara d’Assisi: contributo ed eredità’.
Suor Chiara Augusta Lainati era nata a Saronno (Varese) nel 1939 ed ha studiato filologia classica all’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) dove ha conseguito la laurea nel 1962 con la tesi sulla ‘Legenda versificata Sanctae Clarae Virginis’, di cui fu relatore il prof. Ezio Franceschini. Quindici giorni dopo la laurea entrò nel Protomonastero Santa Chiara d’Assisi, una comunità di clarisse che vantava un legame con l’Università Cattolica del Sacro Cuore già dalla fondazione da parte di p. Agostino Gemelli. Veste l’abito delle Sorelle Povere di santa Chiara il 21 gennaio 1963, emette la prima professione il 19 aprile 1964 e la professione solenne il 20 aprile 1967.
Molto ricercata in convegni e pubblicazioni con collaborazioni scientifiche sulla spiritualità francescano-clariana, ha operato anche nel campo della trasmissione del carisma francescano nonché nella formazione delle giovani clarisse in diversi monasteri. Gli ultimi anni di vita (caratterizzati da varie infermità) sono trascorsi nel monastero di Matelica, nelle Marche, dove è giunta nel 2001, fino alla sua morte avvenuta il 2 marzo dello scorso anno, festa di sant’Agnese di Praga, figlia del re di Boemia e fondatrice del monastero ‘San Francesco’ a Praga dove si rinchiude lei stessa, seguendo la ‘Forma di Vita’ vissuta a san Damiano da Chiara e dalle sorelle. Assieme al francescano p. Giovanni Boccali nel 1977, scoprì in un codice ‘Audite poverelle’, ossia lo scritto in lingua volgare che Francesco d’Assisi morente inviò alla comunità di San Damiano e che nel 2000 il cantautore Angelo Branduardi musicò nel suo album ‘L’infinitamente piccolo’.
Chiediamo a suor Chiara Rosamaria Papa, clarissa nel monastero di Matelica, di raccontarci il motivo per cui è organizzato un convegno su suor Chiara Augusta Lainati: “Ad un anno dal transito al cielo di suor Chiara Augusta Lainati, ci è doveroso ricordarla non solo con una celebrazione eucaristica di suffragio, ma anche con un evento culturale nel quale avviare l’approfondimento del contributo specifico che questa consorella (per tanti madre e riferimento spirituale) ha offerto con i suoi studi, le sue ricerche e pubblicazioni su santa Chiara d’Assisi e sul francescanesimo.
E’ un’iniziativa mossa dal debito di gratitudine dovuto alla storia, al cammino che la Famiglia Francescana, ed in particolare il Secondo Ordine Francescano, quello delle Sorelle Povere di Santa Chiara, ha compiuto dopo la ventata di ‘aria nuova’ che lo Spirito del Signore ha suscitato nella Chiesa con il Concilio Vaticano II.
In questo cammino suor Chiara Augusta si è trovata ad essere una delle voci di riferimento più attendibili e ascoltate. Con una laurea in lettere antiche conseguita presso l’Università Cattolica di Milano con il prof. Ezio Franceschini, uno dei migliori filologi e medievalisti italiani, entrò subito dopo nel Protomonastero Santa Chiara di Assisi. Era l’anno 1962, lo stesso dell’avvio dell’assise conciliare. Ben presto le fu chiesto di scrivere una vita di santa Chiara d’Assisi a scopo divulgativo.
Seguirono articoli sulla spiritualità francescana-clariana, due corposi volumi sui Temi spirituali dagli Scritti del Secondo Ordine francescano (1970), oltre ad innumerevoli altri scritti sulle primitive fonti relative a Chiara d’Assisi. Sempre negli anni ’60 avviò, curando poi per decenni, la Rivista delle Clarisse italiane ‘Forma Sororum’. Il contributo decisivo per una riqualificazione della figura di Chiara in ambito francescano suor Lainati lo offrì quando si mise mano ad una edizione italiana delle fonti relative a san Francesco ed al suo Ordine, opera che vide felicemente inserita, sotto la sua direzione, una IV sezione dedicata alle fonti su santa Chiara: fu quella la prima edizione delle Fonti Francescane nel 1977. In essa la ‘pianticella del padre san Francesco’ ebbe un posto tutto suo, che non le fu riconosciuto, per esempio, nelle parallele edizioni in lingua francese e spagnola, e questo grazie al lavoro portato avanti da suor Chiara Augusta”.
Quanto sono stati importanti i suoi studi su santa Chiara?
“E fu, come ebbe a scrivere il prof. Marco Bartoli, ‘una felice intuizione, che restituiva Chiara non solo alle Clarisse, ma anche all’insieme della famiglia francescana. Si veniva a scoprire così che la donna di Assisi aveva avuto un ruolo tutt’altro che secondario nello sviluppo del movimento francescano nel XII secolo nel suo complesso’ (Introduzione a ‘Santa Chiara d’Assisi. Contemplare la bellezza di un Dio sposo’, di Chiara Augusta Lainati).
Come suor Lainati interpretò la spiritualità di santa Chiara?
“Nello studio della spiritualità di santa Chiara, suor Chiara Augusta seppe ‘unire la sua solida preparazione teologica e medievale alla sua fine sensibilità femminile e alla privilegiata circostanza di essere Clarissa, vale a dire, di essere chiamata a vivere questa stessa forma di vita carismatica che descrive nella madre santa Chiara’, come si espresse il francescano mons. J.S. Montes. Una circostanza provvidenziale che rende la sua visione particolarmente viva, penetrante, credibile.
Nel clima di ‘novità’ del post Concilio Vaticano II, della riscoperta delle radici battesimali di ogni vocazione cristiana, della sua ecclesiologia e missione evangelica nel mondo, suor Chiara Augusta ha saputo trasmettere nei suoi scritti la perenne novità del carisma francescano suscitato dallo Spirito nel cuore di Francesco e di Chiara d’Assisi. ‘Per tutti questi motivi, è ancora il prof. Bartoli a scrivere, non è azzardato dire che suor Chiara Augusta Lainati è stata la Clarissa italiana che più di ogni altra, nel XX secolo, ha contribuito alla riscoperta della vita e della spiritualità di Chiara d’Assisi’”.
Cosa significa ricordare suor Chiara Augusta Lainati?
“Questo ampio panorama di studi e di pubblicazioni costituisce proprio ora, col compimento della parabola terrena di suor Chiara Augusta, vissuta per oltre sessant’anni alla sequela di Cristo in una vita interamente contemplativa come Sorella Povera di Santa Chiara, un vero e proprio lascito che non ci si può esimere dall’approfondire. L’iniziativa di domenica 2 marzo mira semplicemente ed umilmente a questo”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco al mondo artistico: raccontate la bellezza del Vangelo

“Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra. Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari.”: oggi è stato letto il testo preparato da papa Francesco, che di consueto viene detto prima della recita dell’Angelus, in occasione del Giubileo degli artisti, a cui non ha potuto partecipare a causa di una bronchite, per cui è stato ricoverato al Policlinico Gemelli.
Però nel breve testo ha ringraziato i fedeli ed ha invitato a pregare per la pace: “Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra”.
Mentre nell’omelia per la celebrazione eucaristica de Giubileo degli Artisti, letta dal card. Josè Tolentino de Mendonça, il papa ha riflettuto sul loro ruolo di ‘custodi della bellezza’, capaci di ‘chinarsi sulle ferite del mondo’, come è scritto nel brano evangelico odierno: “Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama le Beatitudini davanti ai suoi discepoli e a una moltitudine di gente. Le abbiamo ascoltate tante volte eppure non cessano di stupirci…
Queste parole ribaltano la logica del mondo e ci invitano a guardare la realtà con occhi nuovi, con lo sguardo di Dio, che vede oltre le apparenze e riconosce la bellezza, persino nella fragilità e nella sofferenza… Il contrasto tra ‘beati voi’ e ‘guai a voi’ ci richiama all’importanza di discernere dove riponiamo la nostra sicurezza”.
Rivolgendosi direttamente agli artisti li ha invitati a ‘trasformare il dolore in speranza’ “Voi, artisti e persone di cultura, siete chiamati a essere testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini. La vostra missione è non solo di creare bellezza, ma di rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza”.
Il loro compito consiste di ‘aiutare l’umanità’: “Viviamo un tempo di crisi complessa, che è economica e sociale e, prima di tutto, è crisi dell’anima, crisi di significato. Ci poniamo la questione del tempo e quella della rotta. Siamo pellegrini o erranti? Camminiamo con una meta o siamo dispersi nel vagare? L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza”.
In questo compito l’arte diventa un incontro: “Ma attenzione: non una speranza facile, superficiale, disincarnata. No! La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio. Per questo l’arte autentica è sempre un incontro con il mistero, con la bellezza che ci supera, con il dolore che ci interroga, con la verità che ci chiama. Altrimenti, ‘guai’! Il Signore è severo nel suo appello”.
Infatti la missione dell’artista consiste nel raccontare la ‘grandezza’ di Dio: “Questa è la missione dell’artista: scoprire e rivelare quella grandezza nascosta, farla percepire ai nostri occhi e ai nostri cuori… L’artista è sensibile a queste risonanze e, con la sua opera, compie un discernimento e aiuta gli altri a discernere tra i differenti echi delle vicende di questo mondo.
E gli uomini e le donne di cultura sono chiamati a valutare questi echi, a spiegarceli e a illuminare la strada su cui ci conducono: se sono canti di sirene che seducono oppure richiami della nostra umanità più vera. Vi è chiesta una sapienza per distinguere ciò che è come ‘pula che il vento disperde’ da ciò che è solido ‘come albero piantato lungo corsi d’acqua’ ed è capace di dare frutto”.
In questo senso gli artisti sono i ‘custodi’ della bellezza: “Cari artisti, vedo in voi dei custodi della bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo, che sa ascoltare il grido dei poveri, dei sofferenti, dei feriti, dei carcerati, dei perseguitati, dei rifugiati. Vedo in voi dei custodi delle Beatitudini! Viviamo in un’epoca in cui nuovi muri si alzano, in cui le differenze diventano pretesto per la divisione anziché occasione di arricchimento reciproco. Ma voi, uomini e donne di cultura, siete chiamati a costruire ponti, a creare spazi di incontro e dialogo, a illuminare le menti e a scaldare i cuori”.
Per questo ha sottolineato che l’arte è necessaria per il mondo: “L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza. E la speranza non è mai scissa dal dramma dell’esistenza: attraversa la lotta quotidiana, le fatiche del vivere, le sfide di questo nostro tempo”.
E’ stato un invito agli artisti a partecipare alla ‘rivoluzione’ delle Beatitudini: “Nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, Gesù proclama beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati. È una logica capovolta, una rivoluzione della prospettiva. L’arte è chiamata a partecipare a questa rivoluzione. Il mondo ha bisogno di artisti profetici, di intellettuali coraggiosi, di creatori di cultura”.
Quest’omelia letta si è conclusa con l’appello ad annunciare ‘un mondo nuovo’: “Lasciatevi guidare dal Vangelo delle Beatitudini, e la vostra arte sia annuncio di un mondo nuovo. La vostra poesia ce lo faccia vedere! Non smettete mai di cercare, di interrogare, di rischiare. Perché la vera arte non è mai comoda, offre la pace dell’inquietudine. E ricordate: la speranza non è un’illusione; la bellezza non è un’utopia; il vostro dono non è un caso, è una chiamata. Rispondete con generosità, con passione, con amore”.
(Foto: Santa Sede)
Quinta domenica del Tempo Ordinario: la Parola di Dio ci parla di chiamata, di vocazione!

Il brano del vangelo ci porta sul mare di Cafarnao, dove Gesù ammaestra la folla, seduto sulla barca di Pietro ed addita la via della salvezza. La nostra vita è bella, armoniosa se si vive conforme alla vocazione di ciascuno. Vivere la vita significa attuare quel progetto mirabile che Dio ha avuto al momento della nostra creazione conferendo a ciascuno talenti e carismi diversi per il bene del singolo e della società.
Dalla grazia siamo stati elevati a figli di Dio; come tali il nostro ruolo è sociale ed ecclesiale, oltre che individuale; in tale chiave risponderemo a Dio e alla propria coscienza. Il brano del Vangelo, riguardante la pesca miracolosa, è significativo: Gesù sale sulla barca di Pietro per parlare alla gente che si accalca e, terminato il discorso, invita Pietro a gettare le reti per la pesca. Questi si sbigottisce ed osserva: Signore, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; Pietro, uomo di fede, obbedisce a Gesù, butta le reti per la pesca ed ecco una quantità enorme di pescato.
Davanti ad un fatto così eclatante, Pietro esclama: ‘Signore, allontanati da me, sono un uomo peccatore’; Gesù lo incoraggia: Pietro, non temere; d’oggi innanzi sarai pescatore di uomini. Pietro lascia tutto: la barca, le reti, il padre e segue Gesù: diverrà l’apostolo prediletto, il capo della Chiesa nascente; a lui Gesù dirà: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa’.
Il miracolo più eclatante non è stata la pesca miracolosa quanto la risposta generosa di Pietro: quando Dio chiama, bisogna sempre rispondere con generosità e tempestività. Così fecero Pietro e gli Apostoli; così fece Paolo quando da persecutore della fede cristiana, folgorato dalla grazia divina, divenne l’apostolo prediletto, di cui disse Gesù: ‘ne farò un vaso di elezione’.
Pietro è l’immagine del vero credente e diventa destinatario di una missione sublime: vicario di Cristo Gesù in una Chiesa che, come una barca posta in un mare tempestoso non affonderà mai: ‘Le porte degli inferi non prevarranno’. Nella Chiesa, come nella società civile, tutti insieme costituiamo una famiglia; dotati da talenti diversi per numero e qualità, siamo chiamati ad un ruolo di solidarietà e complementarietà; l’uno completa l’altro come le cellule dello stesso corpo o gli organi dello stesso organismo: tutti diversi ma con un compito di vera partecipazione.
Spesso si parla di crisi nella Chiesa, ma è solo crisi di crescenza, che deve servire solo a rinnovare la Chiesa di Cristo Gesù. Il sinodo popolare indetto da Papa Francesco mira a far prendere coscienza che comandare è servire, una Chiesa dove tutti: clero e popolo di Dio, pastori e fedeli sono chiamati ad un ruolo di servizio, ciascuno a seconda dei carismi ricevuti dallo Spirito che nel Battesimo ci ha innestati a Cristo. Nella Chiesa non ci sono ‘padroni’ ma ‘collaboratori’, tutti fratelli, tutte pecorelle dell’ovile di Cristo, tutti in comunione con tutti: gerarchia che deve essere diaconia.
Diceva Gesù: ‘Mi chiamate Signore e maestro ed io vi ha lavati i piedi, così è necessario tra di voi che l’uno lavi i piedi all’altro’. Il sinodo popolare, voluto da papa Francesco, mira a sentire quello che lo Spirito Santo oggi ispira, suggerisce alla Chiesa di Dio; questo ‘camminare insieme’ deve attuare e manifestare la natura vera della Chiesa come popolo di Dio, pellegrino e missionario. E’ necessario allora avventurarsi nel profondo del nostro io, dove parla lo Spirito Santo. Amico, che leggi o ascolti, è necessario oggi più che mai agire: sognare, cantare, aprire le braccia, espandere il cuore, allargare lo sguardo. La pesca è già iniziata, c’è posto anche per te.
Vocazioni cristiane: una visione nuova e inclusiva dal Mistero di Cristo

La riflessione sulla vocazione cristiana ha trovato un nuovo impulso grazie all’opera del teologo francescano p. Manuel Valenzisi, che nel suo ultimo libro, ‘Matrimonio e celibato. Per una teologia nuziale del cristiano’, offre un’analisi innovativa e profonda sul significato del matrimonio e del celibato alla luce del Mistero di Cristo. Questa prospettiva teologica, che affonda le sue radici nell’offerta sponsale di Cristo per la Chiesa, propone una visione organica e inclusiva delle vocazioni, individuandone il fondamento nel Mistero dell’Alleanza nuziale tra Dio e l’umanità.
Con un approccio che intreccia teologia dogmatica, spiritualità e diritto canonico, p. Valenzisi analizza criticamente la nozione tradizionale di ‘stati di vita’, dimostrandone le origini socio-giuridiche piuttosto che teologiche. Da questa analisi nasce un nuovo vocabolario per comprendere e vivere le vocazioni cristiane, intese non come ruoli statici ma come modalità dinamiche di partecipazione al Mistero nuziale di Cristo.
Il matrimonio e il celibato per il Regno sono al centro della riflessione dell’autore, presentati come vocazioni ‘paradigmatiche’ che si completano reciprocamente. Questa impostazione valorizza anche il celibato dei cosiddetti single, anche se nella Chiesa nessuno è solo, spesso trascurato o oggetto di stereotipi, offrendo un’interpretazione che include tutte le forme di vocazione come espressione di fecondità spirituale.
Dio ha stretto un’alleanza con il suo popolo, che è come un legame di nozze, puro e fedele. Quando il popolo tradisce questa alleanza, Dio manda i profeti a ricordarla: alcuni con il loro matrimonio, altri vivendo come celibi, per denunciare l’infedeltà di Israele. Con Maria e Giuseppe c’è un cambiamento importante: nel loro matrimonio, sponsalità e celibato non sono separati ma si uniscono, diventando un segno perfetto dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Il loro legame non è solo una convenzione culturale, ma un esempio vivo di amore sponsale e dedizione verginale.
Maria e Giuseppe mostrano che matrimonio e celibato possono esprimere insieme il Mistero di Cristo. Nel loro rapporto, il matrimonio diventa un segno cristiano e il celibato un dono fecondo, entrambi orientati al Regno dei cieli. La loro relazione, benedetta dallo Spirito Santo, illumina ogni vocazione e ci invita a vivere come sposi o celibi in comunione con Dio.
L’opera culmina in una visione profonda dell’Eucaristia, considerata fonte e culmine del Mistero nuziale che illumina sia la vocazione matrimoniale sia quella celibataria. In questa prospettiva, l’Eucaristia diventa il luogo in cui l’unione con Dio si manifesta pienamente, trasformando le diverse vocazioni in espressioni di una stessa chiamata all’amore e alla comunione.
Il libro di p. Valenzisi si rivolge a chi è in cerca della propria vocazione o desidera approfondirla, offrendo uno strumento di riflessione inclusivo e ricco di spunti. La sua analisi, radicata nella tradizione e aperta al futuro, si nutre della comunione dei santi e del dialogo con la comunità di fede. Il volume si distingue per il linguaggio chiaro e il rigore teologico, rendendolo accessibile sia agli studiosi sia ai fedeli desiderosi di comprendere più a fondo il significato della propria vocazione.
Con questa proposta, p. Valenzisi non solo arricchisce il dibattito teologico, ma apre nuove vie per una pastorale vocazionale capace di abbracciare tutte le forme di vita cristiana, superando pregiudizi e visioni limitanti. Un’opera che invita la Chiesa a riscoprire la bellezza e la profondità del battesimo nel quale tutti siamo coniugati a Cristo, ciascuno nella propria forma di vita.
Booktrailer: https://youtu.be/7z7kc9ADdyE?si=DcPX2_i5e2clJ4ZJ Link per l’acquisto:
A Gerusalemme aperta la causa di beatificazione di suor Maria della Trinità

“Il 25 giugno 1942 moriva a Gerusalemme, all’età di 41 anni, la Serva di Dio Maria della Trinità (al secolo: Louisa Jaques), monaca professa dell’Ordine di Santa Chiara. Nata in Sudafrica in seno ad una famiglia missionaria protestante e cresciuta in Svizzera, la Serva di Dio abbracciò la fede cattolica dopo un lungo cammino. A 25 anni, nel cuore della giovinezza, visse una profonda crisi esistenziale e di fede, che culminò nella notte della conversione: nella sua disperazione entrarono la luce e un’attrattiva irresistibile per il chiostro. Attirata dal mistero dell’Eucaristia, ricevette il battesimo nella Chiesa cattolica il 19 marzo 1928”.
Con questa lettera ai fedeli il patriarca di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, venerdì 29 novembre (memoria liturgica di tutti i santi della famiglia francescana) ha aperto la causa di beatificazione di suor Maria della Trinità, offre una breve descrizione della sua vita: “Dopo innumerevoli tentativi vocazionali, la provvidenza la condusse a 37 anni nel monastero delle clarisse di Gerusalemme, dove Dio l’attendeva per unirla più strettamente al mistero della sua Pasqua.
Nei travagli, nella malattia e nelle sofferenze della vita, la Serva di Dio fu spinta alla ricerca della verità e del vero amore, vincendo il male con il bene, imparando ad ascoltare la voce di Dio. Senza far rumore, si donò senza riserve nella preghiera, nell’adorazione e nella carità fraterna, tendendo con tutte le forze all’unità dei cristiani, implorando il dono della pace. L’8 dicembre 1941 si offrì vittima a Gesù Eucaristia e pochi mesi dopo morì serenamente, lasciando dietro di sé una luminosa testimonianza di vita cristiana”.
Inoltre il patriarca di Gerusalemme nell’editto si è rivolto ai fedeli, affinché essi possano offrire notizie sulla Serva di Dio: “Essendo andata vieppiù aumentando, col passare degli anni, la sua fama di santità ed essendo stato formalmente richiesto di dare inizio alla Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio, nel portarne a conoscenza la Comunità ecclesiale, invitiamo tutti e singoli i fedeli a comunicarci direttamente o a far pervenire al Patriarcato di Gerusalemme dei Latini (Latin Patriarchate Road, P.O.B 14152, Jerusalem 9114101 – chancellery@lpj.org) tutte quelle notizie, dalle quali si possano in qualche modo arguire elementi favorevoli o contrari alla fama di santità della detta Serva di Dio”.
Ed ha specificato anche le modalità: “Dovendosi, inoltre, raccogliere, a norma delle disposizioni legali, tutti gli scritti a lei attribuiti, ordiniamo, col presente Editto, a quanti ne fossero in possesso, di rimettere con debita sollecitudine alla Curia del Patriarcato qualsiasi scritto, che abbia come autore la Serva di Dio, qualora non sia già stato consegnato alla Postulazione della Causa. Ricordiamo che col nome di scritti non s’intendono soltanto le opere stampate, che peraltro sono già state raccolte, ma anche i manoscritti, i diari, le lettere ed ogni altra scrittura privata della Serva di Dio. Coloro che gradissero conservarne gli originali, potranno presentarne copia debitamente autenticata”.
Quindi il patriarca di Gerusalemme ha accolto ‘con grande gioia’ la richiesta delle Sorelle Povere di Santa Chiara di Gerusalemme di avviare il processo di canonizzazione di suor Maria della Trinità, che per quattro anni (1938-1942) ha fatto parte di quella comunità. Dopo aver reso noti i passaggi formali che hanno portato all’apertura della causa, il patriarca chiede ai fedeli di “accompagnare con la preghiera questo nuovo dono, che siamo certi porterà frutto non solo alla Chiesa di Gerusalemme ma anche a tutta la Chiesa universale”.
La fama di santità di suor Maria della Trinità si è diffusa nel mondo grazie alla pubblicazione del ‘Colloquio interiore’, che è un testo spirituale ancora letto e meditato in molte parti del mondo, facendo capire il motivo per cui la tomba di suor Maria della Trinità a Gerusalemme sia meta di gruppi di pellegrini che chiedono di poterla vedere, per sostarvi in preghiera, nei loro viaggi in Terra Santa.
Nella prefazione al testo del ‘Colloquio Interiore’ il teologo Hans Urs von Balthasar ha messo in risalto la sua spiritualità: “Il suo tema fondamentale è quello dell’ascolto interiore della voce del Signore. Questo ascolto è l’atto centrale della contemplazione cristiana e biblica, all’opposto di qualsiasi altra, che sia neoplatonica od asiatica. Per Gesù la parola biblica da cui ‘dipendono tutta la Legge ed i Profeti’ è lo ‘Shemà Israel’ che significa ‘Ascolta Israele’.
Dio infatti, l’Assoluto, è una Persona libera che si comunica e ci partecipa la sua volontà. Questa, che deve essere compresa, non è iscritta in anticipo nell’essenza costitutiva della creatura, in modo che quest’ultima, con una riflessione ‘trascendentale’ su se stessa, potrebbe arrivare ad una vera relazione con Dio… E’ il Cristo, mediatore tra noi ed il Padre, che effonde lo Spirito Santo nelle anime e che vive in noi come parola operante della Sapienza di Dio; è Lui che vuole e deve essere ascoltato. Per rendersene capace il cristiano deve fare silenzio in sé. Così Luisa Jaques se l’è sentita chiedere diverse volte”.
Ecco il motivo per cui il francescano Sylvère Van den Broeck, suo padre spirituale e confessore, ha incominciato da subito a raccogliere testimonianze e informazioni riguardo alla vita di suor Maria della Trinità. Morto precocemente, nel 1949, la sua opera è stata portata avanti da altri padri francescani: tra questi, padre Alain-Marie Duboin è riuscito a completare il racconto autobiografico della vocazione.
All’inizio degli anni ’90, padre Raphael Bonanno, Vice-Postulatore della Custodia di Terra Santa, si è occupato dell’iter canonico per aprire la Causa, ma senza iniziarla. Il suo successore, padre Sabino de Sandoli, ha visitato i luoghi in cui Louisa Jaques ha vissuto, pubblicando anche un dépliant con la preghiera per ottenere la beatificazione.
Nel 2013 ci sono stati i primi contatti tra clarisse di Gerusalemme e padre Gianni Califano, postulatore generale dell’Ordine dei Frati Minori. A dicembre 2022 la comunità delle clarisse di Gerusalemme, sollecitate da più parti, ha espresso al postulatore generale ‘il desiderio di prendere in mano seriamente e ufficialmente la Causa’. Nell’estate 2023 la comunità si è costituita ‘parte attrice’ (promotrice e sostenitrice) della Causa, affidando l’incarico di postulatore a padre Califano.
Il 2 febbraio 2024 il Postulatore ha nominato come Vice-Postulatore fr Ulise Zarza, della Custodia di Terra Santa. Il 19 marzo ha firmato il Supplex Libellus (la petizione per chiedere l’apertura della causa), che è stato consegnato al Patriarca. Il Dicastero delle Causa dei Santi ha confermato l’approvazione dell’apertura del Processo di canonizzazione il 14 ottobre 2024 e l’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa ha unanimemente votato a favore il 29 ottobre.
Infine nella lettera alla diocesi che accompagna l’editto, il patriarca latino di Gerusalemme ha spiegato che il Dicastero delle Cause dei santi ha dato il nulla osta all’apertura del processo di canonizzazione: “Chiedo ai vescovi e ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai consacrati e alle consacrate, a tutto il popolo di Dio della nostra Diocesi del Patriarcato latino di Gerusalemme di accompagnare con la preghiera questo nuovo dono, che siamo certi porterà frutto non solo alla Chiesa di Gerusalemme, ma anche a tutta la Chiesa universale. Possa l’intercessione di suor Maria della Trinità aiutare il nostro cammino per la pace e la riconciliazione in questa Terra Santa che lei ha tanto amato”.
(Foto: Monastero Clarisse di Gerusalemme)
Il Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli premia un secolo di impegno a servizio degli ultimi

Nella suggestiva cornice di Palazzo del Vicariato Maffei Marescotti, sede della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, si è svolta la cerimonia di consegna della medaglia ‘Charity in Hope’. Questo prestigioso riconoscimento, istituito nel 2017 dal Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, celebra l’’impegno di persone e organizzazioni che si distinguono per il loro servizio verso i più deboli.
Protagonista di questa edizione è stato il Lions Clubs International, rappresentato dal Presidente internazionale, il brasiliano Fabrício Oliveira, che ha ricevuto la medaglia dalle mani del Presidente Generale della Società di San Vincenzo De Paoli, lo spagnolo Juan Manuel Buergo Gomez.
“Sento una grande emozione in questo momento, consapevole di come la giornata di oggi sia una pietra miliare non solo per i Lions e la Società di San Vincenzo De Paoli, ma anche per tutti coloro che credono nella solidarietà e nella speranza come via di progresso”, ha affermato la Presidente della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Paola Da Ros.
“Ciò che viviamo oggi è un’opportunità straordinaria per rafforzare la nostra relazione, consolidare i nostri progetti e sognare insieme un futuro migliore per le popolazioni di tutto il mondo” ha dichiarato la Presidente Paola Da Ros. “La speranza è una parola che accompagna e sostiene il nostro operato, insieme all’amore per il servizio. È impressa nel nostro motto ‘serviens in spe’, proprio come il ‘We Serve’ dei Lions e racchiude quel senso di responsabilità che guida i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli così come i soci dei Lions nel cammino di cura e aiuto verso le persone svantaggiate.
“Mi vengono in mente, ha aggiunto la Da Ros, le parole del Beato Federico Ozanam: “La nostra epoca ha bisogno di grandi cose: ha bisogno di una speranza che non deluda, di una carità che abbracci tutti” (Lettera a Léonce Curnier, 1834).
La cerimonia è stata anche l’occasione per riflettere su un percorso condiviso, sancito ufficialmente il 5 gennaio 2023 con una Dichiarazione di Intenti tra la Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV e il Multidistretto Lions 108 Italy. Grazie a questo accordo, le due realtà hanno unito le forze per realizzare progetti concreti a favore delle persone più fragili in tutta Italia: “fare rete è indispensabile per generare un impatto reale e profondo, per portare il nostro messaggio e le nostre azioni a un pubblico più vasto, a un numero crescente di persone e comunità”, ha spiegato la presidente Paola Da Ros.
Nel segno della solidarietà, del servizio e della speranza la Società di San Vincenzo De Paoli e i Lions Club operano rispettivamente da 191 e 107 anni per il bene comune. Oggi, grazie a una sinergia di intenti volta al bene comune, possono crescere e svilupparsi numerose “azioni coraggiose nei confronti dei più deboli per sconfiggere la povertà e il disagio”, ha sottolineato il Presidente Internazionale del Lions, Fabrício Oliveira.
Nell’ottica di un mondo e futuro migliore, “Abbiamo ampliato le opportunità di agire per il bene delle persone in difficoltà, ha ricordato il Presidente del Consiglio dei Governatori del Multidistretto 108 Italy Leonardo Potenza.
Attraverso “la collaborazione e lo sviluppo di esperienze comuni”, ha spiegato il Consigliere di Amministrazione della Fondazione Internazionale Lions LCIF, Sandro Castellana, “abbiamo già prodotto benefici in diverse aree geografiche di tutto il mondo”.
Si propaga così il bene senza spegnere la vocazione che da sempre accompagna le due realtà e i suoi membri: il contrasto alla povertà e all’emarginazione. Il Governatore del Distretto Lions 108L, Salvatore Iannì, ha ricordato che sin da piccolo ha imparato ad amare l’altro nelle sue innumerevoli necessità anche portando “pacchi di viveri e altri aiuti” accompagnando il padre, che era iscritto alla Società di San Vincenzo De Paoli e gli ha sempre trasmesso i valori dell’aiuto, della vicinanza e dell’amicizia.
Il Presidente del Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, Juan Manuel Buergo Gomez, ha concluso la cerimonia evidenziando chela scelta di premiare il Lions Clubs International è frutto “dell’impegno, della dedizione e della passione che la realtà ha dimostrato in tutta la sua storia. I Lions Club sono stati un esempio di perseveranza e impegno nella società con 1.400.000 soci e quasi 50.000 club presenti in 200 paesi al servizio dei bisognosi”.
La Società di San Vincenzo De Paoli, con i suoi 2.300.000 volontari distribuiti in 155 Paesi, e i Lions Club dimostrano che unendo le forze è possibile rispondere alle necessità di milioni di persone in tutto il mondo. Un impegno che non si ferma, ma continua a crescere, come ricorda la Presidente Paola Da Ros, che vede nella Medaglia Charity in Hope: “l’emblema di una speranza che non si ferma mai, di un servizio che ogni giorno si rinnova e di un’umanità che non smette di sognare e di costruire”.
Papa Francesco: i martiri sono i testimoni della bellezza di Dio

Sono state tante le storie di martiri emerse nel convegno organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi sul tema ‘Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita’, che, iniziato lunedì 11 novembre, all’Istituto Patristico Augustinianum a Roma, si è concluso oggi con l’udienza da papa Francesco. Le conclusioni, ieri pomeriggio, del prefetto del dicastero, il card. Marcello Semeraro, hanno evidenziato che ‘i martiri non sono stati e non sono degli eroi insensibili alla paura, all’angoscia, al panico, al terrore, al dolore fisico e psichico’. Infine il cardinale ha sottolineato che dalle relazioni è emerso che “il numero dei martiri cristiani non corrisponde affatto a quelli beatificati o canonizzati, ma c’è, al contrario, un intero, grande popolo di martiri”.
Nell’udienza papa Francesco ha evidenziato il tema del seminario di studio: “Esso aveva come Parola-guida quella di Gesù nel Vangelo di Giovanni: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’. E per beatificare un martire non ci vuole il miracolo. Il martirio è sufficiente… così risparmiamo un po’ tempo… e carte e soldi. E questo dare la vita per i propri amici, è una Parola che infonde sempre conforto e speranza. Infatti, nella sera dell’Ultima Cena il Signore parla del dono di sé che si sarebbe consumato sulla croce. Soltanto l’amore può dare ragione della croce: un amore così grande che si è fatto carico di ogni peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dà la forza di sopportarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia”.
Quindi la santità ha bisogno dell’amore di Dio, come è sottolineato nella Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium): “Per essere santi non occorre soltanto lo sforzo umano o l’impegno personale di sacrificio e di rinuncia. Prima di tutto bisogna lasciarsi trasformare dalla potenza dell’amore di Dio, che è più grande di noi e ci rende capaci di amare anche al di là di quanto pensavamo di essere capaci di fare.
Non a caso il Vaticano II, a proposito della vocazione universale alla santità, parla di ‘pienezza della vita cristiana’ e di ‘perfezione della carità’, in grado di promuovere ‘nella stessa società terrena un tenore di vita più umano’. Questa prospettiva illumina anche il vostro lavoro per le cause dei santi, un servizio prezioso che offre la Chiesa, affinché non le venga mai meno il segno della santità vissuta e sempre attuale”.
Ed ha sottolineato alcuni temi emersi dal convegno: “Durante il Convegno avete riflettuto su due forme della santità canonizzata: quella del martirio e quella dell’offerta della vita. Fin dall’antichità i credenti in Gesù hanno tenuto in grande considerazione coloro che avevano pagato di persona, con la vita stessa, il loro amore a Cristo e alla Chiesa. Facevano dei loro sepolcri dei luoghi di culto e di preghiera. Si trovavano insieme, nel giorno della loro nascita al cielo, per rinsaldare i legami di una fraternità che in Cristo Risorto oltrepassa i limiti della morte, per quanto cruenta e sofferta”.
Il martire è colui che segue Gesù, che va bel aldilà della propria confessione religiosa: “Nel martire si trovano i lineamenti del perfetto discepolo, che ha imitato Cristo nel rinnegare sé stesso e prendere la propria croce e, trasformato dalla sua carità, ha mostrato a tutti la potenza salvifica della sua Croce. Mi viene in mente il martirio di quei bravi libici ortodossi: morivano dicendo: ‘Gesù’. ‘Ma padre, erano ortodossi!’ Erano cristiani. Sono martiri e la Chiesa li venera come propri martire… Con il martirio c’è uguaglianza. Lo stesso succede in Uganda con i martiri anglicani. Sono martiri! E la Chiesa li prende come martiri”.
Ed ecco gli elementi che determinano il martirio: “Nell’ambito delle cause dei santi, il sentire comune della Chiesa ha definito tre elementi fondamentali del martirio, che restano sempre validi. Il martire è un cristiano che (primo) pur di non rinnegare la propria fede, subisce consapevolmente una morte violenta e prematura. Anche un cristiano non battezzato, che è cristiano nel cuore, confessa Gesù Cristo con il Battesimo del sangue. Secondo: l’uccisione è perpetrata da un persecutore, mosso dall’odio contro la fede o un’altra virtù ad essa connessa; e terzo: la vittima assume un atteggiamento inatteso di carità, pazienza, mitezza, a imitazione di Gesù crocifisso. Ciò che cambia, nelle diverse epoche, non è il concetto di martirio, ma le modalità concrete con cui, in un determinato contesto storico, esso avviene”.
Infine ha ribadito della commissione ‘Nuovi Martiri – Testimoni della Fede’ in occasione dell’anno giubilare: “Poiché si trattava di definire una nuova via per le cause di beatificazione e canonizzazione, stabilivo che dovesse esserci un nesso fra l’offerta della vita e la morte prematura, che il Servo di Dio avesse esercitato almeno in grado ordinario le virtù cristiane e che, soprattutto dopo la sua morte, fosse circondato da fama di santità e fama di segni.
Ciò che contraddistingue l’offerta della vita, nella quale manca la figura del persecutore, è l’esistenza di una condizione esterna, oggettivamente valutabile, nella quale il discepolo di Cristo si è posto liberamente e che porta alla morte. Anche nella straordinaria testimonianza di questa tipologia di santità risplende la bellezza della vita cristiana, che sa farsi dono senza misura, come Gesù sulla croce”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: Chiesa sia accogliente

“Sono contento di stare qui, in questa bella chiesa salesiana: i salesiani sanno fare bene le cose. Complimenti. Questo è un Santuario diocesano dedicato a Maria Aiuto dei Cristiani: Maria Ausiliatrice (io sono stato battezzato nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires) un titolo tanto caro a san Giovanni Bosco; Maria Helpim, come con affetto la invocate qui. Quando, nel 1844, la Madonna ispirò a don Bosco di costruire a Torino una chiesa in suo onore, gli fece questa promessa: ‘Qui è la mia casa, da qui la mia gloria’.
Maria gli promise che, se avesse avuto il coraggio di cominciare la costruzione di quel Santuario, grandi grazie ne sarebbero seguite. E così è successo: la chiesa è stata costruita, ed è meravigliosa (ma è più bella quella di Buenos Aires!) ed è diventata centro di irradiazione del Vangelo, di formazione dei giovani e di carità, è diventata punto di riferimento per tanta gente”.
Nel santuario di Maria Ausiliatrice, a Port Moresby, oggi papa Francesco ha incontrato, dopo il saluto alle autorità civili, i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, con i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi ed i catechisti, con una riflessione sulla bellezza dell trasmissione della fede con speranza, prendendo spunto dalla costruzione del Santuario:
“I costruttori di questa chiesa hanno iniziato l’impresa facendo un grande atto di fede, che ha portato i suoi frutti, e che però è stato possibile solo grazie a tanti altri inizi coraggiosi, di chi li ha preceduti. I missionari sono arrivati in questo Paese alla metà del XIX secolo e i primi passi del loro lavoro non sono stati facili, anzi alcuni tentativi sono falliti. Ma loro non si sono arresi: con grande fede e con zelo apostolico hanno continuato a predicare il Vangelo e a servire i fratelli, ricominciando molte volte dove non avevano avuto successo, con tanti sacrifici”.
Questa bellezza è avvenuta grazie ai santi: “Ce lo ricordano queste vetrate, attraverso le quali la luce del sole ci sorride nei volti dei Santi e Beati: donne e uomini di ogni provenienza, legati alla storia della vostra comunità: Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello.
Tutti fratelli e sorelle che, in modi e tempi diversi, cominciando e ricominciando tante volte opere e cammini, hanno contribuito a portare il Vangelo tra voi, con una variopinta ricchezza di carismi, animati dallo stesso Spirito e dalla stessa carità di Cristo… Questa è la nostra vocazione: essere strumenti”.
E’ stato un invito a ‘ripartire’ dalle persone emarginate: “E ancora penso a quelle emarginate e ferite, sia moralmente che fisicamente, dal pregiudizio e dalla superstizione, a volte fino a rischio della vita, come ci hanno ricordato James e suor Lorena. A questi fratelli e sorelle la Chiesa desidera essere particolarmente vicina, perché in loro Gesù è presente in modo speciale, e dove c’è Lui, il nostro capo, ci siamo anche noi, sue membra, appartenenti allo stesso corpo, ‘ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture’. E per favore, non dimenticatevi: vicinanza, vicinanza!”
Ecco il motivo per cui occorre esserci: “Possiamo vederla simboleggiata nelle conchiglie kina, con cui è ornato il presbiterio di questa chiesa, e che sono segno di prosperità. Esse ci ricordano che qui il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce… La bellezza di esserci, allora, non si sperimenta tanto in occasione dei grandi eventi e nei momenti di successo, quanto piuttosto nella fedeltà e nell’amore con cui ogni giorno ci si impegna a crescere insieme”.
Inoltre ha ribadito l’importanza di crescere nell’evangelizzazione: “In questa Chiesa c’è un’interessante ‘catechesi in immagini’ del passaggio del Mar Rosso, con le figure di Abramo, Isacco e Mosè: i Patriarchi resi fecondi dalla fede, che per aver creduto hanno ricevuto in dono una numerosa discendenza. E questo è un segno importante, perché incoraggia anche noi, oggi, ad avere fiducia nella fecondità del nostro apostolato, continuando a gettare piccoli semi di bene nei solchi del mondo.
Sembrano minuscoli, come un granello di senape, ma se ci fidiamo e non smettiamo di spargerli, per grazia di Dio germoglieranno, daranno un raccolto abbondante e produrranno alberi capaci di accogliere gli uccelli del cielo… Perciò noi continuiamo ad evangelizzare, pazientemente, senza lasciarci scoraggiare da difficoltà e incomprensioni, nemmeno quando queste si presentano là dove meno vorremmo incontrarle: in famiglia, ad esempio, come abbiamo sentito”.
Prima di questo ultimo incontro il papa ha visitato i bambini di ‘Street Ministry’ e di ‘Callan Services’, assistiti dalla ‘Comunità delle Caritas Sisters of Jesus’: “E’ vero, tutti abbiamo dei limiti, delle cose che sappiamo fare meglio, e altre che invece facciamo fatica o non possiamo fare mai, ma non è questo che determina la nostra felicità: piuttosto è l’amore che mettiamo in qualsiasi cosa facciamo, doniamo e riceviamo.
Donare amore, sempre, e accogliere a braccia aperte l’amore che riceviamo dalle persone che ci vogliono bene: è questa la cosa più bella e più importante della nostra vita, in qualsiasi condizione e per qualsiasi persona… anche per il papa, sapete? La nostra gioia non dipende da altro: la nostra gioia dipende dall’amore!”
Nel saluto finale il papa ha invitato i bambini a non perdere di vista i propri obiettivi: “Avete mai visto come si prepara un gatto quando deve fare un bel salto? Prima si concentra e punta tutte le sue forze e i suoi muscoli nella direzione giusta. Magari lo fa in un momento veloce, e non lo notiamo nemmeno, ma lo fa. E così anche noi: concentrare tutte le nostre forze sulla meta, che è l’amore di per Gesù e in Lui per tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sulla nostra strada, e poi con slancio riempire tutto e tutti con il nostro affetto! In questo senso, nessuno di noi è ‘di peso’, come avete detto: tutti siamo doni bellissimi di Dio, un tesoro gli uni per gli altri!”
(Foto: Santa Sede)
Il card. Cantoni invita Como a riscoprire la sua anima

“Anche quest’anno, come è ormai tradizione, alla vigilia della festa del nostro Patrono ci raduniamo per riflettere sul nostro vivere insieme come cittadini. Vorrei condividervi qualche pensiero che nasce in me dall’ascolto della realtà e dal confronto con alcune persone, a vario modo qualificate a proporre letture e soluzioni per una Comunità più umana e fraterna. Mi auguro che queste mie riflessioni, orientate quest’anno a scoprire la dimensione turistica della Città, con tutto ciò che implica circa l’accoglienza, possano suscitare un sano dibattito e ulteriori confronti”.
Così è iniziato il discorso alla città del vescovo della diocesi di Como, card. Oscar Cantoni, in occasione dei Primi Vespri nella vigilia della memoria liturgica del patrono sant’Abbondio sul tema ‘Como, città di chi? – Comunità, turismo e accoglienza’, ricordando alcuni cittadini illustri, da Plinio il Vecchio ad Alessandro Volta, dal papa e beato Innocenzo XI fino ai due sacerdoti (don Renzo Beretta e don Roberto Malgesini) che hanno donato la vita per i poveri ‘onorando Como con la loro morte’.
Riportando un pensiero di Giorgio La Pira, il card. Cantoni ha chiesto alla città di riscoprire la propria vocazione: “Sei Città di confine e di scambi, via di commerci vicini e lontani, terra di imprese e di incontri, luogo desiderato e tanto visitato, ricca di bellezze, di storia e di natura. Circondata da un incanto che dalle tue verdi montagne si riflette nelle mille sfumature di blu del tuo lago.
Secoli di storia e di cultura si possono ravvisare nei tuoi monumenti e nelle tue chiese, nella tua grande e artistica Cattedrale. Città di imprese e di lavoro, di studio e di ricerca. Oggi anche sede di una università giovane e vivace, di tante scuole, del Conservatorio, di Accademie. Città di musei, di teatri e di cinema, luoghi di incontro e di socialità. Città ricca, anche molto ricca, ma non senza le sue contraddizioni”.
Nel ricordo di illustri concittadini il vescovo della città ha evidenziato il valore di ‘cittadino’: “Una Città non è di pochi che la possiedono o la governano, ma non è neppure di nessuno. E’ invece di tutti, perché tutti, come cittadini e cittadine, siamo chiamati a partecipare. Tutti, insieme, a prendercene cura nell’ascolto reciproco e nella collaborazione. Non spazio anonimo, ‘cumulo di pietre’ appunto, ma relazioni, luogo di vita, intreccio di persone. Ecco cos’è una Città, ecco cosa non può rinunciare ad essere”.
Innanzitutto la città ha una vocazione turistica: “Tra le vocazioni di Como vi è, non ultima, anche e soprattutto questa: essere Città turistica. E’ la consapevolezza di vivere in luoghi belli che ci sono dati e affidati come dono e che desideriamo condividere, perché molti altri, insieme a noi, li possano ammirare e contemplare.
E’ la capacità di ogni autentica Comunità di non chiudersi in sé stessa, facendosi capace di accogliere e di allargarsi nell’incontro con chi non è solo ‘dei nostri’. Ciascun uomo scopre gradualmente la vocazione che gli è propria quando si rende conto di non averla ricevuta in esclusiva, perché gli è stata donata affinché la condivida. E questo vale anche per la vocazione propria della nostra Città”.
Però anche il turismo ha risvolti negativi: “Questo flusso turistico porta tra noi benessere e ricchezza, occasioni di incontro e di scambi, ma insieme anche il rischio di alcune storture e di vari limiti. Per molti aspetti un tale aumento del turismo si sta rivelando insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Non è qualcosa che accade solo qui. In molte altre Città e territori sta accadendo lo stesso fenomeno (si parla ormai di over-tourism o di ‘turistificazione’). ..
Appare, immediatamente, il rischio di un turismo consumistico, ‘mordi e fuggi’, che veloce consuma spazi e territorio. Senza tempo, tutto è di fretta e ciò che conta è scattarsi un selfie da pubblicare sui social. Ciò che ci circonda è utile solo come sfondo di una fotografia. Tutto diventa veloce ed effimero come un clic. A questa cultura consumistica ed effimera si contrappone, invece, un’altra idea di turismo: più lento, più consapevole e più rispettoso delle persone, dei luoghi e dell’ambiente”.
Infatti il turismo porta aumenti di prezzi anche per i cittadini: “L’afflusso di questa ondata turistica nella nostra Città comporta un forte aumento dei prezzi delle merci e delle case, fino a rendere il centro Città un luogo a tratti inospitale per i cittadini. Sempre più famiglie abbandonano il centro, dove i prezzi delle case sono inaccessibili e molte abitazioni sono ormai trasformate in B&B per ospitalità brevi dei turisti di passaggio.
Molti, attratti ormai da un più facile guadagno, scelgono di destinare così le proprietà del centro. Si pensi che dal 2016 al 2023 il numero delle case vacanze è passato da 600 ad oltre 4.600. La Città, però, così facendo, si svuota e, in qualche modo, si sfalda anche la Comunità: più alloggi per i turisti, meno case per i residenti. Questo comporta, non solo nel centro storico, una urgente emergenza abitativa”.
Insomma il cardinale ha invitato a riscoprire una cultura cristiana: “La cultura cristiana ha sempre promosso bellezza, ma insieme ha offerto anche ospitalità. Nella storia e così anche oggi, non è banale il contributo di riflessione e di valore che la Comunità cristiana può partecipare alla convivenza pubblica. C’è, anche in molte altre tradizioni religiose, così come nella cultura umanistica, una visione sacra dell’ospitalità, che considera l’ospite nel suo valore di persona e non sulla base del profitto che può portare”.
Però la città non è sempre coerente con il pensiero cristiano: “Registriamo, invece, oggi una contraddizione che è un autentico scandalo: se hai soldi e porti soldi sei il benvenuto e ti metto il ‘tappeto rosso’ anche se sei straniero. I muri crollano e il dio denaro apre ogni porta. Se invece sei, allo stesso modo, straniero, ma senza soldi: torna a casa tua! Cosa offriamo? Ai turisti facoltosi il lusso, ai poveri il minimo e, a volte, anche meno. Sotteso a questo atteggiamento c’è qualcosa di poco umano: non mi interessa chi sei, ma ciò che possiedi o che non hai”.
Ed infine un monito anche per i cristiani: “A nessuno, più che ai cristiani, preoccupa il vento cattivo delle parole arroganti, la logica tribale dell’amico-nemico, l’incapacità di accoglienza e di dialogo. Non può non inquietarci una società e un mondo che vede crescere conflittualità e tensioni ad ogni livello. A questo vento cattivo si contrappone l’aria buona dello Spirito che implora ai nostri cuori di custodire e promuovere il dono della pace, a partire dai nostri rapporti interpersonali, dalle nostre famiglie e dalla nostra Città.
Una Città è bella quando rende belli i suoi abitanti e chi vi è accolto. Como è bella quando noi tutti mostriamo il nostro vero volto, ossia quando siamo buoni, belli e veri noi stessi! Quando ci mostriamo profondamente umani, quando diffondiamo tra noi e con tutti il buon profumo dell’amicizia e della fraternità”.
(Foto: Diocesi di Como)
Al Meeting di Rimini il cristianesimo è incarnazione

Il Meeting, giunto alla sua 45^ edizione, offre anche quest’anno il proprio contributo di cultura, dialogo e umanità… Il tema di questa edizione esprime le radici culturali del Meeting proponendo uno sguardo aperto alle straordinarie trasformazioni che stiamo vivendo.
Si vuole ricercare l’essenziale proprio mentre i flussi globali delle informazioni diventano fiumi in piena, mentre le tecnoscienze ci mostrano soluzioni fino a ieri inimmaginabili, mentre le opportunità offerte ai singoli ripropongono la fallace lusinga dell’onnipotenza dell’uomo. Eppure, a fronte di tante nuove chances per l’umanità, tocchiamo con mano l’orrore, le atrocità e l’escalation delle guerre, le volontà di dominio, con un drammatico ritorno al passato. Sentimenti di paura, sfiducia, talvolta indifferenza, non di rado rancore e odio, si riaffacciano”.
“Proprio mentre attraversiamo tempi complessi, la ricerca di ciò che costituisce il centro del mistero della vita e della realtà è di cruciale importanza. La nostra epoca, infatti, è segnata da problematiche varie e notevoli sfide, dinanzi alle quali riscontriamo talvolta un senso di impotenza, un atteggiamento rinunciatario e passivo che possono condurre a ‘trascinare la vita’ e a lasciarsi travolgere dallo stordimento dell’effimero, fino a perdere il significato dell’esistenza. In questo scenario, perciò, è quanto mai pertinente la scelta di mettersi sulle tracce di ciò che è essenziale”.
Con la lettura dei messaggi del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e di papa Francesco si è aperto, martedì 20 agosto, alla fiera di Rimini, il meeting dell’Amicizia tra i Popoli dal titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, inaugurato dal dialogo con il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, introdotto da Bernhard Scholz, presidente della Fondazione stessa, che ha sottolineato il ‘punto nevralgico’ che questa edizione affronta:
“Mai nella storia della nostra umanità i cambiamenti culturali, sociali, tecnologici e politici sono stati così pervasivi, interconnessi e accelerati come in questo momento storico… Da dove può nascere la possibilità di vivere pienamente la nostra umanità in mezzo a queste condizioni piene di incognite e come è possibile costruire la pace in mezzo a guerre così atroci e perduranti?.
L’intervento del card. Pizzaballa, sviluppatosi in un colloquio con il presidente Scholz, ha toccato molti temi importanti, condividendo inizialmente il suo percorso di fede: “La vocazione francescana, come ogni vocazione cristiana, è incentrata sulla persona di Gesù Cristo”, iniziato proprio a Rimini quando era ragazzo, parlando della sfida di vivere e trasmettere questa esperienza in una realtà complessa come quella di Gerusalemme, una città segnata da divisioni e conflitti, perché “essere francescano significa incontrare Cristo e fare esperienza di Lui secondo uno stile e un modo che Francesco ha mostrato”.
Quindi il patriarca ha affrontato il tema del conflitto del 7 ottobre, descrivendo l’impatto devastante che ha avuto su entrambe le popolazioni, israeliana e palestinese: “Quello che è successo il 7 ottobre è stato uno shock incredibile per Israele… Il rifiuto reciproco dell’esistenza altrui si respira nell’aria… I negoziati in corso sono ormai l’ultimo treno. Io ho miei dubbi ma non bisogna perderlo, questo treno. Per questo ho chiesto di pregare incessantemente… Ricostruire sarà una fatica immane che dovrà impegnare tutti”
E sul dialogo interreligioso in Medio Oriente il card. Pizzaballa ha dato un giudizio molto critico. “Il dialogo è in crisi; ebrei, cristiani e mussulmani non riescono ad incontrarsi. Oggi non riusciamo a parlarci a livello istituzionale… In passato ci sono stati incontri ufficiali che hanno prodotto documenti bellissimi, come ad Abu Dhabi, ma questo non basta più.
Il dialogo interreligioso non può limitarsi alle élite; i leader religiosi devono aiutare le loro comunità a non chiudersi in sè stesse… Il vero dialogo interreligioso è l’incontro tra persone che hanno un’esperienza di fede diversa, ma che, una volta condivisa, ti aiuta a illuminare in maniera più completa quello che sei tu”.
Un altro tema affrontato dal Patriarca di Gerusalemme è stato quello della comunione cristiana in un contesto di divisioni politiche e culturali, in quanto la sua ‘diocesi’ si estende in quattro nazioni (Giordania, Israele, Palestina e Cipro) con cristiani sotto le bombe a Gaza e cristiani che fanno il servizio militare nell’esercito israeliano:
“Il cristianesimo astratto non esiste, il cristianesimo è sempre incarnato e bisogna fare i conti con le proprie appartenenze… Proprio come oggi: c’è chi non vuol vedere e si rifugia in un devozionismo sofisticato; c’è chi vede ma non vuole fare i conti con la realtà e c’è chi impugna le armi… Non abbiamo risposte, ma un indirizzo: Dio, che dà senso a tutto quello che facciamo”.
Per questo la Chiesa è presente in Terra Santa, sebbene i cristiani siano il 3% della popolazione: “Ma la prima cosa non sono i numeri; la prima cosa è esserci, stare lì e sostenere la comunità, incoraggiare. Va da sé che, poi, negli aiuti materiali sosteniamo tutti. A Gaza la nostra parrocchia si dà da fare per chiunque. Non abbiamo soluzioni politiche, ma una parola di verità perché non cresca la spirale dell’odio fra le nazioni”.
Inoltre, affrontando il tema del perdono in situazioni di ingiustizia, il card. Pizzaballa ha ribadito che il perdono è centrale nella fede cristiana, ma esso “non si può imporre. A livello personale, giustizia e perdono sono quasi sinonimi, se illuminati dalla fede. Ma a livello comunitario le dinamiche sono diverse, perché entrano in gioco fattori come dignità ed uguaglianza; perdonare senza che ci siano dignità ed uguaglianza vuol dire giustificare un male che si sta compiendo. In questo caso il perdono ha dinamiche completamente diverse che richiedono tempo e parole di verità che riconoscano il male e l’ingiustizia commessi. Come pastore ricordo a tutti che la giustizia senza perdono diventa vendetta”.
E, parlando della necessità di una purificazione della memoria, intesa come la consapevolezza del male che facciamo, ha ribadito l’importanza di non restare chiusi nelle proprie narrazioni esclusive, ma di aprirsi a una comprensione più ampia e inclusiva della storia e delle relazioni, con una chiara condanna dell’antisemitismo: “L’antisemitismo è una sorta di cartina di tornasole per capire quali sono i modelli su cui si regge la società… Noi religiosi dobbiamo creare una cultura di relazioni, di accoglienza. La civiltà si costruisce ‘con’ e non contro”.
La prima giornata alla fiera di Rimini si è chiusa con un suggestivo incontro sul Cantico delle Creature di san Francesco tra il poeta Davide Rondoni, presidente del Comitato nazionale per l’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, e p. Guidalberto Bormolini, tanatologo e membro fondatore del Gruppo Nazionale ‘Sala del Silenzio’, autori del libro ‘Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco’, in cui è stata approfondita la concretezza della vita spirituale, in quanto per il santo assisate l’umanità è ‘giuntura’ tra il divino e la natura, perché il corpo è il tempio dello Spirito, in quanto la croce portata da Gesù salva, perché indica la direzione; quindi non è possibile ‘dividere’ la carne dallo Spirito.
(Tratto da Aci Stampa)